Sede vacanteSe il Pd non trova subito un leader, gli basterà un curatore fallimentare

Negli ultimi giorni dentro e intorno al Partito democratico sono successe molte cose. Tutte negative. Ed è difficile che, in attesa del congresso di marzo, una reggenza fragile come quella di Letta possa evitare un ulteriore collasso postelettorale

Come Arlecchino, il Pd prende botte da tutti. Ormai rinnegato da chi non lo considera più di sinistra e inservibile per chi vuole una sinistra riformista e di governo (un nuovo centrosinistra, ha fatto notare Stefano Bonaccini, perché «da sola la sinistra non ha mai vinto»), il Partito democratico continua a vivere dentro una contraddizione permanente.

Anche per questo ci vorrebbe un/a segretario/a adesso, subito. Un/a leader eletto/a dalla Direzione, una scelta dettata dall’emergenza per rimettere a posto un po’ di cose, il minimo per andare avanti e non soccombere. Quella di Enrico Letta è di fatto una “reggenza” che può durare qualche settimana, non cinque mesi; più passano i giorni e peggio è.

Dalla Direzione-fiume di giovedì scorso, cioè tre giorni fa, sono successe alcune cose tutte negative. Vediamole. C’è stata una polemica sul voto di alcuni europarlamentari dem su un atto sulla guerra in Ucraina, un voto che, comunque lo si legga, ha creato una spaccatura del gruppo su un tema non esattamente secondario.

Infuria poi una polemica tra le donne del Pd («Eva contro Eva», ha scritto La Stampa) perché le esclusioni e le mancate elezioni sono imputabili, soprattutto secondo alcune non elette, alla responsabile dell’assemblea delle donne Cecilia D’Elia di cui alcune chiedono le dimissioni: è stata persino fatta uscire una nota falsa e poi smentita dall’ufficio stampa.
C’è stata la manifestazione della Cgil, ormai incunabolo di una sinistra arrabbiata in salsa contiana, nella quale molti lavoratori hanno detto di detestare il Pd, presente con la fazione Orlando-Provenzano-Boldrini-Cuperlo-Speranza (Letta in piazza non si è fatto vedere).

È svanito l’impulso di autocandidarsi alla segreteria (resiste Paola De Micheli, ma nessuno ci crede) e adesso tutti fanno pretattica: Dario Nardella, uno dei nomi forti che si fanno, senza ovviamente che nessuno lo dica apertamente, sembra frenare, Elly Schlein si sta tenendo fuori, si attende Bonaccini. A questo proposito, si potrebbe correre un bel paradosso: con Bonaccini, coriaceo dirigente emiliano di scuola Pci appoggiato dai riformisti contro Nardella, nativo Pd, ex renziano sostenuto da Letta e dalla sinistra, a meno che Andrea Orlando non ritenti la scalata un’altra volta.

Intanto un sondaggio segnala che dal 25 settembre il Pd ha perso un altro punto e mezzo e ormai è di poco davanti al M5s. Dal punto di vista dei contenuti, dopo il voto Letta è sparito ed è molto improbabile che riesca a tenere il Pd unito e fermo sulla linea pro-Ucraina: la Cgil, Bettini, Cuperlo, Boldrini, insomma tutto quel mondo di sinistra arrabbiata ormai ha preso le distanze (eufemismo) da Voldymyr Zelensky e invoca una pace che non cessa di somigliare a una resa mentre un’altra parte del partito mantiene la linea sull’invio di armi.

La fermezza anti-russa è ormai bollata come “guerrismo” e alla manifestazione della Cgil si sono visti gli striscioni “yankee go home” senza che nessun dei dem presenti abbia detto una parola, il tutto mentre il cinico avvocato del popolo ha capito che l’aria è cambiata e s’impanca a leader pacifista e di sinistra piacendo a Rosy Bindi e Massimo D’Alema e spaccando il Pd.

Sulle bollette il Nazareno è stato poi ampiamente battuto sul tempo da Carlo Calenda che ha proposto un credibile piano per far fronte agli aumenti basato sul “tetto” da stabilire nazionalmente.

Infine, in Lombardia e nel Lazio, soprattutto in quel Lazio dove governa Nicola Zingaretti, si staglia l’ombra di altre sconfitte. Questa è la situazione.

Non solo dopo il voto non è venuta avanti alcuna idea nuova sul da farsi ma sono cresciute posizioni contraddittorie sulla guerra, si sono acuiti contrasti interni e lotte personali, si è accentuato l’isolamento politico e rafforzata la concorrenza di Conte e Calenda. Il tutto mentre sta per nascere un governo di destra («O noi o loro»: loro).

Con un segretario debole e a termine alla guida di un gruppo dirigente logorato è chiaro che il Pd non ce la può fare. Nell’emergenza più acuta il paziente deve essere operato prima possibile. Si trovi il modo per accorciare i tempi. Dopo Caporetto si sostituì Cadorna con Diaz in un giorno. E venne il Piave.

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