Lo abbiamo visto in una galleria del Museo della Fondazione Rovati di Milano dialogare – perfettamente a suo agio – con i 200 reperti della civiltà etrusca esposti al museo e con il contenitore stesso, un meraviglioso palazzo neoclassico di corso Venezia 52 restaurato dallo Studio Mario Cucinella Architects. Lo ritroviamo a Piacenza, alla Galleria XNL, con una suggestiva macchina scenica per la personale Come un limone lunare (fino al 29 gennaio). Francesco Simeti, nato a Palermo (ma da oltre 20 anni vive a New York), è uno degli artisti più interessanti della scena contemporanea. Merito del tocco particolare con cui, passando dalla ceramica al collage, dai wallpaper alla fotografia e perfino (a Palazzo Rovati) all’antica tecnica dell’arazzo, mescola piante, erbe, fiori, rocce, arbusti per ricreare una sorta di natura globalizzata, meravigliosa quanto artificiale e inesistente. E, facendolo, tocca con grazia temi decisamente drammatici.
«Fin dagli anni Novanta mi sono interessato alla crisi ambientale, agli effetti dell’antropocene, al dramma dei conflitti e dei conseguenti spostamenti di persone, ai fenomeni migratori e alla compresenza che nelle nostre vite hanno reale e artificiale, passato e futuro, fisico e digitale» spiega l’artista, incontrato all’inaugurazione della mostra piacentina. «Ma cerco di parlarne in modo attraente e non respingente. Attraverso la macchina scenica che ho realizzato a Piacenza, un’installazione formata da gigantografie di fiori e animali scaricate da database digitali che mostrano una natura artefatta e patinata, ho voluto mettere in scena la bolla di rappresentazione della realtà in cui viviamo, ormai senza rendercene conto. Tema urticante, ma installazione piacevole, non angosciante».
A Piacenza sono in mostra anche i primi progetti, come Linee di fuga del 1998, lungo lavoro di raccolta e manipolazione di scatti ritagliati dai giornali che raccontavano l’assedio di Sarajevo, è quindi l’occasione giusta per conoscere meglio Francesco Simeti. Ma perché questo titolo? «Come un limone lunare è tratto da una poesia di Danilo Dolci, il grande sociologo, educatore e attivista della non violenza vissuto nel Novecento. È stata Paola Nicolin, la curatrice, a proporlo perché il richiamo al limone lunare, pianta che fiorisce continuamente, ben si adattava anche alle rappresentazioni artificiali della natura, che non appassiscono mai. E Paola non sapeva che sono cresciuto a Palermo, a due passi da Partinico, il quartier generale di Danilo Dolci, per me è da sempre una figura importante e familiare al tempo stesso. E come nei suoi testi Dolci usava un linguaggio accessibile a tutti, mai discriminatorio, nel mio lavoro cerco di utilizzare un linguaggio universale o che, comunque, offra più livelli di lettura».
Dietro queste immagini rassicuranti di piante e fiori dai colori sgargianti, ci sono infatti temi drammatici come il riscaldamento globale, le guerre e le migrazioni. «Ma senza scivolare in uno sterile pessimismo. Soprattutto attraverso i miei lavori di arte pubblica (come le installazioni presso il Cooper Hewitt National Museum of Design, la Columbia University di New York, la Galleria d’Arte Moderna di Bologna o il Musée de Design et d’Arts Appliqués Contemporains di Losanna, ndr), creo immagini esteticamente attraenti per contribuire a riflettere e a cambiare direzione. Perché stupore e meraviglia smuovono le coscienze molto più della paura».