“Restituire appeal. Un lavoro da rifondare”. Il dibattito al tavolo numero 2 del Gastronomika Festival del 5 ottobre – moderato da Lidia Baratta, giornalista de Linkiesta – ha permesso agli addetti ai lavori di riflettere sulle difficoltà, i problemi strutturali e gli scenari futuri del settore della ristorazione, uno dei più colpiti dalle restrizioni pandemiche, dalla crisi delle materie prime e dai rincari energetici. Un comparto che, durante il primo lockdown del 2020, si è per la prima volta guardato allo specchio, agendo con uno spirito di categoria rimasto finora latente.
Hanno partecipato al tavolo figure professionali attive nella media e nell’alta ristorazione, ma anche nella ristorazione quick service. E tutti, o quasi, durante lo stop per il Covid si sono resi conto di non poter più proseguire viaggiando su ritmi di lavoro da più di 12-14 ore giornaliere. Il problema, però, è che le chiusure hanno costretto i proprietari ad adottare scelte drastiche: licenziare o non rinnovare i contratti in scadenza. Scelte che hanno per l’ennesima volta rimandato la rifondazione di un settore da sempre caratterizzato da ritmi di lavoro e costi elevati, margini ridotti, tutele sindacali poco efficaci (e poco uniformi) e un contratto nazionale vecchio.
«Il Pd, dopo la sconfitta alle elezioni, si è svegliato all’improvviso dicendo di voler rifondare il partito. Nel nostro comparto è successa una cosa simile. I problemi esistono da tempo e la pandemia ha solo accelerato il processo. Abbiamo lasciato a casa dei dipendenti: è una cosa che ci ha strappato il cuore. Con la ripresa, la mole di lavoro è tornata a essere quella di prima, ma è mancato il personale: è paradossale perché prima abbiamo lasciato a casa gente, e ora siamo a corto di risorse umane», racconta Danilo, responsabile delle pubbliche relazioni presso Belmond Management Limited, azienda inglese che opera nel settore turistico.
«Ho perso la metà della brigata durante il lockdown: tutti i contratti in scadenza non sono stati rinnovati. Ora abbiamo il doppio del lavoro, un’affluenza maggiore e tre persone in meno in cucina. Si è creata la paura di tornare a chiudere. Conosco persone che hanno smesso di fare i commis per convertirsi a rider, paradossalmente attratti da orari migliori, più tempo libero e stipendi identici», spiega Pierluigi, chef del ristorante romano Achilli al Parlamento.
Alcuni partecipanti al tavolo, come ad esempio Jacopo della Langosteria, hanno notato un cambio di mentalità soprattutto tra giovani e giovanissimi, al tempo stesso volenterosi e attenti all’equilibrio lavoro-vita privata: «I giovani vogliono tempo per sé stessi, stare a casa la sera, vedere gli amici: roba che noi, alla loro età, non facevamo. La nuova generazione va orientata. Nel mondo della ristorazione si tira spesso la corda, ma siamo arrivati a un punto di rottura. Bisogna rivedere gli orari di lavoro».
Secondo William, chef in un’azienda agricola piemontese, i giovani hanno bisogno di essere maggiormente coinvolti, anche attraverso seri investimenti nella formazione continua: «La colpa è anche della scuola alberghiera, che non sta dietro all’innovazione nel campo della ristorazione. Serve una formazione continua per dare una motivazione in più. Mancano investimenti nella professionalità. Il tuo lavoro finisce quando esci dal ristorante: non ci sono contatti con i fornitori, non ci sono esperienze extra, non c’è coinvolgimento».
Ma tra il dire fare c’è di mezzo il mare, come si suol dire. E il mare, secondo la maggior parte dei partecipanti al tavolo, è rappresentato dalle tasse, specialmente quelle sui dipendenti. I ristoratori lamentano la presenza di «contratti non reali», in cui ti ritrovi in busta paga la metà delle ore. O, ancora peggio, un capo partita che viene assunto come stagista, ricevendo il resto in nero.
«Se io volessi pagare i miei ragazzi come vorrei, non potrei. Ci troviamo di fronte a tassazioni assurde», sostiene Lorenzo del ristorante Acqua a Luni (SP). «Lavoro in una piccola realtà provinciale, posso metterci tutto l’impegno del mondo ma mi scontro con limitazioni oggettive e problemi di budget. La tassazione è la stessa per tutti e per noi il peso è molto più grande rispetto a una realtà come Milano», dice Andrea del ristorante Andree a La Spezia. Ma per Danilo, che lavora nelle pubbliche relazioni, la tassazione viene spesso usata «come capro espiatorio» per non affrontare problemi di natura strutturale.
Mancanza di personale dopo i tagli dovuti alla pandemia, costi energetici alle stelle, carenza di materie prime, ritmi di lavoro spesso non sostenibili, tasse elevate. Quali sono le soluzioni per riformare il comparto e soddisfare la domanda tornata ai livelli pre-pandemia? Le ipotesi emerse sono tutte interessanti, ma ovviamente non applicabili in maniera uniforme: il settore della ristorazione è estremamente frammentato.
C’è l’intrigante caso di Alessandro, che ha una catena di tacos bar a Milano (Chihuahua Tacos) e ha deciso di puntare sulla tecnologia per ovviare alla mancanza di personale: «Non trovavamo persone né per la sala né per la cucina, e allo stesso tempo non volevamo ridurre gli stipendi o i giorni di riposo dei nostri dipendenti. Abbiamo quindi deciso di puntare sull’innovazione: ordini tramite codici Qr al tavolo che vanno direttamente in cucina grazie a un software di monitor, comande con colori diversi a seconda dell’ordinazione… abbiamo un sistema informatico che dice agli operatori esattamente cosa devono fare». La tecnologia, quindi, può essere un supporto per gestire ritmi di lavoro concitati, valorizzando al tempo stesso la professionalità dei dipendenti.
Un’altra soluzione emersa? Fare un solo servizio, rinunciando al pranzo o alla cena: «Stiamo riflettendo se fare una scelta del genere, ossia chiudere a pranzo e fare solo la cena. In questo modo faremmo solo otto ore al giorno». L’affitto rimane uguale, mentre i costi delle materie prime, della corrente e del gas salgono: rinunciando a qualcosa, forse, si può risparmiare e dare più spazio alla qualità. Per riformare il settore bisognerebbe inoltre puntare di più sulla leadership femminile, anche se la situazione sta (seppur lentamente) migliorando: è il tema sollevato dalla blogger Carlotta (La Panza Piena), unica donna presente al tavolo. Infine, c’è chi propone un «sistema di risorse umane che permetta ai dipendenti di esplorare più reparti, per capire in quale si trova meglio ed essere più motivato»: un’idea definita da alcuni non realizzabile in termini pratici e legali.