La parrucchiera di Hannover Se l’internet non trova niente da rimproverarti, vuol dire che non hai mai detto niente d’interessante

Ma c’è chi vive da influencer e ancora non ha capito che è meglio guardare a destra e sinistra prima di attraversare la strada dei social

Photo by Egor Myznik on Unsplash

Elenco non esaustivo di cose di cui, fossi meno parrucchiera e più monaco, scriverei oggi, invece che dell’ennesima stronzata detta su Instagram e delle ennesime reazioni ipertrofiche: il nuovo libro stupendo di Michael Pollan, “Piante che cambiano la mente”; l’interessante momento del “Racconto dell’ancella” in cui al delitto non segue il castigo; il ritorno del caso Rogati, che solo ora si capisce essere degna celebrazione del quinquennale del caso Weinstein; il tentativo di Trenitalia di limitare le battute stracche sulla vittoria della Meloni facendo arrivare tutti i treni in ritardo.

Ci sono due ragioni per cui io, che non mi ricordo il romanzo che ho letto ieri, ricordo perfettamente una frase d’un’intervista di trent’anni fa. La seconda è che trent’anni fa i miei neuroni avevano ancora una qualche tonicità e la capacità di conservare informazioni. La prima è che quella frase la ripeto più spesso di certi versi di Guccini o di certi dialoghi del “Laureato”.

L’intervista era a Michele Serra, e la frase che riportava era di Hans Magnus Enzensberger. Diceva che i monaci cistercensi avevano trecento informazioni, ma sapevano metterle in collegamento tra di loro e quindi avevano una cultura. La parrucchiera di Hannover, invece, ha seimila nozioni, tra nomi di shampi e di cantanti, ma non sa metterle in relazione e costruirne qualcosa, e quindi non sa niente.

Trent’anni fa non c’erano i reality, non c’erano i social, non c’era un decimo del rumore di fondo che c’è ora. La parrucchiera di Hannover dei primi anni Novanta somigliava più a un monaco cistercense di quanto somigliasse a quelle mostruose creature che siamo noialtri, parrucchiere di Hannover degli anni Venti.

La parrucchiera di Hannover di oggi ha probabilmente trentamila nozioni, tra partecipanti al Grande Fratello, flirt di parzialmente famosi, inciampi reputazionali di gente dell’Instagram, corna di sua cognata, teorie sul vaccino della tizia che viene a farsi il colore ogni terzo giovedì del mese, pareri sulle politiche economiche mondiali orecchiati su TikTok – e non ha né voglia né modo di procurarsi gli strumenti perché queste informazioni diventino una cultura. Google l’ha illusa che il modo ci sia, ma su Google devi sapere cosa cercare. Sennò ti ritrovi con trentacinquemila nozioni, e sempre con l’incapacità di capirne i legami.

Monaci cistercensi quasi non ce ne sono più. La settimana scorsa lo scandalo impermanente ma pervasivo dell’Instagram era il fatto che una tizia che nessuna persona con un lavoro normale aveva mai sentito nominare avesse filmato una storia di Instagram – cioè: un video di quindici secondi la cui caratteristica precipua è sparire dopo ventiquattr’ore, non venire rilegato in un Meridiano – in cui diceva che i vecchi si ostinavano a votare invece di stare chiusi in casa, e a non morire benché vecchi. La tizia era una di quelle che vivono di sponsorizzazioni sull’Instagram, e quando mi hanno fatto vedere il video ho pensato fosse sponsorizzato dall’Inps, che immagino disperatissima a ogni tweet in cui qualche altra parrucchiera di Hannover parla dei genitori centoquattrenni.

Nessun sistema pensionistico è fatto per mantenere i cittadini per cinquant’anni (e infatti stanno tutti collassando – o meglio, sono collassati da un pezzo e vengono tenuti in vita molto più a fatica dei centoquattrenni), ma anche un cretino capisce che questo è il grande indicibile. Perché dire «vecchi attaccati alla vita» è eugenetica? Ma figuriamoci.

Perché, visto che appunto non muore più nessuno, abbiamo tutti in casa un padre, una nonna, un vegliardo che guai se ce lo tocchi. E quindi le reazioni alla Vongola75 dello scandalo sono state: vieni a dirglielo in faccia a mia madre che deve morire. Abbiamo sostituito l’epistemologia identitaria alla critica culturale, non è certo la prima volta che lo scandale du jour ci dà modo di notarlo, i più pacificati di noi si sono già da un po’ arresi a questo stato di cose. Puoi dire che la Meloni deve morire, perché se lo dici hai il genere di pubblico che ha il tuo stesso avversario politico e come te vede nell’avversario politico il male assoluto; ma non puoi dire che i vecchi devono morire, perché la vecchiaia attraversa l’arco costituzionale ed entra in famiglia.

In “This England”, la storia di come Boris Johnson si è trovato travolto dalla Brexit e dalla pandemia e da tutt’un complesso di sfighe (è su Sky), la storia di Andrew Sabisky viene liquidata in venti secondi. Sabisky era un consigliere al quale capitò quel che accade dieci volte al giorno a qualche minorissimo personaggio pubblico nell’epoca dei social: trovarono delle sue affermazioni razziste, scandalo, linciaggio, richiesta della sua testa.

È un meccanismo che conosciamo tutti, perché se l’internet non trova niente da rimproverarti vuol dire che non hai proprio mai detto niente d’interessante. È un meccanismo le cui conseguenze differiscono, ma che tutti teniamo presente: decido di dire a un orfano di guerra che sta giocandosi la carta da orfano per averla vinta in una discussione: lo faccio perché so che l’epoca di Wanna Marchi è finita, e nessuno compra più da un commerciante sgradevole, ma so anche che il mio lavoro non è vendere ai lettori capsule di caffè. Faccio una valutazione delle conseguenze, prima di dire sgradevolezze. Guardo a destra e a sinistra, prima di attraversare la strada.

E quindi la domanda è: puoi essere quel genere di parrucchiera di Hannover che di mestiere vende all’internet barrette dietetiche, o armadi divisi per colore, o corsi di yoga, e non sapere esattamente cosa succede se dici una cosa sgradevole? Alla fine dell’“Era della suscettibilità” scrivevo quanto mi stupissero quelli che, quando l’incidente stradale dell’internet del giorno li riguardava, trasecolavano esalando che mai si fosse vista una simile aggressività, una simile risonanza, una simile decontestualizzazione: si vedono tutti i giorni, guarda oltre lo specchio ogni tanto.

Però gli esempi cui mi poggiavo erano quelli d’un medico e d’un cantante; era grave non capissero il meccanismo, ma non grave quanto lo è il fatto che questo caso, riguardando una delle commercianti dell’internet, abbia destabilizzato tutte le Vongola75 che sull’internet vivono e lavorano e in quell’eventualità si specchiano: quella che ha invocato una strage di vecchi riuscirà ancora a vendere i suoi consigli di stile al mercato dell’Instagram? Sono giusti i linciaggi online? Sere fa ero in mezzo a un po’ di questi benestanti per caso che non si erano chiaramente mai interrogati prima sulle dinamiche del loro settore, e anche ora non erano in grado di farsi le domande giuste, e mi sembravano quella vignetta di Altan, «Chi siamo? Dove andiamo? Che codice fiscale abbiamo?».

È giusta la fame nel mondo? È pericoloso appaltare alle folle dell’internet e alla loro aggressività la balzana idea di giustizia delle folle stesse? Ha senso aspettarsi che le parrucchiere di Hannover si accorgano dei meccanismi anche quando non cugine di terzo grado delle vittime degli stessi?

Nessuno guardava i fatti da una prospettiva che aiutasse a capirci qualcosa, e perché aspettarselo: nessuna persona minimamente attrezzata s’aspetta opinioni informate da chi parla alla telecamera d’un telefono, né analisi illuminanti di fenomeni. Sono fotogenici, mica studiosi.

Mentre osservavo l’ipnotica capacità dell’umanità di non imparare niente, Alessandro Cattelan esponeva il caso in televisione, riducendolo a termini comprensibili da società meno ottuse della nostra: sì, va bene, una che riordina armadi ha detto una stronzata, «non l’ha detta Mattarella».

Solo che ormai è successa questa disgrazia qui, ed è irreversibile: che dobbiamo essere tutti presentabili, impeccabili, a prova di ricerche d’archivio. Mattarella come Cattelan, i consiglieri di Boris Johnson così come le tizie che parlano di vestiti su Instagram. Le eccezioni sono (siamo) pochissime, e si sentono (ci sentiamo) chiedere: sì, ma allora tu perché continui a lavorare, stronza come sei? Credo c’entri il non essermi mai candidata né al governo né a vendervi tisane drenanti, ma magari mi sbaglio. Credo c’entri anche il mio rifiutarmi d’imparare i nomi d’ogni Vongola75 protagonista d’un qualche scandale du jour: come possono le multinazionali annullare contratti per danno reputazionale a me, ultima dei monaci cistercensi?

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