Il bikini di Sylvia PlathIl romanzo d’esordio di Giada Biaggi è un cocktail di comicità e disperazione (erotica)

Un romanzo edito da Nottetempo fuori dall’ordinario, capace di sorprendere per l’ironia dei monologhi dove filosofia, moda, milanesità, stereotipi sul sesso e lotta al patriarcato si intrecciano a dialoghi fantasmatici con Freud, Woody Allen e Nanni Moretti. Per i lettori de Linkiesta Eccetera un estratto esilarante

Giada Biaggi, autrice del romanzo Il bikini di Sylvia Plath (Nottetempo). foto credit: Olimpia Italiani

La storia de Il bikini di Sylvia Plath è la storia di Eva: brillante dottoranda in Filosofia dell’arte che studia la performance femminista, ma «detesta il patriarcato negazionista che si annida dietro i manierismi della Dandy-Accademia e dell’intellighenzia mondana», racconta l’autrice Giada Biaggi. Per i nostri lettori un estratto dal libro, edito da Nottetempo, che è solo un assaggio della poetica ironica, sfacciata ma anche molto sottile della giovane scrittrice, oggi anche stand-up comedian e autrice di podcast – il suo podcast Philosophy & the City, che attraverso un confronto ironico con la filosofia affronta le tematiche più rilevanti del dibattito contemporaneo, ha scalato le classifiche di Spotify.

Il bikini di Sylvia Plath, Giada Biaggi (Nottetempo)

Alcuni motivi materiali e immateriali per cui vale la pena vivere (redatti con il consiglio del Fantasma di Freud nella sua prima e penultima apparizione)

  • Gli evidenziatori Stabilo color pastello. Che ci ricordano la precarietà dei colori fluo e del compito per cui sono stati creati, ovvero mettere in evidenza. 
  • La Coca- Cola con ghiaccio e limone il primo giorno di mare. Inizialmente la vuoi senza niente, poi vedi quella del tizio davanti e desideri sia il ghiaccio che il limone. Coca- Cola, ghiaccio e limone: un facile accesso gustativo all’idea di perfezione (questo il mio motto). Ordinandola mi chiedo spesso perché facciano ancora la pubblicità della Coca- Cola, perché c’è ancora bisogno di Babbo Natale e delle sedie di plastica dei kebabbari con scritto Coca-Cola? La berremmo comunque per essere felici, la tramanderemmo ai nostri figli. I limoni e il ghiaccio lal’ inseguirebbero per tuffarcisi dentro con o senza marketing, con o senza macro-cartelloni pubblicitari nelle highway del Nevada. 
  • L’odore di cloro delle piscine al coperto che ti ricorda l’infanzia come un liquido amniotico, come il brodo primordiale e come lo squalo che avrebbe segnato la fine della tua predetta infanzia, e vita in generale, se solo ti fossi fatta scappare un goccio di pipì in vasca.
  • I baci sul collo dati per la prima volta a uno sconosciuto che sai che condurranno a un rapporto sessuale senza preservativo e con coito interrotto.
  • Il pensiero che un giorno qualunque cosa sia “te la potrai permettere”. 
  • Quello che c’è dentro il cervello di Dolly Parton quando si toglie la parrucca e si guarda allo specchio. 
  • Quando la persona che ti piace ti chiama la prima volta al telefono e tu rispondi sgarbata pensando sia un call center perché non hai ancora salvato il suo numero per scaramanzia. Provi un tipo molto specifico di imbarazzo, irriproducibile in laboratorio. Si tratta di un imbarazzo che ti fa sentire umana/o/*.
  • Le borse di Chanel appartenute a Simone de Beauvoir. Nella piccola tasca interna di una di loro vedo l’indirizzo scritto su un bigliettino che le ha lasciato uno studente o un cameriere.
  • Quello che c’era dentro al cervello di Jacques Prévert quando scrisse la poesia Barbara. Un amore fortissimo e non corrisposto.
  • Il ricordo dell’edonismo degli anni ottanta così come espresso gastronomicamente attraverso il cocktail di gamberetti o l’aragosta alla catalana in vendita al banco gastronomia dell’Esselunga. 
  • L’estrema serietà che si impossessa di te dopo che ti sei masturbata con un porno in cui una donna è travestita da Maleficent e fa un pompino a un anziano signore. 
  • I post-it segnalibro plastificati. 
  • Il Buscofen Act per i dolori mestruali nella sua confezione  rosegold. Se l’avessero fatta rosa e basta, non lo avrei mai e poi mai inserito in questo elenco. Ma il riflesso metallizzato della scatola trascende le convenzioni del cromatismo capitalista patriarcale. Ecco che, così, la scatola dell’ibuprofene si fa ode alla bellezza del creato.
  • Il lubrificante al caramello che rende il sesso orale un qualcosa di umanamente gestibile in qualsiasi momento. Mi conforta pensare che lo abbia brevettato una donna alla quale non piaceva fare pompini.
  • I libri sottolineati da qualcun altro che prendo in biblioteca e mi fanno sentire meno sola durante la lettura. Ma anche meno sola al mondo in generale.
  • Il pensiero che Courtney Love sia sopravvissuta alla morte di Kurt Cobain e sia sempre rimasta una donna bionda con la ricrescita per gli anni a venire. 
  • Quello che c’era dentro il cervello di J.K. Rowling prima che iniziasse a scrivere Harry Potter. Una forte mancanza di serotonina e un cuore spezzato da un matrimonio fallito, stando alle interviste rilasciate.
  • Quello che c’era nel cervello di mia madre il giorno in cui si innamorò di mio padre e viceversa. 
  • Quello che c’è dentro il cervello di ogni psicoterapeuta quando compra i Kleenex per i propri pazienti. E poi anche quello che c’è dentro il cervello di ogni psicoterapeuta quando compra il tavolino dove sistemare i Kleenex e il piccolo cestino di vimini per i Kleenex usati. Infine, quello che c’è dentro il cervello di ogni psicoterapeuta quando svuota a fine giornata quel cestino.
  • Quello che c’è dentro il cervello di Miuccia Prada quando esce dal suo ufficio scendendo lo scivolo di Carsten Höller. 
  • Il visualizzato e risposto istantaneo della persona che ti piace. Una botta di autostima. Una necessità. Una corrispondenza di intenti inequivocabile. 
  • La fisarmonica all’inizio di Albion dei Babyshambles esattamente come suonata nel live della band a Glastonbury del 2007.

 

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