Nel ciclico interscambio dei percorsi migratori che più preoccupano l’Unione Europea tocca ora, di nuovo, alla rotta balcanica. Sotto esame e sotto accusa, da parte di governi e istituzioni dell’Ue, ci sono le frontiere esterne con la Serbia.
Da gennaio a settembre 2022 l’agenzia Frontex segnala 106mila ingressi irregolari nell’Ue dai Paesi dei balcani occidentali, il 170% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Pur restando ben al di sotto di quella del Mediterraneo centrale in termini numerici assoluti, è la rotta che ha fatto registrare il maggior aumento percentuale, in un contesto complessivo in forte crescita: gli attraversamenti illegali in tutta l’Unione sono stati il 70% in più dello scorso anno.
Nello specifico, allarma la situazione ai confini tra la Serbia e gli Stati europei, che a cascata accresce anche le richieste d’asilo negli Stati vicini, ma non confinanti: la Slovenia, ad esempio, ha riportato un incremento del 115% nelle domande di protezione e l’Austria ha dovuto rinforzare la sorveglianza di confine e ha arrestato circa 70mila migranti dallo scorso maggio.
La preoccupazione è tale che il cancelliere austriaco Karl Nehammer e il presidente ungherese Viktor Orbán hanno incontrato di recente il loro omologo serbo Aleksandar Vučić, chiedendogli di «allineare la sua politica di visti a quella dell’Ue». Stessa richiesta formulata dal commissario allo Stile di vita europeo Margaritis Schinas dopo un tour diplomatico nei Balcani.
Quella agli Affari interni Ylva Johansson è stata ancora più diretta, affermando di non escludere la revoca dell’accordo con la Serbia che permette ai suoi cittadini di entrare nell’Ue senza visto. «La Serbia ci ha promesso di adeguare la sua politica di concessione dei visti alla nostra. Mi aspetto collaborazione e credo non ci saranno problemi. Se così non fosse, non escludiamo altre misure», le sue parole nella conferenza stampa al termine dell’ultimo consiglio dei ministri degli Affari interni.
Belgrado ha infatti, oltre a quello con l’Unione, una serie di altri accordi visa-free. Si tratta di intese bilaterali, grazie a cui ai serbi non serve un visto per entrare in determinati Paesi del mondo. La stessa regola si applica al contrario: in Serbia possono entrare senza chiedere permesso persone di diverse nazionalità.
Tra queste ci sono ad esempio i cittadini di Stati africani come Tunisia, Egitto e Burundi, ma anche asiatici come India e Turchia o americani come Cuba. Per raggiungere un Paese dell’Unione Europea dovrebbero ottenere un visto: così, sempre più spesso, vanno invece in Serbia e si presentano alle frontiere per entrare in maniera irregolare nell’Ue.
«Abbiamo cominciato a vedere cittadini del Burundi già nel 2021 e la loro presenza è aumentata progressivamente. All’inizio di quest’anno sono comparsi i tunisini e dall’estate anche egiziani e indiani», racconta a Linkiesta Milica Svabic, avvocata dell’organizzazione Klikaktiv, che fornisce assistenza legale e supporto umanitario alle persone bloccate alle frontiere.
La Serbia confina con quattro Paesi dell’Unione Europea: Bulgaria, Romania, Croazia e Ungheria. Ma solo quest’ultima appartiene all’area Schengen e offre quindi teoricamente libertà di movimento verso gli altri Stati dell’Unione. Forse anche per questo il valico serbo-ungherese è il più trafficato, con la città di confine di Subotica a fare da hub di transito e i villaggi circostanti di Horgos e Sombor costellati di accampamenti informali.
«Ci sono dei campi di accoglienza statali, ma sono quasi tutti pieni. La maggior parte delle persone si installa dove può, in attesa di tentare l’attraversamento», spiega Svabic. «Le condizioni igieniche e sanitarie sono pessime: qui le persone non ricevono nessun aiuto se non quello che arriva dalle organizzazioni umanitarie».
Respinti e picchiati
Nonostante la comparsa di un numero crescente di africani e indiani, le nazionalità più rappresentate tra i migranti rimangono afghani e siriani. Secondo le testimonianze dirette raccolte da Klikaktiv, i primi fuggono dal loro Paese di origine pagando circa duemila euro ai trafficanti di esseri umani per arrivare in Serbia via aereo e altri duemila alle reti di trafficking locali che dovrebbero portarli oltreconfine.
I siriani invece sono emigrati da anni, dice Milica Svabic, e molti sono stati a lungo in Turchia, prima che il Paese cambiasse politica di accoglienza e cominciasse ad espellerli.
«Una volta arrivati a ridosso del confine, queste persone cercano chi possa fargli superare la frontiera di nascosto. Sia i campi regolari che quelli informali sono sotto il totale controllo delle reti di trafficanti». Impossibile pensare di farcela in autonomia, vista anche la frontiera estremamente militarizzata che si trovano davanti, con recinzioni, elicotteri in pattugliamento, droni e telecamere di sorveglianza.
L’unica soluzione è sborsare grosse somme per avere in cambio un passaggio guidato attraverso i boschi, o magari nascosti sul retro di un veicolo. In una dinamica divenuta nota come “The game”, i migranti tentano ripetutamente di attraversare la frontiera e ripetutamente vengono respinti. Spesso in modo violento.
«Abbiamo incontrato persone con ferite, abrasioni, arti rotti e ogni sorta di frattura», racconta Svabic. Non è raro nemmeno che gli agenti si abbandonino ad atti di pura umiliazione: «A un ragazzo hanno urinato addosso, altri hanno bruciature di sigarette su tutto il loro corpo».
Le vicende riportate dall’associazione avvengono spesso in territorio europeo. Teoricamente chiunque si trovi entro i confini di un Paese dell’Ue, anche a seguito di un attraversamento irregolare, avrebbe diritto a chiedere asilo. Invece di solito viene allontanato tramite pushback, respingimenti collettivi contrari alle leggi comunitarie.
Chi è stato riportato in Serbia dice di aver incontrato non solo agenti ungheresi, ma anche austriaci o tedeschi. Ci sono sicuramente gli uomini di Frontex, che ha una missione aperta nel teatro dei Balcani occidentali e grazie agli accordi con Belgrado può operare anche in territorio serbo.
Il suo personale sarebbe tenuto a segnalare ogni caso di sospetta violazione di diritti umani perpetrata dalle autorità nazionali, ma un rapporto dell’Ufficio anti-corruzione dell’Ue ha svelato come spesso sia più conveniente insabbiare questi episodi piuttosto che denunciarli. Nel quadro complicato delle migrazioni in Europa, neanche l’Agenzia deputata al controllo delle frontiere è garanzia di rispetto del diritto comunitario.