Gli americani per tradizione amano frenare il presidente in carica, votando per il partito di opposizione a metà del primo mandato. Negli ultimi 20 anni solo George W. Bush è riuscito a vincere le elezioni di midterm. Ma era il 2002, e l’anno precedente c’era stato l’11 settembre a trasformarlo nel leader nazionale di un paese sotto attacco.
Il vecchio Biden è, dunque, il presidente che ha ottenuto il miglior risultato da molti anni a questa parte alle elezioni di metà mandato: il suo partito mantiene la maggioranza al Senato, mentre alla Camera il vantaggio dei repubblicani, se sarà confermato, è solo di una manciata di seggi a fronte di previsioni che annunciavano ondate conservatrici che non ci sono state.
Soprattutto, sono stati sconfitti i negazionisti della vittoria di Biden del 2020, i quali negli Stati decisivi per le prossime presidenziali martedì scorso si sono candidati ai posti di gestione e di certificazione del voto con l’obiettivo dichiarato di negare, secondo le indicazioni golpiste di Trump, un’altra eventuale vittoria dei Democratici nel 2024. Gli americani hanno preferito eleggere i candidati che rispetteranno il conteggio dei voti e la democrazia ha tenuto botta ancora una volta.
Il motivo di questo inaspettato risultato di Joe Biden è certamente Biden, ma anche la cattiva influenza che Trump, i candidati trumpiani e le politiche golpiste trumpiane hanno avuto sugli elettori repubblicani e sugli indipendenti.
Il moderatismo democratico di Biden è una soluzione politica che continua a funzionare contro il nazionalismo golpista trumpiano. Al contrario di quanto pensa l’ala radical socialista dei Democratici, il moderatismo democratico di Biden non è una rinuncia ai principi liberal progressisti, ma un metodo serio, pragmatico e riformista per affermarli con più forza e precisione.
Dall’altra parte, invece, si apre una guerra civile dentro i repubblicani tra Trump e il resto del partito che non è meno pericoloso di Trump. Ron DeSantis, rieletto governatore della Florida, è un Trump più intelligente e meno narciso e per questo potenzialmente è più efficace nel portare avanti le istanze nazionaliste, antidemocratiche e reazionarie dell’ex presidente.
La conseguenza più importante del risultato elettorale, almeno per noi europei e per gli ucraini, è che adesso siamo certi che la politica americana sulla guerra russa all’Ucraina non cambierà di una virgola. Non sarebbe cambiata comunque – nemmeno in caso di vittoria repubblicana, figuriamoci con le camere divise perfettamente a metà – anche se è ovvio che per gli ucraini e per gli europei sarebbe stato meglio che il Partito democratico avesse mantenuto anche la guida della Camera, esattamente come per gli ucraini e per gli europei, per non parlare degli italiani, sarebbe stato meglio che a Palazzo Chigi fosse rimasto Mario Draghi, ma così come con Giorgia Meloni il sostegno italiano all’Ucraina nella sostanza non cambierà, non cambierà nemmeno quello americano con i repubblicani un po’ più forti di prima. Buona parte dei repubblicani, peraltro, non è sotto scacco dei russi come Trump e i suoi accoliti. Quindi bene.
Addirittura benissimo se si leggono le parole di Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, che alla vigilia del G20 in Indonesia ha ribadito con chiarezza che la posizione degli Stati Uniti sulla guerra russa all’Ucraina è sempre la stessa e ruota intorno a cinque pilastri ben definiti:
1) spetta soltanto all’Ucraina decidere se, quando e su cosa negoziare;
2) l’America non farà nessun tipo di pressione sugli ucraini per negoziare con i russi;
3) non ci può essere pace senza integrità territoriale dell’Ucraina;
4) la Russia non è in buona fede;
5) l’America farà di tutto per mettere l’Ucraina nella miglior posizione possibile sul campo in modo che quando l’Ucraina deciderà di negoziare potrà farlo su una posizione di forza.
Queste le parole del consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, confermate da un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina del valore di 400 milioni di dollari per altri sistemi di difesa anti aerea per proteggere le truppe e i civili dagli attacchi russi con i droni di fabbricazione iraniana.
Da quando è cominciata l’invasione russa, gli Stati Uniti hanno inviato sistemi di difesa militare per oltre 18 miliardi e mezzo di dollari, grazie ai quali il governo di Kyjiv ha protetto la popolazione civile ucraina dai crimini di guerra russi e ha consentito alla Zsu, l’esercito ucraino, di riconquistare tutto il fronte nord orientale del paese e, come è successo a Kherson, di avanzare anche su quello sud orientale.