Politica ciecaLa proposta della Commissione sugli imballaggi è un sintomo del declino industriale europeo

Il nuovo regolamento vorrebbe demonizzare il mercato e l’iniziativa imprenditoriale, dimenticando che queste sono il motore della nostra economia. L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni su Linkiesta

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La Commissione europea sembra in procinto di approvare una nuova proposta di regolamento sugli imballaggi. L’idea di fondo pare essere – ancora una volta – che il mercato e l’iniziativa imprenditoriale non sono uno strumento per risolvere i problemi ambientali, ma un ostacolo. Di conseguenza, la proposta prevede una serie di obblighi e divieti orientati a ridurre la quantità di imballaggi e a sostituire i materiali oggi impiegati con altri ritenuti ecosostenibili.

Sarebbe facile obiettare che questo approccio rischia di penalizzare fortemente quei Paesi e quei settori industriali che, rispettando le norme e contribuendo a migliorare le caratteristiche di sicurezza, igieniche e ambientali degli imballaggi, sono diventate eccellenze nel mondo. Ma il problema è molto più ampio. Dietro la proposta di regolamento c’è un atteggiamento ideologico anti-mercato e anti-iniziativa privata che traspare in modo netto da due scelte di fondo.

La prima scelta è quella di penalizzare, attraverso gli imballaggi, i prodotti imballati: cioè di penalizzare l’organizzazione industriale del lavoro e delle catene distributive, a favore di un accorciamento delle filiere e del mitologico chilometro zero. Sfortunatamente per la Commissione, non c’è alcuna evidenza che le produzioni a chilometro zero e le filiere corte siano più sostenibili, dal punto di vista ambientale, rispetto a industrie più organizzate e complesse. Spesso è vero il contrario. Di certo l’accorciamento delle filiere e la moltiplicazione dei centri di produzione e distribuzione riduce la capacità di controllo.

La seconda scelta – coerente, per la verità, con altre in settori quali l’energia e l’automotive – è il continuo abbandono del principio della neutralità tecnologica e del «chi inquina paga», che in teoria si pongono alla base della politica ambientale europea. L’opzione sempre più netta è quella a favore di una politica industriale intrusiva, muscolare, arrogante, la quale dà per scontato di possedere ogni informazione presente, passata e futura e su tali basi obbliga la realtà a conformarsi alla lettera delle norme e ai pregiudizi di politici e burocrati.

Sfortunatamente non è mai stato così e difficilmente lo sarà questa volta. L’Europa sta attraversando da anni una profonda crisi industriale. Sono tante le ragioni dietro questo fenomeno e sarebbe sciocco ricondurlo unicamente a scelte politiche. Sarebbe ancora più sciocco, però, ignorare il contributo che politiche mal congegnate hanno dato, stanno dando e daranno al nostro declino.

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