Il momento più straniante della presentazione della guida Michelin, la più importante nel circo gastronomico e la più temuta, amata e odiata dagli chef, è al termine della proclamazione delle nuove stelle. Tutta la tensione si stempera, regna il caos, e nessuno fa quello che gli organizzatori chiedono invano. Risate, pianti, pacche sulle spalle, festa, urla. Gioia e felicità si alternano a pianti liberatori e l’atmosfera è davvero da fine della scuola. Che cosa significhi avere questo riconoscimento è tutto in quei minuti che seguono la cerimonia: è quel senso di appartenenza a una comunità nuova, è quell’obiettivo raggiunto, è la sensazione di sacrificio ripagato. È il senso di attesa liberato che porta alla gioia pura da condividere con persone che forse non conosci, ma di sicuro sai che hanno fatto la tua stessa fatica.
Dopo questo momento, tutti i premiati vanno in sala stampa, e tutto è come sospeso. Gli sguardi si fanno vacui, gli chef con la loro giacca bianchissima, nuova e con la stella ricamata sul petto si guardano intorno straniti, e aspettano, senza nemmeno sapere bene cosa. È un momento divertentissimo, visto da fuori, soprattutto in contrapposizione a quell’euforia totale che si è vissuta solo pochi minuti prima. Subito dopo, è tempo di polemiche, di analisi, di retropensiero.
È esattamente come un dopo partita, ma siccome qui la partita si gioca una volta l’anno, è amplificato all’ennesima potenza. Di base: nessuno è mai d’accordo sulle scelte arbitrali: gli arbitri, in questo caso, sono gli odiati e segreti ispettori della guida. Siamo tutti d’accordo nel non essere d’accordo: solo in pochi casi “lui sì che se la merita”, e in questi pochi casi “la Michelin sì che sa fare il suo lavoro”. Se non ha premiato il tuo favorito, ovviamente, l’ispettore è un venduto al soldo della compagine francese. Le polemiche proseguono per giorni, e man mano gli argomenti si allargano, gli animi si scaldano, e tutto diventa complicatissimo. Di base, questi ragionamenti interessano solo a chi li fa, e a volte nemmeno agli chef coinvolti.
Quello che abbiamo capito quest’anno, e che vi abbiamo raccontato nel dettaglio qui, ci fa guardare queste polemiche con maggiore distacco: la Michelin è una guida, non è critica gastronomica. E al centro del suo ragionamento e delle sue scelte ci sono i suoi lettori, clienti altospendenti di una certa fascia d’età e di reddito (alte entrambe) che vanno coccolati, non stupiti. I consigli degli ispettori devono essere verso ristoranti che rassicurino, che diano al lettore esattamente quello che cerca. Insomma: siamo noi del settore, con le nostre polemiche e i nostri proclami, ad aver dato alla Rossa l’importanza assoluta che ha nel dibattito gastronomico. A loro fa solo comodo, a noi confonde solo le idee. Alla domanda “perché il meraviglioso chef sul lago non ha avuto nemmeno quest’anno la seconda meritatissima stella?” non dobbiamo rispondere “perché la Michelin non capisce la sua genialità”. Perché della genialità di quello chef, all’ispettore in incognito non interessa nulla. Noi continuiamo ad andarci, e lasciamo ai lettori Michelin i ristoranti che più amano: quelli dove si sentono a loro agio e dove tutto è come dev’essere. Francese e tendenzialmente non troppo creativo, anche. Guarda un po’.