Molto probabilmente Partito democratico e Terzo Polo si avviano a un’allegra sconfitta in Lombardia, mancando così una grande occasione: giocare la carta-Moratti anche per scompaginare il quadro politico nazionale.
Perdere la Lombardia infatti per il governo Meloni avrebbe ripercussioni pesantissime e non è detto che reggerebbe uno smacco simile, dato che questa regione è governata dal centrodestra dal 1994, è la terra-simbolo della Lega e del berlusconismo, e alle recenti elezioni politiche prodiga di consensi per Fratelli d’Italia.
La rottura di Letizia Moratti con la destra potrebbe aprire obiettivamente uno spazio di manovra imprevisto per gli avversari di Attilio Fontana e rimettere in gioco le opposizioni in maniera molto forte.
Per Giorgia Meloni e Matteo Salvini – meno per il Cavaliere – la partita potrebbe diventare dunque cruciale, per Salvini addirittura un passaggio per la sopravvivenza politica perché perdere la Regione Lombardia rappresenterebbe un colpo mortale per un partito abbondantemente sotto il dieci per cento nazionale che solo la spregiudicatezza tattica del suo leader e una inspiegabile arrendevolezza di Meloni ha salvato a suon di ministeri da lei concessi.
Resterebbe, alla Lega, il Veneto: che è però di Luca Zaia più che di Salvini. Probabilmente la botta farebbe irrigidire l’ex Capitano su posizioni super-identitarie che come tali creerebbero non pochi problemi al governo (a dimostrazione di questo assunto c’è il caso della nave Humanity 1 sul quale la rigidità “salviniana” della premier ha creato un serio problema con Berlino).
Si tratta di elezioni regionali, certo. Non ci sarebbe nessuna conseguenza istituzionale, nessuna ripercussione automatica sul governo centrale ma è indubbio che una sconfitta della destra in Lombardia verrebbe inevitabilmente letta come una bocciatura in tempi record dell’esecutivo Meloni appena pochi mesi dopo la vittoria del 25 settembre.
Tutti ricordano che nel 2000 Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio, si dimise proprio dopo elezioni regionali nelle quali il centrosinistra non confermò Liguria, Lazio, Abruzzo e Calabria dove governava: ma da sola la Lombardia vale più di tutte e quattro. È chiaro che la situazione è diversa: D’Alema ne fece un test politico nazionale perché cercava in quelle elezioni la sua legittimazione elettorale come premier mentre per Meloni la storia è evidentemente diversa, lei le elezioni le ha vinte.
E tuttavia perdere una regione così fondamentale a pochi mesi dall’incoronazione e in un contesto che già oggi è molto difficile per la giovane leader sarebbe un inciampo non da poco.
La grande occasione si para dunque dinanzi agli oppositori del governo, cioè Partito democratico e Terzo Polo (essendo il Movimento 5 Stelle in questa regione ininfluente): ma non la sapranno cogliere.
Come al solito le divisioni sono già all’ordine del giorno. Lo schema è quello di sempre: un pezzo molto minoritario del Partito democratico mostra attenzione per la candidatura Moratti, la maggioranza no, Letta non ha ancora detto cosa vuole fare ma si è capito che è contrario (Simona Malpezzi ha rilanciato il nome di Carlo Cottarelli, che però non pare in grado di sfondare la destra lombarda). E invece Matteo Renzi – mentre Carlo Calenda non pare seguirlo per la contrarietà dei suoi elettori – è certo che se Partito democratico e Azione-Italia Viva appoggiassero l’ex esponente di Forza Italia potrebbero vincere imprimendo così una svolta alla situazione politica nazionale.
È chiaro che sostenere Letizia Moratti sconterebbe una forte opposizione non solo della sinistra-sinistra, che già non vede l’ora di perdere anche questa tornata elettorale ma anche di larghissima parte del Partito democratico nella legittima convinzione che vincere con una candidata di destra non sarebbe molto diverso da una “normale” vittoria della destra che però non farebbe smarrire l’anima che secondo gli attuali suoi capi non può perdere la sua immacolatezza a colpi di compromessi con esponenti di destra – e Letizia Moratti certo non è di sinistra.
Con il ripudio della più elementare tattica e la coscienza pulita, il Partito democratico si appresta dunque a infliggere ai cittadini lombardi l’ennesima giunta di destra, una replica bonsai del 25 settembre.
È il solito discorso dell’alternativa tra “perdere” e “perdersi”, un dilemma nel quale la parola “vincere” non compare mai: e la storia si ripete, mentre gli anni passano invano.