L’essenziale (questa volta) è visibile agli occhi. Il filo conduttore è il presente, in quella contemporaneità espressiva dell’oggi che sa di passato ma soprattutto prova ad anticipare il futuro. Ma non solo. Ce n’è un altro di filo rosso, quello del posto. Considerare la galleria d’arte come luogo di promozione e divulgazione culturale, come avanguardia sulle proposte emergenti o come scrigno per grandi nomi del passato, è la filosofia di questo andare per gallerie. Che forse riflette un’attitudine ormai acquisita di navigare per differenza, magari per sottrazione, che impone di scegliere il dettaglio, la precisione, nella sovrabbondanza cui siamo immersi.
È il piccolo a vincere nel mondo taglia XXL: consente di andare in verticale, abbandonando, almeno per un attimo, la dimensione orizzontale. Le mostre nelle gallerie d’arte sono degli approfondimenti nei lavori degli artisti che vengono presentati al pubblico, in forma di personale o collettiva: pochi pezzi sceltissimi, esposti secondo un criterio curatoriale ben preciso, a volte affidato all’artista stesso, in uno spazio piccolo che limita e stimola la fantasia. Gli intenti di gallerista, curatore e artista si mostrano insieme alle opere esposte, in uno spazio che rivela qualcosa di sé, magari fino ad allora rimasto nell’ombra. Ecco, l’essenziale. In tre proposte.
Sin-ying Cassandra Ho alla galleria Nilufar
La storia della civiltà è raccontata dai suoi vasi, oggetti d’uso quotidiano, importanti nei commerci, fondamentali nei trasporti e essenziali nella vita domestica. I primi vasi in terracotta risalgono all’incirca al 6mila avanti Cristo, stando alle fonti archeologiche e di quella storia millenaria, ancestrale, quasi, si fa carico Sin-ying (Cassandra) Ho, che con Constructed Realities: Life Beyond Border porta alla galleria Nilufar le sue ceramiche. Si potrebbero chiamare sculture impossibili perché sono vasi non praticabili, sul confine tra arte e design, ma soprattutto al di là di qualsiasi sbarramento culturale, storico, filosofico. Un concentrato interessante che sposta la funzione nella direzione dell’inutile, verso un sublime artistico che sbriciola anche i confini temporali.
Gli stili e le forme di Ho richiamano la storia antica di molte culture, tra cui quella europea (greca, romana, celtica, francese, tedesca), cinese, islamica e dei Maya. Ma soprattutto, parla dell’uomo. Così Ho si ispira ai nomi tecnici degli elementi strutturali del vaso: labbra, collo, spalla, pancia e piede per creare dei mix di silhouette riconoscibili e al contempo estranee, con simboli provenienti dall’Oriente e dall’Occidente dipinti a mano, disegnati digitalmente e poi trasferiti sulla superficie smaltata.
Siamo tra il cubismo e l’ultra contemporaneo, l’antico e il nuovo, attraverso cui l’artista di Hong Kong (ma di casa prima in Canada e ora a New York) fa anche politica. E guarda al mondo globalizzato, ai cambiamenti sociali, all’impatto della tecnologia e del marketing sulle vite di ognuno, in una sintesi con la sua esperienza personale, rappresentata dall’incontro di mondi diversi. Tutto questo, concentrato in un’unica scultura. La mostra è aperta fino a fine gennaio 2023.
Aldo Rossi alla galleria Antonia Jannone
«La cabina è una piccola cosa, è la riduzione della casa, è l’idea della casa». Così ha scritto Aldo Rossi a proposito del suo progetto di cabina per l’Elba, durante un suo soggiorno sull’isola toscana. L’interesse era per il «carattere particolare e universale delle cabine poste sulle spiagge», motivo ricorrente in molti dei suoi progetti, tanto che resta un modello emblematico del suo metodo progettuale, una ricerca tesa a trasferire i motivi architettonici nello spazio domestico e quotidiano.
Ora la cabina con i suoi schizzi e progetti è in mostra fino al 29 dicembre alla galleria Antonia Jannone che, a 40 anni dalla sua prima messa in produzione, ha realizzato, in collaborazione con gli Eredi Aldo Rossi e il supporto scientifico della Fondazione, un’edizione di nove miniature della Cabina dell’Elba, a partire dal modello realizzato da Bruno Longoni Atelier d’arredamento con Rossi nei primi anni ottanta. Antonia Jannone Disegni di Architettura, dall’8 novembre al 29 dicembre.
Più di venti artisti negli spazi di Building e nella basilica di San Celso
Numinoso è un termine che indica una presenza extra-razionale, invisibile, potente al punto da incutere terrore e a un tempo da affascinare. Così lo definiva Rudolf Otto ne Il sacro, un suo saggio del 1917, dove spiega che l’uomo viene accolto dal carattere numinoso del sacro, ambiguo, ambivalente e spaventoso. Ed ecco perché ci sarebbe, stando sempre a Otto, bisogno delle religioni: addomesticano il numinoso, lo disciplinano e lo rendono meno terrorizzante. Numinoso è anche il titolo scelto per una mostra in corso in due luoghi della città, negli spazi di Building e nella basilica di San Celso, dove si confrontano artisti dagli Anni Sessanta a oggi. Che si sono messi sulla soglia, che hanno fatto proprio il numinoso o che hanno cercato di guardarlo, interpretarlo, rappresentarlo.
L’arte diventa così un dispositivo capace di mediare tra l’uomo e l’assoluto. In un discorso intenso e molto interessante che coinvolge oltre venti artisti: Vincenzo Agnetti, Stefano Arienti, Ferruccio Ascari, Francesca Banchelli, Bizhan Bassiri, Alighiero Boetti, Gianni Caravaggio, Gino De Dominicis, Amalia Del Ponte, Chiara Dynys, Lucio Fontana, Gaspare,Francesco Gennari, Arianna Giorgi, Alberto Guidato, Jannis Kounellis, Maria Lai, Sergio Limonta, Marco Andrea Magni, Piero Manzoni, Simone Pellegrini, Michelangelo Pistoletto, Remo Salvadori, Nicola Samorì, Ettore Spalletti e Grazia Toderi (da Building). Mentre Bizhan Bassiri, Gianni Caravaggio, Chiara Dynys, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Remo Salvadori e Nicola Samorì dialogano con i luoghi sacri della chiesa di San Celso. Il progetto è a cura di Giorgio Verzotti. La mostra da Building è visitabile fino al 28 gennaio, mentre quella in San Celso fino al 22 dicembre.