Ogni orfano ucraino, se riuscirà a sopravvivere, saprà che un pacifista accusò il padre di non essersi arreso. Ogni vedova ucraina saprà che un pacifista accusò il marito di non volere la pace. Ogni donna violentata dall’invasore saprà che un pacifista la caricò sul conto delle brutture di guerra, tutte uguali, tutte senza buoni e cattivi, tutte i torti non stanno da una sola parte, tutte ci sono gli interessi economici, tutte ci sono le lobby delle armi, e c’è anche il ritiro dei ghiacciai.
Ogni bambino ucraino deportato, cresciuto secondo il criterio inclusivo del rapitore, obbligato a parlarne la lingua, punito se parla la sua, saprà che un pacifista accusò i suoi genitori di non capire che anche in dittatura si può essere felici. Ogni madre che ha salutato il figlio arruolato per difendere lei, la sua casa, la sua vita, per proteggerla dai bombardamenti, dai saccheggi, dalla tortura, saprà che un pacifista tenne quel difensore del suo Paese per renitente al dovere morale della resa. Ogni moglie in pena per il proprio uomo al fronte saprà che un pacifista definì criminale, irresponsabile, bellicista la fornitura di armi a quel soldato.
Altri invece non sapranno. Non sapranno i civili ucraini, i vecchi, le donne, i bambini uccisi dai macellai che puntano le armi dell’operazione speciale non sui militari ma su di loro, sui vecchi e sulle donne e sui bambini, non sapranno che un pacifista spiegò che «Putin sta puntando sui suoi obiettivi, e nel frattempo cerca di non spaventare la popolazione».
Non sapranno i cadaveri di Bucha e di Izium che un pacifista li passò per attori di una messinscena, perché non c’erano i bossoli, perché c’è tanta propaganda, perché i satelliti americani sono in mano alla Spectre. Non saprà quella madre gravida, uccisa nell’ospedale incenerito, e non saprà il bambino morto nel suo ventre, che nessun pacifista aprì bocca quando le immagini del loro massacro furono contraffatte dalla storia sul covo di nazisti camuffato e sulle modelle chiamate ai margini dei crateri a fingersi ferite con la faccia pitturata di rosso. Non saprà il bambino esausto di sangue su un marciapiede di Kyjiv che un pacifista definì la sua morte «un caso particolare e basta».
Sappiano tuttavia i superstiti di quel popolo massacrato che noi sappiamo. E abbiamo le prove.