La pacchia è finitaL’Europarlamento boccia le finte riforme di Orbán e chiede alla Commissione di congelargli i fondi

Si va verso una sospensione condizionale: niente soldi senza reali miglioramenti nel contrasto alla corruzione. A Strasburgo, Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro: cosa farà il governo al Consiglio?

Viktor Orban
Foto: Associated Press/LaPresse

La scorsa domenica alla Puskas Arena di Budapest si è disputata l’amichevole tra Ungheria e Grecia, due squadre che non si sono qualificate per i Mondiali di calcio in Qatar. Una partita non particolarmente elettrizzante ma che si è fatta notare fuori dal campo. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha pensato che fosse opportuno, in questo particolare momento storico, presentarsi alla partita con indosso una sciarpa raffigurante la mappa di quello che fino al 1918 era il Regno d’Ungheria – che comprendeva gli attuali territori di Austria, Slovacchia, Romania, Croazia, Serbia e Ucraina. Una mossa che non è piaciuta soprattutto a Kyjiv che ha subito convocato l’ambasciatore ungherese.

Sotto esame
Orbán, grande amico di Putin, non risparmia provocazioni mentre si trova nel pieno di un braccio di ferro con l’Unione europea e mentre a Bruxelles sono in corso le valutazioni su un eventuale stop di una parte dei fondi europei destinati all’Ungheria. La proposta di congelamento del sessantacinque per cento del fondo di coesione (circa 7,5 miliardi) e di circa 5,8 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinati all’Ungheria deriva dalle continue violazioni dello stato di diritto, dai problemi con il sistema elettorale e con l’indipendenza della magistratura e dal rispetto delle libertà dei cittadini.

Il Paese convive inoltre con un alto tasso di corruzione e con una gestione dei fondi pubblici quantomeno discutibile (l’Ufficio europeo per la lotta antifrode ha certificato irregolarità nel quattro percento della spesa del denaro comunitario tra il 2015-2019). A Orbán nei mesi scorsi sono state contestate «lacune gravi sugli appalti pubblici, l’incapacità di affrontare la corruzione e un rischio concreto di compromettere la gestione sana dei fondi Ue».

L’Ungheria non può permettersi un ammanco di questa portata e nonostante l’ostentata spregiudicatezza, pur di non perdere i contributi il leader di Fidesz ha fatto alcune concessioni sulla lotta alla corruzione e sull’indipendenza della giustizia.

Il Parlamento europeo non ha però ritenuto sufficienti gli sforzi del governo ungherese e nella seduta plenaria ha espresso il proprio voto favorevole alla risoluzione che prevede il congelamento dei fondi destinati a Budapest. Le misure correttive «non sono sufficienti per affrontare l’attuale rischio sistemico per gli interessi finanziari dell’Ue» – si legge nel comunicato del Parlamento – «e i deputati chiedono a Commissione e al Consiglio di non cedere alla pressione che l’Ungheria sta esercitando su di loro bloccando decisioni cruciali dell’Ue, come i diciotto miliardi di euro di aiuti all’Ucraina e l’accordo globale sull’aliquota minima dell’imposta sulle società».

Ora la palla passa alla Commissione europea che sta completando un’attenta analisi dei disegni di legge correttivi proposti da Budapest. Stando ad alcune fonti vicine a palazzo Berlaymont, Von der Leyen dovrebbe confermare la linea del Parlamento europeo con un “No” condizionato, che congeli i fondi verso l’Ungheria fino all’adozione di nuove misure che siano all’altezza.

L’esecutivo comunitario si esprimerà ufficialmente a giorni e comunque non oltre la fine di novembre. Entro il 19 dicembre arriverà poi il parere del Consiglio europeo che stabilirà in via definitiva se le diciassette misure correttive portate da Orbán avranno convinto i vertici di Bruxelles o se Budapest rimarrà senza fondi.

Isolamento
I rapporti tra Orbán e Bruxelles non sono mai stati idilliaci ma negli ultimi mesi il leader di estrema destra sembra aver alzato la posta opponendosi alle sanzioni contro la Russia, al pacchetto di aiuti da diciotto miliardi di euro all’Ucraina e all’accordo sulla tassazione minima nei confronti dei Big Tech. Queste posizioni non solo hanno raffreddato ulteriormente i rapporti con la Commissione e con i Paesi tradizionalmente anti sovranisti ma hanno anche creato qualche imbarazzo nei confronti degli storici alleati.

Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Irlanda hanno esortato la Commissione ad un’analisi approfondita delle diciassette misure correttive, mentre Germania e Francia hanno sottolineato la necessità di monitorarne la futura attuazione. Allo stesso tempo, il gruppo Visegrad appare più spaccato che mai soprattutto a causa delle posizioni divergenti sul conflitto tra Russia e Ucraina.

La stessa Giorgia Meloni, da sempre vicina a Orbán, dopo l’inversione a U degli ultimi mesi si trova in prima linea a difendere la posizione atlantista. Non è un mistero poi che la cosiddetta «Amazon Tax» per tassare le grandi aziende Tech sia un punto del programma della coalizione di Governo.

L’attenzione sull’Italia resta alta soprattutto dopo il voto contrario dei parlamentari di Fratelli d’Italia e Lega al congelamento dei fondi destinati all’Ungheria nella Plenaria. Ci si chiede se Meloni in sede di Consiglio europeo darà il suo assenso al trasferimento di denaro dei contribuenti italiani ed europei ad un Paese che non rispetta le regole.

Le valutazioni sono in corso ma sembra che Bruxelles voglia fare sul serio e chiudere i rubinetti a Budapest con una manovra che avrà un forte impatto sul Pil ungherese, gelando un sempre più isolato Orbán. E probabilmente questa volta una sciarpa non basterà.