Il blocco navale davanti alle coste africane per bloccare i barconi pieni di migranti si è frantumato sugli scogli siciliani. Era chiaro che quella di Giorgia Meloni era pura propaganda elettorale, una leggenda politica che ha contribuito a far crescere in maniera esponenziale Fratelli d’Italia in pochissimo tempo.
Prima la stessa cosa era successa alla Lega. Alla prova del governo, cioè della gestione vera dei problemi, la leggenda si è dispersa nell’aria come il fumo. Ma il governo ha comunque ingaggiato una battaglia con l’Europa, soprattutto con i Paesi la cui bandiera sventola sulle navi delle Ong che vanno a soccorre poveri cristi in mare.
È diventata addirittura una battaglia in punta di diritto e che vede il ministro della Giustizia esercitarsi nell’interpretazione del trattato di Dublino, quello che inchioda l’Italia come Stato di primo approdo. L’ex magistrato Carlo Nordio ha firmato insieme ai ministri Salvini e Piantedosi il decreto che consente alle navi Ong di attraccare a Catania per fare scendere i considerati «fragili» con l’obbligo poi di allontanarsi con il «carico residuo». Cosa che non sta accadendo.
Il Guardasigilli sostiene che «fragili» e «residui» devono essere accolti dagli Stati la cui bandiera batte sulle navi umanitarie. I Paesi interessati, in questo momento Germania e Norvegia, contestano questa interpretazione, fonti Ue pure, che anzi chiedono alle autorità italiane di agevolare lo sbarco («è un dovere morale e legale salvare persone a mare», dicono a Bruxelles, dando così copertura alle Ong).
Niente blocco navale ma guerra dei nervi che ci fa rivivere il “mitico” anno del Conte 1 con lo sceriffo Salvini che chiudeva porti e teneva le persone sulle navi. Ora il capo dei Cinquestelle fa il Mélenchon cercando di far dimenticare che sua era la prima firma dei decreti leghisti. Pontifica da un’immaginaria cattedra progressista e impartisce lezioni: «Il tema migranti va affrontato senza facili slogan ed esibizioni muscolari a danno di famiglie e persone disparate. Il nazionalismo arrogante non porta da nessuna parte».
Grandi e ipocrite riconversioni senza passare mai dalla casella dell’autocritica, ma è il caso di ricordare che fu propio il Conte 1 ad accettare che la redistribuzione dei migranti in Europa da obbligatoria diventasse volontaria.
Fu un favore di Salvini agli amici di Visegrad, che infatti continuano a ringraziare Roma. Come ha fatto Orbán: si è complimentato con la premier Meloni per l’approccio duro agli sbarchi e per aver difeso i confini esterni dell’Europa.
Il furbo magiaro, che si trova sotto processo comunitario per una cosetta che si chiama violazione dello Stato di diritto, dimentica di dire che l’amica romana e l’amico Salvini stanno chiedendo anche la redistribuzione. Né più né meno quello che hanno fatto inutilmente negli ultimi 15 anni tutti i governi che si sono succeduti con bandiere e colori diversi. E sempre hanno visto le Nazioni (è il caso di dirlo) voltarsi dall’altra parte perché far vedere i migranti scalzi sbracare nei loro porti e nei loro aeroporti fa perdere voti, distruggere i partiti centristi o socialdemocratici che combattono, giorno per giorno, con sovranismi e populismi vari.
E c’è pure chi agita lo spauracchio dei nazisti per giustificare il pugno duro. Una volta Antonio Tajani mi raccontò che cercava di convincere Orbán a moderarsi, anche sulle questioni migratorie, altrimenti sarebbe stato cacciato dal Ppe (cosa che poi avvenne). Il premier ungherese gli rispose: «Caro Antonio, se non faccio così a Budapest arrivano i nazisti, quelli veri». Detto da uno che vuole preservare la purezza degli ungheresi dalle altre razze, come se ce ne fossero altre oltre quella umana, è veramente inquietante.
Tutto questo per dire quale sia il quadro continentale, in piena guerra Ucraina e con una possibile recessione alle porte, e l’esigenza del nostro governo di tenere tutti i piedi dei ministri dentro una scarpa.
Un Giano bifronte anzi con tanti volti. Quello moderato sul terreno economico per gestire caro energia e una possibile recessione. Quello interno securitario per compensare agli occhi del proprio elettorato la sbandata moderata e troppo morbida rispetto alle promesse roboanti e spezzareni della campagna elettorale.
E poi questa terra di mezzo dei migranti. Linea dura, selezione tra chi sbarca e chi no (in questo modo Piantedosi, Salvini e Crosetto che hanno firmato il decreto) pensano di evitare di finire in tribunale. Come è accaduto al capo leghista, che si trova ancora alle prese con il processo Open Arms per sequestro di persona.
Comunque i nuovi padroni della politica italiana hanno sempre bisogno dell’Europa. Ancora una volta, hanno maledettamente bisogno non solo di difendere i confini europei ma di redistribuire quei poveri cristi che passano per i lager libici.
La Germania è ferma a quota tremilacinquecento, quella decisa a giugno dal Consiglio europeo dei ministri degli Interni. A ottobre in Germania ne sono arrivati solo settantaquattro. Ora Berlino assicura di essere in contatto con Roma e che quei tremilacinquecento migranti che doveva accogliere sarebbe il primo passo di un meccanismo. Vedremo quanto è grande il cuore del Cancelliere Olaf Scholz.
Siamo nella triste situazione della trattativa, al mercanteggiamento di corpi umani come nel Conte 1. Solo che questa volta c’è la mano tesa della Francia, che Meloni farebbe bene a continuare stringere se vuole contare in Europa e cambiare il trattato di Dublino.
Un’altra mano tesa è quella di Papa Francesco, che chiede all’Europa di aiutare l’Italia. Da qui il ringraziamento da parte di Meloni con toni ecumenici e dello stesso Salvini, che quando sbarrava i porti esaltava Wojtyla e considerava Francesco un comunista. Per la verità il Pontefice non ha detto nulla di nuovo: i migranti vanno soccorsi in mare, si fanno tutti sbarcare e poi si cerca aiuto distributivo, con l’obiettivo ultimo di integrarli.
Ognuno è sovranista a casa propria e ai danni degli altri. Speriamo che qualcosa si muova, che la solidarietà europea dimostri a Meloni e Salvini che con gli sbarchi selettivi si galvanizza solo il loro elettorato ma ma non si governa una Nazione, appunto.