In Ucraina Vladimir Putin, incapace di vincere la guerra sul campo, ricorre al terrorismo, bombardando le centrali elettriche allo scopo di far morire assiderata la popolazione. E nel Parlamento europeo l’intera delegazione del Movimento Cinque stelle si astiene sulla risoluzione che condanna la Russia come paese sponsor del terrorismo, perché il testo non contiene la parola «pace». Per lo stesso motivo, mentre gli uomini del regime putiniano dichiarano pubblicamente che intendono «rispedire l’Ucraina nel diciottesimo secolo», hanno votato contro quella risoluzione anche tre europarlamentari eletti con il Pd: Pietro Bartolo, Andrea Cozzolino, Massimiliano Smeriglio (in compagnia dell’ex leghista Francesca Donato).
In Ucraina Putin prepara un nuovo Holodomor, lo sterminio per fame di un numero compreso fra i tre e i cinque milioni di persone da parte del regime staliniano, a novant’anni esatti da quella immane tragedia, ma questa volta, principalmente, attraverso il freddo. E la prospettiva non sembra influenzare in alcun modo il dibattito in Italia.
Senza elettricità non possono funzionare gli ospedali, senza luce e senza corrente elettrica è impossibile la vita civile, ma soprattutto, considerato il clima di quelle regioni, in inverno, non è possibile la vita tout court. Milioni di persone rischiano la morte per assideramento, e tutto questo non è un effetto collaterale, non è la conseguenza involontaria di un attacco mirato ad altri obiettivi, è esattamente quello che Putin vuole ottenere.
Eppure in Italia nemmeno una simile prospettiva, che naturalmente tutti speriamo fino all’ultimo sia scongiurata, basta a cambiare di una virgola il grottesco dibattito che vede sulla difensiva, paradossalmente, quanti chiedono di fare tutto il possibile per aiutare l’Ucraina. Sono loro che ormai sembrano quasi doversi giustificare, come se il prolungarsi del conflitto fosse colpa della resistenza, e dunque un po’ anche di noi occidentali che la sosteniamo. Resta indimenticabile il titolo del Riformista, giusto all’indomani dell’invasione: «Il dovere della resa». Ma sebbene non tutti abbiano avuto il coraggio di dichiararlo in modo così esplicito, è evidente come una simile convinzione sia ormai diffusissima, tanto tra politici quanto tra giornalisti e opinionisti (nei talk show si direbbe almeno all’80 per cento).
Si sa che qualunque paragone con la Seconda guerra mondiale e la Germania nazista suscita automaticamente, nel migliore dei casi, l’accusa di reductio ad Hitlerum. In parole più povere: l’accusa di voler squalificare l’interlocutore equiparandolo a Hitler. In questo caso però è stato Giuseppe Conte, nella sua intervista di ieri alla Stampa, a istituire il parallelo. Rispondendo all’obiezione secondo cui il problema delle trattative di pace è che con Putin non si può trattare, il leader del Movimento 5 stelle ha infatti dichiarato: «È un’idea debole e contraddittoria. Se avessimo ragionato così nella storia dell’uomo ci sarebbero state solo guerre e mai pace. E tremo pensando che la Seconda guerra mondiale, il conflitto più violento dei nostri tempi, non si è chiusa con un tavolo di trattative ma con due bombe atomiche».
Dunque, par di capire, per Conte lo scandalo non fu la pace di Monaco, ammesso e non concesso che ne abbia mai sentito parlare, che sappia cioè che un tentativo diplomatico ci fu eccome, e si concluse con un trattato vergognoso, solennemente firmato il 30 settembre 1938. E tutti, forse anche lui, sappiamo cosa successe l’anno dopo, nel 1939.
Se Conte e i molti che la pensano allo stesso modo fossero conseguenti, da domani dovrebbero andare nelle scuole, nei convegni, alle manifestazioni in cui si ricorda l’orrore dell’Olocausto a domandare non già come fu possibile che il mondo si voltasse dall’altra parte mentre milioni di ebrei finivano ad Auschwitz e negli altri campi di sterminio, ma perché non insistette nella ricerca del dialogo. Ovviamente continueranno a fare l’esatto contrario.
In un paese in cui ogni 25 aprile non c’è titolare di account Facebook che non vanti almeno sei nonni partigiani, si può scommettere che tra dieci o vent’anni, quando a scuola si studieranno le atrocità di questa guerra, i nipotini dei politici, dei giornalisti e degli opinionisti di oggi ne ricorderanno con orgoglio le eroiche battaglie e le coraggiose denunce. Li inviteranno a parlare in assemblea, e quelli certo non si faranno pregare. Sembra già di sentirli, mentre parlano del dovere della memoria e tuonano contro l’indifferenza del mondo, contro chi preferì voltarsi dall’altra parte e far finta di non vedere cosa stava accadendo in Ucraina. Ma chissà che in quelle assemblee non trovino almeno uno studente meglio informato, che possa rinfrescare i loro ricordi.
Nel frattempo, passate parola.