Riciclare la bellezzaIl classico non va più inteso solo come un’eredità del passato

Temi come il riuso e il riciclo sono strettamente legati alla nostra concezione di modernità, ma testimoniano anche la straordinaria persistenza di alcuni modelli classici. Attraverso un innovativo approccio interpretativo, la mostra alla Fondazione Prada (dal 17 novembre al 27 febbraio) fa dialogare in modo naturale opere provenienti da epoche lontane e differenti.

© Roma, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali

É il 1917, quando, in incognito, sotto lo pseudonimo di R. Mut, l’artista francese Marcel Duchamp presenta alla prima esposizione della “Società degli artisti indipendenti” di New York, un’opera intitolata “Fountain”. Secondo quanto si dice, i giurati dell’epoca furono talmente impressionati dal vedere esposto un orinatoio in un museo, da concedergli, unanimi, la vittoria del primo premio. 

Da quel giorno in poi l’arte non è stata più la stessa. Secoli e secoli di pittura e scultura ci avevano abituato alla preminenza della tecnica e della manualità dell’artista, che, plasmando la materia inerte la eleva ad opera d’arte. Da Duchamp in poi si è cominciato a dare importanza anche a qualcos’altro: ad esempio ai concetti che certe forme esprimono, anche in base ai contesti in cui sono inserite. Proprio da questa grande consapevolezza, acquisita grazie al genio del maestro modernista francese, che nasce Recycling Beauty, la mostra presentata da Fondazione Prada, a cura di Salvatore Settis con Anna Anguissola e Denise La Monica.

© Roma, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali

Il progetto di allestimento è ideato da Rem Koolhaas/Oma, e si presenta come un’inedita ricognizione interamente dedicata al tema del riuso di antichità greche e romane in contesti post-antichi, dal Medioevo al Barocco. La mostra sarà aperta al pubblico nella sede di Milano, dal 17 novembre 2022 al 27 febbraio 2023.  Secondo i curatori l’intento della mostra è quello di far sì che il classico non venga più inteso solo come un’eredità del passato, ma come un elemento vitale in grado di incidere sul nostro presente e futuro. Temi come la serialità, il riuso e il riciclo nell’arte sono strettamente legati alla nostra concezione di modernità, ma testimoniano anche la straordinaria persistenza di alcuni valori, categorie e modelli classici. Attraverso un innovativo approccio interpretativo e modalità espositive sperimentali, il patrimonio antico, e in particolare quello greco-romano, diventa, per usare le parole di Settis, «una chiave di accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo». 

Ogni elemento di reimpiego non solo modifica il contesto in cui è inserito, ma ne viene a sua volta modificato in un meccanismo di reciproca legittimazione e attribuzione di senso. Come insegnava il primo grande maestro della filosofia decostruzionista, Walter Benjamin: esplorare la natura fluida e molteplice degli oggetti d’arte che nel tempo cambiano per utilizzo, ricezione e interpretazione equivale a riflettere sulla natura instabile e trasformativa dei processi artistici. 

Foto © Governatorato dello Stato della Città del Vaticano – Direzione dei Musei

Secondo il filosofo tedesco, infatti, il modo migliore per osservare il mondo, a volte è quello di rinunciare ad ogni aperta interpretazione dei fenomeni, e di far emergere i significati unicamente attraverso una decostruzione provocatoria del materiale artistico. “E allora saranno i frammenti stessi del reale a saltarti addosso come predoni appostati lungo la strada, per spogliarti di tutte le tue convinzioni”. 

Il progetto espositivo, concepito da Rem Koolhaas/OMA con Giulio Margheri, si sviluppa in due edifici della Fondazione, il Podium e la Cisterna, come un percorso di analisi storica, scoperta e immaginazione. L’allestimento del Podium invita i visitatori a confrontarsi con gli oggetti esposti con diverse intensità. Un paesaggio di plinti bassi in acrilico permette di percepire i pezzi esposti come un insieme, mentre le strutture simili a postazioni di lavoro incoraggiano un esame più ravvicinato grazie alla presenza di sedie da ufficio. 

L’allestimento intende marcare il grande valore artistico e storico delle opere presentate, ma anche dimostrare come queste siano il prodotto di migrazioni, trasformazioni ed evoluzioni di senso. Evidenziando l’importanza dei frammenti, del riuso e dell’interpretazione, il progetto espositivo contribuisce a considerare il passato come un fenomeno instabile in costante evoluzione. Questo percorso stratificato ospita oltre cinquanta opere d’arte altamente rappresentative provenienti da collezioni pubbliche e musei italiani e internazionali come Musée du Louvre di Parigi, Kunsthistorisches Museum di Vienna, Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, Musei Capitolini, Musei Vaticani e Galleria Borghese di Roma, Gallerie degli Uffizi di Firenze e Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Courtesy of Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli

L’instabilità semantica dei manufatti antichi reimpiegati, ovvero la loro continua mutazione di significato, sarà illustrata in mostra da un rilievo funerario (I secolo d.C.) un tempo esposto in facciata della Casa Santacroce a Roma. Le iscrizioni aggiunte nel XV secolo interpretano le figure dei defunti come Honor, Amor e Veritas. Incorporare in un nuovo contesto questo rilievo significava non solo rendere omaggio all’arte romana, ma soprattutto trasformare quell’antica raffigurazione in un moderno modello di condotta morale. È lo stesso principio seguito nel Quattrocento da chi collocò sette antiche teste maschili scolpite nel marmo sulla facciata di Palazzo Trinci a Foligno, trasformandole in allegoria delle sette età dell’uomo. 

Un altro nucleo di opere esposte esplora il cortocircuito tra diverse temporalità che si innesca quando oggetti d’arte sono scambiati per antichi, pur essendo di età moderna. Un famoso esempio è la mirabile testa di cavallo realizzata da Donatello a metà Quattrocento per l’arco di Castelnuovo a Napoli, che fino a poco più di vent’anni fa era ritenuta di età greco-romana. Ricerche condotte nel cantiere di Recycling Beauty hanno poi mostrato che anche la statua detta “di Paride”, già collocata su una guglia del Duomo di Milano e creduta di età romana, va invece datata nel Cinquecento. 

© Staatsbibliothek zu Berlin – PK, Orientabteilung, Diez

Nel vasto processo di devastazione e di progressivo oblio altri oggetti in mostra possono essere catalogati come veri e propri tesori sopravvissuti all’opera di distruzione del tempo. È il caso della Tazza Farnese (II-I secolo a.C.), il più grande cammeo in pietra dura dell’antichità arrivato fino a noi. Questo manufatto ellenistico, straordinario per materiale, tecnica e dimensioni, passò di corte in corte, attraversando grandi distanze geografiche, dall’Egitto a Roma e Bisanzio, poi in Persia e di nuovo in Occidente e spostandosi tra alcune delle più importanti collezioni di antichità del Medioevo e dell’età moderna, tra cui quelle di Federico II e Lorenzo il Magnifico. 

In occasione della mostra Recycling Beauty, Fondazione Prada pubblicherà un ampio volume illustrato. Attraverso un saggio, sedici testi critici, quattro approfondimenti specifici e un’ampia raccolta di schede e apparati scientifici, il tema del riuso in ambito artistico e architettonico sarà analizzato da diverse prospettive storiche, artistiche e filosofiche con lo scopo di delinearne una storia e riconoscere la continuità o la consonanza di queste pratiche con pensieri e sperimentazioni del nostro presente. 

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