Il tartufo è uno dei prodotti gastronomici più conosciuti e desiderati. L’aurea che lo circonda lo precede, sia per chi lo ama, sia per chi invece non lo tollera. Non ci sono vie di mezzo, o lo si adora o non si riesce nemmeno a sopportarne l’odore.
Quel che è certo è che si tratta di un’istituzione della cucina italiana, un ingrediente che da solo rende magico l’intero piatto, che più è semplice più lo esalta e lo rende perfetto.
Come ogni cosa, è necessario capirlo e studiarlo per poterlo veramente apprezzare. Per correre ai ripari e diffonderne la conoscenza, Savini Tartufi ha inaugurato la Truffle Academy, un corso per conoscere il mondo del tartufo e saperlo raccontare. Il master affronta tutti gli argomenti più importanti, i segreti del bosco, la caccia, la conservazione e il modo di cucinare ed è dedicato a tutti coloro che vogliono essere più consapevoli. Viene data anche la possibilità di cercare i tartufi nel bosco, imparare a riconoscerli e selezionarli.
La necessità dell’istituzione di questa Academy è stata avvertita dalla famiglia Savini, con un’idea controcorrente rispetto al mistero e al segreto che segue e precede il mondo dei tartufi. La rarità del prodotto e la sua preziosità hanno sempre portato i tartufai a conservare gelosamente le tecniche di ricerca e molti particolari utili alla conoscenza del famoso fungo, questo per evitare che la concorrenza aumenti e per rimanere gli unici depositari del sapere.
Savini invece ritiene che per apprezzarlo veramente e per un consumo consapevole, il passaggio per la conoscenza sia fondamentale. Come avviene per il vino, così deve avvenire per il tartufo.
Ci sono delle caratteristiche che sono immediate e note a tutti, come le due grandi famiglie di appartenenza: bianchi e neri. Oppure si sa che il tartufo bianco è più pregiato degli altri e che si trova durante i primi mesi invernali, mentre quello nero, nelle sue diverse tipologie, è meglio distribuito durante tutto il corso dell’anno. Questo non basta a conoscere effettivamente il prodotto.
Generalmente c’è molta confusione su tutto il resto, a cominciare da cosa sia effettivamente il tartufo. Per molto tempo, è stato classificato come un tubero, quando invece il tartufo è un fungo ipogeo, che cresce alle radici di alcuni alberi boschivi, tra cui il pioppo, il salice bianco, il tiglio e il leccio. Il bosco è uno degli elementi fondamentali per la crescita del tartufo, l’aria dev’essere pulita, l’inquinamento assente, al punto da risultare un indice di salubrità del terreno.
La parte esterna si chiama peridio, quella interna gleba. A seconda della tipologia, l’aspetto cambia. Il tartufo bianco e il bianchetto, detto anche marzolino perché si trova nei mesi di febbraio e marzo, crescono più in profondità nel terreno. Il loro aspetto è caratterizzato da una superficie liscia, simile a quella di una patata; il marzolino però presenta alcuni bitorzoli sul peridio. La gleba invece è beige in entrambi. Il tartufo nero, detto anche estivo o scorzone, si trova da maggio all’autunno. Situato meno in profondità, talvolta si può vedere anche ad occhio nudo, grazie a dei piccoli rigonfiamenti che genera sul terreno. La superficie è simile ad una scorza, la gleba è marrone scuro, con delle piccole venature più chiare. Per una buona selezione devono essere considerati tre aspetti: il tatto, l’aspetto e il profumo. Deve infatti essere molto sodo al tatto e pesante. Un tartufo leggero è un tartufo vecchio. Il profumo deve essere pieno e intenso, ma lineare.
Il cercatore migliore è il cane, anche se per molto tempo e ancora oggi in certe zone della Francia, viene utilizzato il maiale. Il cane ovviamente è molto più gestibile, viene addestrato appositamente, per fare di lui il migliore compagno di viaggio.
Infine, una volta raccolto, deve essere consumato fresco, soprattutto il tartufo bianco, perché deperisce molto rapidamente. Nel breve tempo può essere avvolto in un tovagliolino di carta riposto all’interno di un barattolo in frigorifero, per evitare che latticini e uova assorbano il suo profumo. Contrariamente a quanto diffuso per molto tempo, non deve essere messo nel riso: il tartufo è composto per l’85% di acqua, il riso la assorbirebbe e il fungo si disidraterebbe completamente.
Per Savini comunque il luogo migliore per conservarlo è il nostro stomaco!