«Cosa vale di più: l’arte o la vita?». Questa è stata la domanda provocatoria che la manifestante Phoebe Plummer ha posto ai visitatori presenti alla National Gallery di Londra il mese scorso durante una protesta del gruppo di attivisti britannico Just stop oil. Pochi secondi prima, infatti, la giovane ragazza inglese – insieme a un altro attivista – aveva versato della zuppa di pomodoro sul famoso quadro di girasoli di Van Gogh. Entrambi hanno poi incollato una mano al muro e si sono inginocchiati davanti al dipinto di fronte ai visitatori del museo.
Nelle settimane successive, altri attivisti per il clima hanno preso di mira diverse opere d’arte nei musei di tutta Europa, con l’obiettivo di attirare l’attenzione sull’inazione climatica da parte di governi e aziende. «Molte persone, quando hanno visto il nostro operato, hanno provato sentimenti di shock, orrore o indignazione – ha detto Plummer durante un’intervista – Dov’è quella risposta emotiva quando è il nostro pianeta e la nostra gente che vengono distrutti?».
Il Regno Unito ha alle sue spalle una lunga serie di proteste come strategia di comunicazione e attivismo sociale. Nel corso della storia, queste forme di espressione del dissenso hanno solitamente preso di mira progetti infrastrutturali, nel tentativo di impedirne l’avanzamento, o le infrastrutture già esistenti con l’obiettivo di creare disagi. Anche il recente attivismo climatico ha seguito le orme di questa tradizione dirompente: Extinction rebellion ha in passato bloccato strade, ponti e aeroporti chiave di Londra e di tutto il Regno Unito, mentre il gruppo Just stop oil sta prevalentemente prendendo di mira – oltre a musei e negozi – le reti di distribuzione del carburante per i trasporti.
Il metodo di protesta usato da questi gruppi di attivisti attira l’attenzione della gente (e dei politici) in modo diverso dalle manifestazioni più convenzionali, contraddistinte da cartelli e striscioni. Ma, di sicuro, non è senza i suoi rischi. Secondo i dati, oltre settecento manifestanti di Just stop oil sono stati arrestati a Londra dall’inizio di ottobre, cioè in appena due mesi. Numeri da aggiungere ai circa duemila arresti dall’avvio della campagna ad aprile. Il tutto è “costato” alla Metropolitan Police l’equivalente di dodicimila turni extra di lavoro.
Proprio per questo motivo, Suella Braverman, ministra dell’Interno britannico, ha proposto un nuovo disegno di legge sull’ordine pubblico che ha l’obiettivo di frenare gli attivisti aumentando – di fatto – i poteri della polizia. Determinato a reprimere le manifestazioni, il governo sta infatti conferendo alle forze dell’ordine nuovi poteri per affrontare gli attivisti che bloccano le autostrade, ritardano i progetti infrastrutturali o lanciano zuppa contro opere d’arte. Il potere esecutivo è deciso a passare la nuova proposta per cercare di eliminare questo tipo di esplosiva ribellione.
La ministra dell’Interno ha detto di essere pronta a utilizzare la nuova legge per cercare di eliminare le proteste dirompenti e contrastare le tattiche favorite dagli attivisti per il clima. Braverman ha promesso di sfruttare il disegno di legge sull’ordine pubblico del governo per consentire ai segretari di Stato di richiedere ingiunzioni nel «pubblico interesse» laddove le proteste stiano causando o minacciando «gravi disagi» o un grave impatto negativo sulla sicurezza pubblica.
I tentativi inglesi di ridurre al minimo l’impatto delle manifestazioni sono stati presi d’esempio anche da altri Stati. In Italia, in particolare, in risposta alle proteste sul clima del gruppo di attivisti Ultima Generazione, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha proposto di adeguare in tutti i musei italiani il livello di sicurezza delle opere d’arte. Per farlo, Sangiuliano sta valutando la possibilità di aumentare il costo dell’ingresso dei musei.
«L’attivismo contro la crisi climatica sta vivendo un momento interessantissimo di rinascita. La retorica è più estremista perché ci siamo accorti che per aprire veramente gli occhi al grande pubblico ora serve una disobbedienza civile travolgente», ha dichiarato Nayanika, giovane studentessa di giurisprudenza che ha preso parte alle recenti proteste nella capitale inglese. «Possono cambiare le leggi o aumentare la sicurezza, ma noi non ci fermeremo di certo».
E così è effettivamente stato, anche se le proteste si sono necessariamente dovute adattare. Just stop oil ha ripreso, da lunedì 28 novembre, a protestare per le strade di Londra. Ma questa volta, in modo diverso. Il gruppo di attivisti aveva già pubblicizzato i suoi piani per tornare, quindi la Metropolitan Police era pronta ad attuare un intervento diffuso. Tuttavia, non c’è stato niente che la polizia inglese potesse fare per fermare davvero le ultime manifestazioni per il clima.
Gli attivisti, che hanno marciato in mezzo alle strade di Londra, stavano chiaramente causando interruzioni deliberate, riempiendo la carreggiata e camminando così lentamente da far rallentare il traffico automobilistico dietro di loro. Ma la polizia non ha potuto arrestare i partecipanti perché, come prevede la legge, camminare lentamente in mezzo a una strada è una forma di protesta «ragionevole». In aggiunta, la legalità di questo tipo di manifestazioni era stata messa alla prova in innumerevoli modi quando Extinction Rebellion ha iniziato a bloccare strade e autostrade ormai quattro anni fa.
E anche se il governo cerca in tutti i modi di rafforzare i poteri della polizia e così frenare queste manifestazioni, il gruppo Just stop oil fa leva sul diritto di protestare pacificamente. Quest’ultimo è sancito dai diritti alla libertà di espressione e alla libertà di riunione, tutelati rispettivamente dagli articoli 10 e 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, incorporata direttamente nel diritto interno britannico tramite l’Human rights act. Su queste basi, Just stop oil ha promesso di continuare con le sue proteste fino a quando il governo inglese non accetterà di bloccare tutte le future licenze per l’esplorazione, lo sviluppo e la produzione di carbone, gas e altri combustibili fossili.