A cinque anni dalla prematura scomparsa di Daniele Fissore, prende forma una rilettura delle opere dell’iconico pittore di green, marine e picnic: dopo l’ampia retrospettiva dedicata al pittore nella sua natale Savigliano, la famiglia ha annunciato la nascita dell’archivio. Daniele Fissore (1947-2017) era un autodidatta; dopo la maturità classica, aveva deciso di fare della pittura la sua professione e la sua stessa ragione di esistere. Alla pittura piegò ogni aspetto della sua esistenza: lavorò fino agli ultimi giorni, ripagato com’era dal proprio lavoro e da un ampio successo di pubblico.
Nella pittura l’artista riversava tutte le contraddizioni del suo vivere: l’ambivalenza tra la pittura come bisogno viscerale e l’arte come mestiere, l’attaccamento ai valori tradizionali (non solo della famiglia) e una forte ricerca di indipendenza. In fondo proprio l’irrisolta dicotomia libertà-limite è il Tema trasversale di tutta la sua pittura iperrealista e surrealista al tempo stesso. La sua stessa tecnica – maniacale nella resa mimetica dei particolari – faceva sì che il suo gesto artistico fosse titanico, quasi eroico. Come vivere e sopravvivere poi al proprio genio? Come superare il limite costituito dal proprio successo? La Pittura di Fissore, alla vista generosa e immediata, era infatti frutto di un estenuante processo creativo-pittorico, una sofferenza che si risolveva solo a opera completata, quando l’animo dell’artista arrivava a sfiorare quegli infiniti orizzonti ritratti. Non a caso Eroica fu il nome anche di uno degli ultimi cicli di opere dell’artista – forse il più controverso e meno immediato – nel quale l’artista cercò di liberarsi persino da se stesso, dipingendo anche con le dita eroi ed eroine ritratti di spalle.
La fotografia è sempre stato il punto di partenza per la pittura di questo artista, che negli anni ha portato avanti un’intensa ricerca sul rapporto tra realtà percepita e rappresentata. Sebbene attivo fin dagli anni ’70 (serie Schiene), la maturità artistica arriva con il lungo soggiorno londinese nei primi anni ’80. La scoperta del Brit Pop e di David Hockney trasforma la sua pittura in una direzione sempre più astratta e metafisica. Durante questo soggiorno, il blow up di gusto fotografico si fonde infatti con una straordinaria capacità pittorica dando vita al noto ciclo di Pic Nic: per la prima volta l’immagine umana, ritratta sempre di spalle, diventa mero pretesto per analizzare lo spazio retrostante, lo sfondo. Da questo momento una parte centrale della ricerca artistica di Daniele Fissore diventa l’utopia che prende forma nelle sue tele attraverso uno studio quasi maniacale della prospettiva e della luce.
L’arte diventa così uno strumento per guardare al di là della realtà, sublimandola. Lo sfondo lontano, lontanissimo, si priva progressivamente dell’elemento umano, ridotto a piccolissime sagome sparse sulle tele; tutto intorno sconfinati green di campi da golf e mari cristallini che si fondono con il cielo. Non c’è sole, non c’è altezza, ma soltanto azzurro e verde. Tutto è fermo e immobile in questo sguardo sempre frontale volto a un irraggiungibile orizzonte. Non si sbaglia a considerare Daniele Fissore quale contemporaneo pittore del paesaggio metafisico: le sue tele sono del resto caratterizzate da un ordine prospettico esasperato e da una forte chiarezza compositiva in cui tutti gli elementi dipinti sono riconoscibili e mai astratti.
Forti le citazioni a De Chirico con cui condivide l’importanza dello sfondo a creare opere che sono delle sorte di quinte, dei paradossali palcoscenici della mente al di là del tempo. Il dramma è celato all’interno di queste immagini così irreali e irraggiungibili nel loro iperrealismo: lo spettatore guarda al mondo di Fissore come da un oblò senza mai riuscire a raggiungere ed essere parte del sogno e del paradiso rappresentato. L’artista rimarca tale distacco contenendo spesso le immagini in tele di cui dipinge anche la cornice: sulla tela non appare una rappresentazione della realtà, bensì una fotografia dell’utopia. L’arte più riuscita di Daniele Fissore diventa così la pittura della distanza, dello sfondo che metafisicamente diventa unico protagonista dell’opera d’arte. Chiaro il riferimento leopardiano in tutte le opere dell’artista, che finiscono per essere ritratti di infinito al di là delle colline o nel punto in cui il cielo si fonde al mare hanno un sapore dolce amaro di rassegnazione in cui il nostro pensiero non può che annegare, perdersi.