Che la Fondazione Prada fosse uno dei luoghi più frizzanti dell’attuale panorama milanese, era già noto a tutti. Non molti, però, sanno della sua declinazione in incandescente centro culturale. Il suo segreto è restare di nicchia, mai del tutto esposto, quasi segreto. Il cinema interno, per esempio, va stanato, anzi, scovato attraverso le attente letture della rassegna stampa più esclusiva, e i misteri che gli aleggiano intorno restano ancora insoluti: quanto si paga? Dove si prenota? A che ora inizia la proiezione? Il trucco consiste proprio nell’assoluta riservatezza, soprattutto per un’epoca dove ogni cosa è esibita, esposta, pubblicizzata, rintracciabile e quindi, conseguentemente, fuori tendenza non appena gli occhi si spostano altrove, attratti da qualcos’altro. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Dopo aver lanciato una rassegna estiva all’aperto, nostalgicamente retrò, soprattutto per chi abbia più di vent’anni, la nuova iniziativa riguarda Bernardo Bertolucci (1941-2018). Ma non Bernardo Bertolucci in quanto singolo regista, produttore e sceneggiatore. Lo scopo della Fondazione Prada, nel cuore del quartiere SouPra, è quello di presentarlo (e onorarlo) attraverso i legami delle sue opere con la tradizione cinematografica novecentesca. Ogni film di Bertolucci verrà infatti associato a una pellicola che lo ricorda, lo esalta o lo contraddice, secondo un canale espressivo di volta in volta interpretabile, o re-interpretabile da sguardi contemporanei, scevri, per la più parte, del contesto politico e culturale dell’epoca.
Il viaggio cronologico, che parte dagli esordi di Bertolucci il 16 dicembre, comincia con “La commare secca” (1962), che si sviluppa attorno alle indagini sull’assassinio di una prostituta trovata morta sul letto del Tevere. A seguire, “Mamma Roma” (1962), diretto da Pierpaolo Pasolini e interpretato da Anna Magnani. Per questo le proposte della Fondazione Prada non hanno nulla di pop: c’è spazio anche per il sottoproletariato, per le storie dedicate agli emarginati in cerca di riscatto e di libertà.
Mentre nelle sale italiane ci si affolla per guardare “Bones and All”, dove Guadagnino torna a esplorare il genere horror attraverso accattivanti, conturbanti e sempreverdi rimandi romantici, a due passi da Piazzale Lodi si assiste a capolavori dimenticati, che spesso contengono un montaggio, un ritmo e codici distanti dal tipo di fruizione a cui siamo abituati oggi. Accanto alle narrazioni concitate e serrate delle piattaforme streaming, la Fondazione Prada propone tre o quattro ore di lenta, languida, contemplazione. Un tuffo nel passato, all’indietro, dagli esiti insospettabili.
Naturalmente, non è la prima volta che la Fondazione organizza progetti di questo tipo. Nelle edizioni precedenti, erano passati al vaglio artisti del calibro di Alejandro González Iñárritu, Damien Hirst, Theaster Gates, Luc Tuymans, Nicolas Winding Refn, Pedro Almodóvar, John Baldessari, Danny Boyle e Ava DuVernay.
In nessun caso l’obiettivo è stato prestarsi a cineforum. Si è cercato più che altro di rappresentarne la personalità, un aspetto sugli altri che servisse da filo conduttore, scandagliando automaticamente all’interno della loro esistenza. Anche per Bertolucci, quindi, la rassegna non comprenderà tutti i suoi film, anzi: tenderà a sorvolare su quelli più conosciuti. Niente “The Dreamers”, per intenderci.
Sì invece a “Ultimo tango a Parigi” proiettato insieme a “La ronde” di Max Ophüls del 1950, che presenta contesti d’amore variegati, semplici, quasi alieni per noi che abitiamo nel ventunesimo secolo: un militare seduce una cameriera, un ragazzo di buona famiglia diventa l’amante di una donna sposata, il marito si concede un’avventura con una sartina, una donna di strada apre e chiude il cerchio delle regole dell’attrazione.
Scandagliare ed evocare immaginari che oggi non ci appartengono più è il compito di chiunque abbia intenzione di elaborare contenuti di senso a proposito della realtà. Educare a un’attenzione che pure ci sembra vetusta, a una sospensione più o meno antitetica a quelle di cui siamo imbevuti oggi è il solo modo coerente di amare davvero l’arte, che sia cinematografica, teatrale, letteraria o visiva.
La rassegna proseguirà fino al 20 gennaio, quando andrà in onda “La luna”, il film di Bertolucci più onirico e perturbante trattando il tema tabù dell’incesto – un incesto materno, per giunta. Non a caso, la pellicola verrà accoppiata a “Imitation of life” e “Specchio della vita” di Douglas Sirk, anche lui curiosamente indagatorio nei confronti delle relazioni tra madri e figlie.
Tornando agli appuntamenti più ravvicinati, l’inizio della rassegna sarà sancito da una conversazione tra Francesco Casetti, curatore nonché Sterling Professor of Humanities and Film and Media Studies alla Yale University, Alberto Barbera, Direttore della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e Paola Malanga, Direttrice Artistica della Festa del Cinema di Roma. Oltre a un intervento di Valentina Ricciardelli, Presidente della Fondazione Bernardo Bertolucci, che ha lavorato accanto alla Fondazione Prada per consentire a questo progetto di prendere vita.