Mare nostrum Dalle prime civiltà alle migrazioni, da millenni tutto confluisce nel Mediterraneo

I primi commerci, i suoi capolavori artistici, le religioni, i racconti epici. Egidio Ivetic ricostruisce la storia di un epicentro globale partendo proprio dallo spazio acqueo che delimita le sue terre

Thomas Cole, Distruzione, 1863, New York Historical Society: la scena si riferisce probabilmente al sacco di Roma compiuto dai vandali nel 455
Thomas Cole, Distruzione, 1863, New York Historical Society

La spider azzurra sfreccia lungo la Grande Corniche, tra curve a gomito e pendii coperti da oliveti, taglia i tornanti, evita di misura i torpedoni, stacca la Citroën nera dei poliziotti in borghese. Giacca grigio perla e foulard nero a pois, Cary Grant a ogni accelerata viene colto dal terrore, ma Grace Kelly è sicura al volante e si sta divertendo. Si fermano sopra Montecarlo. Il mare, il Mediterraneo, è lì, immenso e solare. Invidiamo Cary Grant, alias John Robie, la sua villa in pietra, con il patio, posta in altura e affacciata sull’incantevole striscia costiera del sud della Francia…

Rivedere Caccia al ladro, film del 1955 di Alfred Hitchcock, è un po’ come sperimentare ogni volta l’emozione di una splendida vacanza, sullo sfondo di un Mediterraneo di classe che non c’è più. Anche i più umili, anche l’arzilla fioraia nel mercato, appaiono eleganti. Un Mediterraneo dispensatore di atmosfere di sogno e di raffinatezze, che converge in un luogo sofisticato come l’Hôtel Carlton Intercontinental, scintillante ritrovo di una mondanità cosmopolita, crocevia di personaggi affascinanti e avventurosi. Ma sappiamo che non è così.

Un Mediterraneo del tutto opposto, che è poi quasi tutto il Mediterraneo, ci parla di alture, paesini, isole, dialetti, distanze interminabili per raggiungere il sud, di facce arcaiche, di donne velate, di povertà, di case bianche e muretti. È su scorci ruvidi come questi che si fissa lo sguardo di Gian Maria Volonté, il Carlo Levi cinematografico, rassegnato in un pensiero struggente: perché non è più tornato, nonostante la promessa, tra quella gente, ad Aliano? Anche questo è Mediterraneo, un luogo da cui allontanarsi.

Per quanto chiuso, è un mare difficile da scrutare: al di là del paesaggio e delle atmosfere, siamo immancabilmente ricondotti alla storia. Le triremi, gli elmi greci, i templi, gli eroi, gli dei, i racconti di antiche civiltà o di quelle ancora vive concorrono a disegnare un’immagine che si trasmette già con le prime letture scolastiche. Tutto ciò fa del Mediterraneo una realtà eccezionalmente ricca e articolata, un luogo e un’idea assai poco scontati, caratterizzati da una densa stratificazione di significati, più di quanto ci si possa aspettare da un oceano, sia esso l’antico Oceano Indiano o i più recenti Atlantico e Pacifico. Se è vero infatti che ognuno di questi oceani unisce tre continenti, il Mediterraneo non è da meno: unico tra i mari, anch’esso unisce tre continenti.

In questo spazio confluiscono e si intrecciano percorsi ed eventi che originano nei cuori dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa. Il Mediterraneo è il punto mediano di un unico continente afro-euro-asiatico, l’epicentro della grande storia che qui transita e da qui scaturisce. Per alcuni millenni nel suo perimetro si è concentrato il mondo immaginabile, almeno fino alla scoperta dell’America. Un Mediterraneo remoto, quasi eterno, che troviamo stilizzato nello schema T-O derivato dagli scritti di Isidoro di Siviglia.

Il simbolo, risalente al VII secolo e frutto di saperi precedenti, successivamente è stato ripreso in età medievale, nei testi sia arabi sia latini, per essere infine raffigurato a stampa nella prima edizione delle Etymologiae del 1472. In questa Mappa mundi la T rappresenta il Mare magnum sive mediterraneum, chiuso tra l’Asia (Sem), sopra la linea della T, l’Europa (Iafeth) a sinistra e l’Africa (Cam) a destra.

Attorno c’è il cerchio del Mare oceanum, l’imperscrutabile spazio acqueo che delimitava le terre note. La fisicità del Mediterraneo ci è familiare, l’abbiamo introiettata a forza di guardare il mappamondo in classe. È un corpo che si disloca in più bacini, altrettanti mari. Un corpo contorto, come un immenso Lago dei Quattro Cantoni. 2,5 milioni di chilometri quadrati, per uno sviluppo latitudinale di circa 3.000 chilometri; occorrono quattro ore di volo in aereo di linea per coprire la distanza da un capo all’altro. A calcolare le regioni costiere mediterranee, e sono sessanta, la fascia litoranea raggiunge un altro milione di chilometri quadrati; così, il Mediterraneo si estende complessivamente su circa 3,5 milioni di chilometri quadrati. Per fare un paragone, l’Unione Europea ne copre 4,5 milioni.

Le regioni geografiche e storiche che fanno il Mediterraneo sono l’Italia, il suo centro; la Penisola Iberica, il suo occidente; i Balcani e l’Anatolia, il suo oriente; il Maghreb e il Mashrek, il suo meridione. Gli stati che si affacciano sul Mediterraneo, o vi rientrano, sono 23, da giganti demografici come l’Egitto, con i suoi 101 milioni di abitanti, a stati minimi come il Principato di Monaco o lo Stato del Vaticano. La popolazione rivierasca si aggira attorno ai 60 milioni, ma il totale demografico degli stati supera i 600 milioni di abitanti.

Le coste mediterranee sono molto irregolari, soprattutto il versante europeo, e si sviluppano per oltre 46mila chilometri. Come confronto, si consideri l’Oceano Indiano, che si estende per 66mila chilometri. Pochi dati che bastano a mostrarci come il Mediterraneo abbia le fattezze di un piccolo continente, incentrato sul mare. Come avvicinarsi a questo luogo straordinario del globo terreste? Come afferrarne l’unicità e la diversità? Nell’area mediterranea sono le testimonianze del passato a definire molta parte del panorama.

Non parliamo solo dei resti architettonici, delle città sepolte come Pompei, o di tutti quegli strati e substrati archeologici ancora visibili nelle viuzze di Napoli o di Roma: anche il classico paesaggio naturalistico mediterraneo, fatto di olivi, vigneti, grano, cipressi, fichi, in molti luoghi deriva da quello che gli studiosi dell’antichità chiamano «romanizzazione», un processo politico e culturale che ha comportato un profondo e diffuso intervento di trasformazione ambientale.

Per Hegel, il Mediterraneo rappresenta l’asse della storia mondiale, nel suo passaggio da oriente verso occidente. In una sorta di «compresenza» marittima e antropologica, nel corso dei secoli i diversi filoni della sua storia non fanno che intersecarsi e reagire gli uni sugli altri: la Grecia antica, la potenza imperiale romana, il cristianesimo latino, il Rinascimento italiano, la tradizione cristiana ortodossa, Costantinopoli e l’impero bizantino, la civiltà islamica che ha trovato il suo primo compimento nell’espansione lungo le sponde mediterranee, e le comunità ebraiche che si sono sviluppate praticamente in ogni città mediterranea.

Secondo la magistrale analisi di Fernand Braudel si danno non uno ma due o tre Mediterranei. Di certo, per capire veramente il Mediterraneo dobbiamo innanzi tutto ricordare che ci sono quattro calendari nella sua storia e che essi convivono in diversi tratti delle sue sponde: gregoriano, giuliano, ebraico e musulmano.

La lunga durata, che si riverbera in ogni tratto delle regioni mediterranee, ci autorizza a parlare di un tempo storico mediterraneo, in cui confluiscono diversi tempi storici. Il tempo mediterraneo affianca il tempo europeo, pur differenziandosene: vi si susseguono una protostoria, poi una classicità con la civiltà cretese e micenea, tre tempi romani – la repubblica, l’impero, Bisanzio –, il tempo dell’espansione musulmana, un Medioevo fatto di scontri e confronti, un Otto-Novecento coloniale. Come sistema integrato, il Mediterraneo è stato tale fino all’avvento della modernità. Nonostante le guerre e le migrazioni era un agglomerato di sistemi regionali economici e, a sua volta, faceva sistema, metteva in relazione, anche quando esprimeva una faglia tra civiltà: era insomma un mezzo condiviso che serviva per trasportare merci, raggiungere e connettere sponde lontane, tessere scambi commerciali o spostare intere comunità, creare colonie, avviare diaspore.

Un mondo di Nettuno anche temibile. La ruralità insita nell’uomo sin dal Neolitico ha infatti sempre guardato con diffidenza o apprensione alla «pianura fluida», come l’ha definita Braudel. Padroneggiarla ha richiesto peculiari capacità tecniche e un forte spirito temerario, come quello incarnato da Ulisse. Da mezzo, il mare si è poi trasformato in oggetto. Oggetto di conoscenze scientifiche, di studi idrologici, biologici marini; oggetto di sovranità nazionale, in cui si è proiettata l’ambizione marinara dei paesi, definito da carte nautiche, fari, militarizzazione delle coste, precise regole doganali ed eccezioni (comunque regolate) come i porti franchi, marine militari; oggetto di una nuova sensibilità romantica. Luogo di struggenti tramonti, il mare fornisce con la sua vastità orizzonti sterminati alla proiezione o meglio all’espansione dell’io.

Grazie alla ritrovata mitologia classica, ogni centimetro di terra mediterranea è benedetto, consacrato dall’archeologia, diventa un’eredità sacra, come ci ha insegnato Winckelmann. Dal 1945-1950 in poi, il Mediterraneo si è trasformato in risorsa da sfruttare, dagli impianti per estrarre idrocarburi e gas agli stabilimenti balneari, dalla speculazione o «programmazione» edilizia alle crociere su navi mastodontiche, dalla commercializzazione delle cosiddette «città d’arte» alla perimetrazione di zone economiche esclusive.

Negli ultimi decenni, infine, è diventato il teatro di migrazioni che partono dal Sahel e dal Medio Oriente, flussi di individui in fuga da realtà disperate quando non atroci, percorrono in condizioni spesso proibitive tre rotte principali, occidentale, verso la Spagna; centrale, verso l’Italia; orientale, verso la Grecia. Sono sospinti dalla motivazione di sempre: la ricerca di una vita diversa. Il luminoso e magico Mediterraneo di Caccia al ladro è allora scomparso per sempre? Forse sì, ma nella nostra epoca dove si decostruisce concettualmente tutto, dove «Occidente» non è più un’idea forte, dove l’Europa è ormai una periferia del mondo, e il suo passato egemonico e coloniale discusso e condannato, il Mediterraneo, il Mare Nostrum permane, indiscutibile, poliedrico, eterno, con la sua ricchezza e complessità di contesti, storie e significati.

 

Il grande racconto del mediterraneo, Egidio Ivetic, Il Mulino, pagg. 392 con 200 illustrazioni , euro 48,00

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter