L’Europa si alimenta (ancora) a combustibili fossili, ma negli ultimi vent’anni le rinnovabili sono la risorsa cresciuta di più. Dopo l’invasione dell’Ucraina, ha ridotto in maniera sorprendente la sua dipendenza dal gas russo, accrescendo per converso quella da altri fornitori. Sostituendo a «Europa» la parola «Italia», il discorso non cambia. Va appresa la lezione del 2009, quando di fronte al blocco delle forniture di metano deciso da Mosca (anche all’epoca lo scontro era con Kyjiv) Bruxelles si preoccupò dei corridoi e non della fonte. Scambiare il dito e la Luna.
Il Med & Italian Energy Report 2022 di Srm, un centro studi collegato a Intesa Sanpaolo, e Politecnico di Torino traccia anche le opportunità per il Mediterraneo: può diventare un hub energetico e decarbonizzare le sue sponde grazie a un «dialogo verde» in cui il nostro Paese deve essere protagonista. Nella transizione ecologica, i carburanti alternativi possono essere decisivi per convertire un settore “hard-to-abate” come il trasporto aereo e marittimo. Il documento è stato presentato stamane al Parlamento europeo. Si intitola “Alternative fuels: a strategic option for the Euro-Mediterranean area?”, ha collaborato la Fondazione Matching Energies.
Il trend storico
Il petrolio resta la prima fonte del mix energetico europeo. Tra il 2000 e il 2020 la nostra dipendenza è diminuita dal 38,7 al 32,7 per cento. Specularmente, è cresciuto il consumo di gas: dal 20,6 al 24,4 per cento. «Il trend in corso prima della guerra era quello di calare sulla fonte fossile più inquinante, il petrolio, e crescere su quella meno inquinante, il gas», spiega il direttore generale di Srm, Massimo Deandreis. Nello stesso arco temporale, la quota che si è espansa di più è stata quella green, passata dal 6,4 al 17,9 per cento. Per quanto riguarda la produzione di corrente elettrica, il miglioramento è ancora più tangibile. Siamo al quarantuno per cento, partivamo dal quindici.
Somma zero: meno Est, più Sud
Un altro tema è quello della dipendenza dall’estero. L’Unione europea importa circa il cinquantotto per cento di quanto le occorre. L’Italia è messa peggio (settantasette per cento). Per dire, vista una inscindibile dimensione geopolitica, gli Stati Uniti sono totalmente indipendenti, mentre la Cina lo è “solo” per il ventidue per cento. Negli scorsi nove mesi, siamo riusciti a liberarci dai ricatti del Cremlino: le forniture sono crollate, meno ottanta per cento.
I dati italiani fotografano la stessa contrazione. Se guardiamo gli entry point del metano, cioè i punti dove approdano i gasdotti, dal Tag di Tarvisio a settembre è arrivato meno dell’otto per cento delle nostre importazioni totali, a ottobre meno dell’uno per cento. In parallelo, la quota pompata dal Transmed verso la Sicilia è stata superiore al quaranta per cento, entrambi i mesi.
«Abbiamo perso una dipendenza dalla Russia, ne abbiamo acquisita una dall’Algeria – riassume Ettore Bompard, direttore dell’Esl@ Energy Center del Politecnico di Torino –. La sicurezza energetica non sta tanto dal Paese da cui ci approvvigioniamo, ma dal mix: servirebbero tanti fornitori, ciascuno per una piccola quota del fabbisogno nazionale. In questa fase non era possibile». Insomma, abbiamo smesso di rifornirci a Est, per ripiegare a Sud.
Da nero a verde
In conflitto in Ucraina è stata un «fattore di rottura». Non è stata la prima crisi. Nel 2009, il Cremlino tagliò i flussi per tredici giorni. «All’epoca la reazione dell’Ue è stata preoccuparsi del corridoio e non della fonte – dice Bompard –. I tedeschi hanno pensato bene di fare il Nord Stream 1 e 2 e poi il South Stream, che doveva arrivare in Bulgaria. “Se c’è un problema in Ucraina, cerchiamo di bypassarlo con un nuovo corridoio energetico”. Così, in un decennio, abbiamo aumentato la dipendenza pur avendo diversificato. L’interlocutore energetico era e rimaneva la Russia».
Anche se abbiamo ridotto sempre di più le importazioni, abbiamo versato a Mosca oltre cento miliardi di euro quest’anno: cinquantacinque per il petrolio, quarantasette per il gas e tre per il carbone. La commissione europea era focalizzata sulla sostenibilità, dopo il 24 febbraio ha dovuto «ribaltare il triangolo delle commodities» e concentrarsi su sicurezza e affordability. Ne ha risentito pure il dialogo energetico sul Mediterraneo. È rimasto «nero», cioè basato sullo scambio di combustibili fossili. Nel caso italiano: compriamo greggio dalla Libia e metano dall’Algeria.
Il ruolo del Mediterraneo
«Nella visione di decarbonizzazione della società del mondo, questo dialogo va trasformato in verde», chiosa il professore. «Il Mediterraneo può avere un ruolo strategico nelle rinnovabili e nell’idrogeno». Il ritmo di crescita della capacità rinnovabile in Medio Oriente e Nord Africa dovrebbe aumentare di oltre il cento per cento nei prossimi cinque anni, passando da 15 GW ad oltre 32 GW. L’espansione sarà concentrata in cinque Paesi: Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele, Egitto e Marocco.
Diversi Paesi stanno puntando su solare ed eolico per soddisfare la crescente domanda di elettricità. Le rinnovabili sono una nuova opportunità di partnership energetica. «Potremo soddisfare gli usi locali, decarbonizzarli». Qui entra in gioco l’idrogeno. Può essere usato per immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili e poi pompato verso l’Europa dentro i gasdotti già esistenti. Andranno potenziate le infrastrutture, più di un terzo del traffico dei porti italiani già consiste di rinfuse liquide.
Biocombustibili, e-fuels e un ponte naturale
Infine, i combustibili alternativi. Rientrano in questa categoria sia i carburanti di origine biologica (biocarburanti e biogas) sia quelli sintetici (cioè liquidi e gassosi, prodotti attraverso processi chimici a partire da fonti rinnovabili diverse dalla biomassa, identificati anche come «e-fuels»). Oggi non incidono ancora quanto potrebbero nell’area del mare nostrum, ma entro il 2025 arriveranno a coprire il ventisette per cento dei consumi del comparto dello shipping a livello globale. «Il novanta per cento del commercio mondiale viaggia via mare», ricorda Deandreis.
«Il conflitto in Ucraina ha contributo ad accelerare un processo: l’energia è diventata non solo una leva fondamentale per perseguire gli obiettivi di transizione ecologica e neutralità ma anche un asset strategico e geopolitico – conclude il presidente di Compagnia San Paolo, Francesco Profumo –. Se è vero che da ogni grande crisi nasce una altrettanto grande opportunità, dobbiamo guardare con crescente attenzione alla regione del Mediterraneo, un mercato giovane con un enorme potenziale per la produzione di energie alternative e rinnovabili. Il nostro Paese è il “ponte” naturale tra Nord e Sud».