Liberali, democratici, europei. Parte da questi tre aggettivi l’iniziativa che punta a riunire tutti i movimenti e partiti riformatori e liberali italiani in un’unica casa politica. Da Renew Italia di Matteo Renzi e Carlo Calenda a PiùEuropa di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova passando per Letizia Moratti, Sandro Gozi e Oscar Giannino. L’impresa non sembra semplice visto che alle ultime elezioni PiùEuropa si è alleato con il Partito democratico mentre Azione ha ottenuto uno storico risultato assieme a Italia Viva, con cui è nata da pochi giorni una federazione. Ma l’avvocato Alessandro De Nicola, Senior Partner delle sedi italiane dello studio legale Orrick, che il 14 gennaio organizzerà al Centro Pastorale ambrosiano di Milano l’assemblea nazionale costituente di LibDem, è sicuro: «Vogliamo fare il punto per capire come sta andando la costituzione di un partito unico liberaldemocratico. Naturalmente inviteremo i leader dei partiti che appartengono a Renew Europe, il raggruppamento liberaldemocratico al Parlamento europeo: ovvero PiùEuropa, Azione e Italia viva. Ci sarà anche Letizia Moratti, che si è sempre richiamata alle sue radici liberali e repubblicane, esponenti della società civile e i rappresentanti delle associazioni che sono confluite in questa costituente».
Non sarà facile riunire ciò che le elezioni del 25 settembre hanno diviso: PiùEuropa da una parte, Italia Viva e Azione dall’altra.
Lo so che la politica ha i tempi corti, però bisogna avere lo sguardo un po’ più lungo. È l’unico modo per non accapigliarsi sulle divisioni del momento attuale.
E cosa si capisce guardando più in là?
Si apprezza un momento inedito: è la prima volta che tre partiti che si rifanno ai valori liberaldemocratici europei raggiungono una cifra intorno all’11 per cento dei consensi. La somma dei voti di Azione-Italia Viva e PiùEuropa è precisamente al 10,7 per cento. Una cifra così non si è mai vista neanche quando Giovanni Spadolini è stato presidente del Consiglio nel 1981-82. Abbiamo una cultura comune liberale, i programmi sono simili e c’è un’opportunità politica che storicamente non si era mai presentata. Cosa serve di più?
Magari si potrebbe iniziare non dividendosi in dieci sigle.
Su questo abbiamo fatto la nostra parte. Abbiamo unito all’interno della costituente liberale diverse realtà: l’Alleanza liberaldemocratica per l’Italia (gli eredi di Fare per fermare il declino) Alternativa liberale, Liberali democratici europei, LibDem, Forum liberale e così via. Siamo partiti da un principio: se noi chiediamo unità, non possiamo essere divisi. Non ci siamo fermati qui: la costituente è aperta a tutti, ci si può iscrivere come associazioni e come individui.
Qual è l’obiettivo concreto della costituente?
Vogliamo stimolare il dialogo tra queste varie realtà e far capire che fuori c’è un mondo liberale diffuso, attento e desideroso di una nuova offerta politica. Non è una piccola bolla di intellettuali e professionisti, ma un popolo diffuso in tutta Italia. Per avere il consenso convinto, l’adesione, la militanza di questo mondo liberale bisogna essere uniti. Marx pensava che la violenza fosse la levatrice della storia, noi siamo molto più pacifici: vorremmo che la costituente liberale fosse la levatrice dell’unità tra i liberaldemocratici. Da liberali sappiamo bene che la storia non è predeterminata e quindi ci riusciremo se saremo bravi.
Un grande passo in avanti sarebbe scegliere un nome non respingente. Linkiesta propone da tempo una soluzione semplice: Partito liberaldemocratico.
Noi ameremmo una soluzione di questo genere. Ma anche se lo chiamassimo Liberaldemocratici europei o Liberaldemocrazia italiana. Poi, siccome siamo realisti, sappiamo che ci sono anche diverse sensibilità e le rispettiamo. Per noi conta più la sostanza. Per dirla alla Forrest Gump: “Liberale è, chi liberale fa”.
Eppure in questi anni chi ha fatto il liberale ha preso pochi voti. Perché in Italia ha attecchito meno rispetto ad altri Paesi?
Forse perché per chi ha una certa età la parola liberale fa pensare al vecchio PLI, un partito dignitosissimo ma che negli anni ’70 e ’80 prendeva il 2 o 3 per cento. Poi il termine è stato abusato da Silvio Berlusconi che aveva promesso la rivoluzione liberale, ma non c’è stata. E se c’è stata, me la sono persa. Addirittura in epoche diverse sia Massimo D’Alema che Giuseppe Conte si sono definiti liberali. Quindi dobbiamo affrontare due problemi opposti ma entrambi presenti. Il primo è quello di essere percepiti come una nicchia. Il secondo è che in fondo tutti si sentono un po’ liberali. Non è vera né una cosa, né l’altra.
Per smentire entrambe le affermazioni quale traguardo vi date? Le regionali in Lombardia? Le europee del 2024?
Noi promotori, così come Giuseppe Benedetto, Oscar Giannino, Sandro Gozi, o Luigi Marattin che da tempo sostiene questa ipotesi. Siamo molto interessati a un’operazione che sia in primo luogo culturale, non nel senso del fare un’associazione culturale, ma nel senso di dare una legittimità politica alle idee liberali. Questo è il primo risultato concreto da raggiungere. Se proprio vogliamo stabilire un orizzonte culturale amerei vedere questo partito liberaldemocratico prima delle elezioni europee.
Chiudiamo prendendo in prestito il titolo del libro che lei ha scritto con Carlo Cottarelli: “I dieci comandamenti dell’economia italiana”. Quale comandamento darebbe ai liberali italiani?
Il liberalismo è il più grande strumento di giustizia sociale. Comunicatelo meglio.