Non possiamo non riconoscere che siamo da secoli abbagliati dalla velocità, pertanto il lavoro di affermazione della lentezza è duro, ma non impossibile. I primi abbagli si sono verificati all’inizio del secolo scorso, quando la velocità iniziò letteralmente a drogare le società e le economie. Nel 1901, si disputò il primo Giro automobilistico d’Italia, accompagnato da tanto di pagine epiche di letteratura e poesia.
Mario Morasso fondò addirittura la Poetica della Velocità, nel 1905. In uno suo saggio, titolato L’oppio della velocità, scriveva cose come: La velocità ha, per così dire, su noi l’effetto delle sostanze estasianti, è una specie di oppio, di morfina immateriale e invincibile; […] l’uomo moderno si affida sempre più gioiosamente alla voluttà della corsa e ne risente una più gradita delizia, poiché essa precisamente gli accorda almeno l’illusione di potere ciò che nella realtà gli è impedito (Morasso M., 1905: 33).
Qualche anno più tardi, nel 1909, Filippo Tommaso Marinetti pubblicava il suo (drammatico, per quel che ispirò) Manifesto per il futurismo dove, a proposito di velocità, si legge: Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa con il suo cofano adorno di grossi tubi simile a serpenti dall’alito esplosivo. […] Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra… (Marinetti F.T., 1909: 51). Testi eloquenti e aggressivi che non smettono di trovare conferme ancor oggi, dopo oltre un secolo.
Pensiamo ad esempio alla martellante pubblicità delle automobili che sempre vediamo accelerare e sfrecciare trasferendo a tutti noi l’imperativo per cui la velocità dell’auto è libertà e realizzazione, perché bisogna vivere al massimo, consumare il mondo (Christin, 2019). La velocità ha messo radici profonde nella contemporaneità ed è quindi chiaro che abbiamo a che fare con qualcosa di potente che se la ride alla vista delle armi spuntate dell’attuale lentezza.
Se non vogliamo vedere questa scena in eterno, occorre occuparsi di lentezza con più protagonismo e maggiori investimenti pubblici. Non dimentichiamo che la lentezza è un diritto, e negarlo equivale a togliere qualcosa che dà pienezza alla vita dell’uomo. È necessaria una tattica argomentativa che aiuti la lentezza a divenire socialmente desiderabile. Bisognerebbe lavorare a una “Poetica della Lentezza”. Occorre guadagnare spazio culturale controbilanciando il campo libero che ha il marketing della velocità e il falso positivo dell’uso dell’auto, ad esempio.
Solo in Italia si conta che i decessi legati a complicanze sanitarie dovute all’inquinamento atmosferico da pm10 e dintorni siano nell’ordine delle oltre 200 unità al giorno (Lelieveld, 2020), numeri comparabili con la peste covid-19, con l’aggravante che le vittime da pm10 non avranno mai un vaccino. Con l’aggravante che le zone ferite dall’inquinamento atmosferico da traffico possono essere anche quelle che presentano maggiori patologie respiratorie, e quindi quelle dove i virus come covid-19 possono mietere più vittime.
Insomma, un po’ di letteratura ben scritta e argomentata contro il mal d’auto potrebbe pure farsi spazio mettendo in luce una lentezza capace di prevenire alcuni peggioramenti virali, di migliorare la qualità delle città, di ridurre l’incidentalità e così via. Ci vogliono dei poeti e dei generosi scrittori che si impongano sulla scena e convincano soprattutto i grandi decisori ad aprire gli occhi e a capire che investire in lentezza significa investire in salute e qualità per tutti e non per i soli ciclisti e camminanti.
La lentezza ha bisogno di braccia forti che la accompagnino e di voci decise che la spieghino e la facciano accogliere a tutti noi che, da oltre 110 anni, viviamo nell’oppio della velocità, drogati quotidianamente da centinaia di annunci pubblicitari sulla velocità senza che vi siano altrettanti messaggi positivi sulla lentezza.
Occorrono tattica e gradualità, da un lato, ma anche fermezza e mancanza di deroghe, dall’altro. È necessario sdoganare la lentezza dall’essere una materia di un manipolo di ambientalisti raccolti sotto quella o quell’altra associazione. La lentezza è un bene che genera del bene per tutti e migliora la vita di tutti, persino di chi non la pratica, perché se io vado in bici, faccio bene a me e, non usando un’auto, miglioro l’aria anche per chi non vuole usare la bici. Se non è politica questa…
Progettare la lentezza, Paolo Pileri, People, 272 pagine, 16 euro