Il Natale è alle porte e da qualche tempo, forse addirittura in anticipo rispetto agli anni scorsi: nelle corsie dei supermercati i panettoni hanno preso il loro posto, è già iniziata la corsa al panettone artigianale migliore del 2022, quello che riuscirà davvero a stupirci quest’anno per metodo di produzione, ingredienti e caratteristiche organolettiche.
Però, così si rischia di dimenticare che, come qualsiasi altra preparazione gastronomica, anche i dolci natalizi hanno il potere di caratterizzare un luogo – e viceversa – e che c’è una tradizione italiana vastissima dei dolci di Natale, quelli appannaggio delle case, prodotti dalle sapienti mani delle nonne e delle mamme, e che spesso tocca smaltire fino a Epifania inoltrata.
Sono quelli sicuramente non celebri, non instagrammabili, ma certamente autentici. La buona abitudine di tramandare le loro ricette determina il loro valore, pressoché inestimabile, non solo da un punto di vista gastronomico ma soprattutto storico e culturale.
Eccolo un breve viaggio nell’Italia natalizia – da nord a sud, passando per il centro – dove non si mangia solo panettone.
La micóoula in Valle d’Aosta
Partiamo dalla Valle di Camporcher, in Valle d’Aosta, dove già nel Medioevo si cuoceva, nei forni a legna comunitari, la micóoula, in patois “pane un po’ più piccolo e un po’ speciale”.
All’inizio dell’inverno le massaie preparavano questo pane nero a base di farina di frumento e segale, più resistente alle basse temperature rispetto al frumento, che veniva consumato nel corso della stagione fredda.
La ricetta venne poi arricchita con diversi ingredienti come l’uva passa, i fichi, le noci e le castagne – oggi anche il cioccolato – innalzando questo pane a dolce delle Feste. A ridosso dell’8 dicembre l’associazione Amis de la Micóoula, nata nel 2008 da un gruppo di giovani che si impegna a conservare questa tradizione locale, a recuperare i campi e gli edifici rurali – come i mulini, i forni, gli essicatoi – e a rivalutare i villaggi, organizza la festa della micóoula nel borgo di Hône. La Micóoula è un Prodotto Agroalimentare Tradizionale che può essere acquistato anche nei panifici storici della zona, come il Panificio Artigianale Sabolo.
Lo zelten in Trentino Alto Adige
Nella grande famiglia dei pani dolci di Natale troviamo anche lo zelten, originariamente trentino ma protagonista delle Festività anche in alcune zone del Veneto.
La sua storia affonda le radici in una tradizione panificatoria molto antica: la prima ricetta del centeno – suo antenato – risale al ‘700 ed è conservata nella biblioteca Civica Tartarotti di Rovereto.
Questo pane dolce, preparato con farina bianca, di segale, o entrambe, è un tripudio di frutta secca e spezie – fichi, uvetta, nocciole, noci, mandorle, pinoli, cannella, anice stellato e chiodi di garofano – e la sua preparazione è stata storicamente dedicata al periodo natalizio: il suo nome deriva dall’avverbio tedesco selten che significa a volte e ne sottolinea l’eccezionalità.
Sono numerose le tradizioni popolari che ruotano intorno alla sua ricetta – più ricco di frutta nella zona di Bolzano e di impasto quello trentino – e al giorno della preparazione in vista delle Feste. Tutte vedono la partecipazione delle giovani ragazze della famiglia alla produzione e il dono di un piccolo zelten di buona fortuna ai loro futuri mariti.
Sebbene l’immaginario dolomitico lo destini alle Feste, il centeno contemporaneo ha superato il concetto di stagionalità: lo chef Alfio Ghezzi nel suo Bistrot lo propone tutto l‘anno sostituendo la frutta secca e candita con una pasta di mandorle bianca stampata con l’iconica cupola del Mart, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.
La bisciöla in Valtellina
Entriamo nella patria del panettone ma per parlare della bisciöla Valtellinese. Le sue origini sono avvolte nella leggenda che ne attribuisce l’invenzione a Napoleone il quale, nel 1797, si fermò qui prima di terminare la Prima Campagna d‘Italia e chiese al suo cuoco di preparare un dolce usando ingredienti locali: farina di grano saraceno, burro, miele, uva, noci e fichi secchi. Purtroppo, pare che Napoleone non abbia mai messo piede in Valtellina, e quindi, probabilmente, la Bisciola è in realtà un dolce dalle origini molto più antiche.
Non sono giunti sino a noi ricettari che sostengono questa tesi perché si tratta di un prodotto delle classi popolari, preparato con ingredienti poveri come il miele e il grano saraceno. Siamo certi, però, che oggi rappresenti uno dei dolci natalizi per eccellenza, espressione degli ingredienti locali, preparato anche da alcune istituzioni come il panificio Viganò di Fusine.
Il certosino a Bologna
La versione bolognese dello zelten trentino è il certosino che inizialmente portava il nome di panspzièl – pane speciale per la ricchezza dei suoi ingredienti – la cui storia inizia nel lontano Medioevo.
La sua produzione era inizialmente affidata agli speziali, mercanti di spezie, per passare successivamente nelle mani dei monaci della Certosa – da qui certosino – il più grande cimitero monumentale cittadino, che lo preparavano in occasione del Natale: compatto e asciutto, dal sapore dolce e speziato dato dall’impasto a base di miele, cannella, anice, frutta secca e canditi.
Da Paolo Atti & Figli, bottega storica nel cuore di Bologna, a due passi dalle due torri, è già iniziata la produzione.
Il buccellato a Lucca
“Chi viene a Lucca e ‘un mangia il buccellato è come se ‘un ci fosse stato”. A Lucca torniamo ai pani dolci con il buccellato lucchese – diffuso fra le classi meno abbienti già in epoca romana quando veniva distribuito come razione ai soldati – consumato senza una precisa stagionalità ma sempre presente sulle tavole delle Feste.
L’impasto è preparato con farina, acqua, zucchero, semi di anice, lievito di birra, uvetta di Corinto a cui viene data la forma di ciambella o sfilatino.
Il buccellato per eccellenza è quello della pasticceria Taddeucci – in principio chiamata Fabbrica del Buccellato – che ne ha iniziato la produzione nel 1881 con un lievito madre che è tenuto in vita da centotrentotto anni.
L’antica ricetta, che non prevede l’aggiunta di grassi, è stata tramandata da cinque generazioni, e viene arricchita da un solo altro ingrediente nei giorni di festa, Natale compreso: le noci.
La roccia del Conero ad Ancona
“Natale non è Natale se a tavola nun c’è La Roccia del Conero”, è questo lo spirito con cui la storica pasticceria Foligni – aperta nel 1860 in via marsala ad Ancona – ogni anno, dal 1945, prepara questo torrone da trenta chili il cui nome e forma sono dedicati al monte Conero, simbolo della città.
L’impasto, che richiede quattro giorni di lavorazione, è composto da miele, zucchero, glucosio, albumina, frutta candita, cioccolato, nocciola e mandorle. Una volta pronto troneggia nella vetrina della pasticceria, viene frantumato con martello e scalpello e venduto a peso.
I purcidd a Martina Franca
A Martina Franca, in provincia di Taranto, non è Natale senza i purcidd – versione martinese di un dolce natalizio che si trova – con le dovute differenze nel nome e non solo – anche in altre zone d’Italia, dalle Marche alla Sardegna.
Un impasto a base di farina, olio extravergine di oliva e vino bianco viene tagliato in piccoli pezzettini cilindrici che passati sul riga gnocchi vengono poi fritti e successivamente bolliti nel miele con le mandorle tostate. Una volta pronti i purcidd vengono decorati con zuccherini colorati.
Premesso che saranno le nonne a occuparsi della loro preparazione, in caso di necessità possono essere acquistati in alcuni panifici della città come il panificio Angelini.
I petrali a Reggio Calabria
A testimonianza delle influenze arabe nella gastronomica calabrese, tra i dolci natalizi del capoluogo, troviamo i petrali, così chiamati perché probabilmente a inventarli furono un prete e una sua perpetua.
La loro preparazione è tutt’altro che rapida: un impasto di pasta frolla a mezzaluna racchiude un ripieno preparato con ingredienti tipicamente invernali come i fichi, le mandorle, l’uva passa, le noci, la scorza di agrumi, il miele, il vino cotto e il caffè che dev’essere lasciato a macerare almeno tre giorni. Una volta cotti al forno vengono ultimati con zucchero semolato e zuccherini colorati.
I petrali sono il classico dolce natalizio fatto in casa, ma la storica pasticceria Malavenda di Reggio Calabria, a fianco al museo archeologico nazionale della Magna Grecia, ne prepara di buonissimi.
La cubaita in Sicilia
Nella zona della Sicilia orientale, durante il periodo natalizio, troviamo la cubaita – chiamata anche Cubbaita, Cubaida o Gghiugghiulena – un croccante a base di sesamo, mandorle, zucchero e miele.
La storia di questo dolce, lasciato sciogliere in bocca solitamente a fine pasto, risiede nella dominazione araba dell’Isola nel 827: il termine ǧulǧulān/ǧulǧalān in arabo significa proprio seme di sesamo.
Le versioni di questo dolce sono tantissime – molte vedono l’aggiunta di note aromatiche con scorza di arancia o di limone – ma la vera difficoltà sta nella cottura e nel bilanciamento del dolce e dell’amaro: è un attimo bruciare il composto o esagerare con zucchero e miele.
L’Antica Dolceria Bonajuto di Modica da più di centocinquant’anni anni produce artigianalmente cioccolato e torroni della tradizione siciliana tra cui la cobaita, avvolta in pezzi da 100g nella carta velina e poi nella confezione di carta logata, acquistabili anche online.