Normalizzare l’escalation Il rinvio delle elezioni in Kosovo non basta a ricomporre la faglia con la Serbia

Il voto locale è stato posticipato dopo scontri e blocchi stradali, di cui Vučić e Kurti si accusano a vicenda. Da mesi Europa e Nato si spendono in prima persona per la stabilità della regione, mentre Putin spera sulle tensioni nei Balcani

I carabinieri presidiano Mitrovica dove si sono registrati scontri tra kosovari e filoserbi
AP Photo/Visar Kryeziu

La Serbia non ha mai accettato fino in fondo l’indipendenza del Kosovo e questo è uno dei principali motivi che stanno rendendo difficile il processo di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado. All’aspetto politico si aggiunge una frattura tra le varie etnie ancora molto marcata che ha rallentato il percorso di integrazione. In un Paese, il Kosovo, dove la popolazione di derivazione albanese è predominante, esistono due zone a maggioranza serba: una piccola parte del distretto di Ferizaj a Sud e i territori a Nord della città di Mitrovica, verso il confine serbo.

In quest’ultima zona ormai da una settimana si verificano scontri e tensioni che hanno portato la presidente del Kosovo Vjosa Osmani a rinviare al 23 aprile 2023 le elezioni locali anticipate, inizialmente previste per domenica 18 dicembre. I blocchi stradali organizzati dai manifestanti serbo-kosovari e alcune esplosioni avvenute al confine nord del Kosovo hanno spinto Pristina a prendere una decisione che è stata accolta favorevolmente da Europa e Stati Uniti.

Bomba a orologeria
Negli ultimi mesi la tensione tra Kosovo e Serbia si è alzata esponenzialmente su questioni apparentemente di non primaria rilevanza come le targhe automobilistiche e la nomina del nuovo «ministro kosovaro per le comunità e il ritorno dei profughi» non gradito a Belgrado. Tra le prime conseguenze di questi sviluppi ci sono state le dimissioni di giudici e funzionari di origine serba nel Nord del Kosovo, tra cui numerosi agenti di polizia.

Due settimane fa, Pristina ha inviato a Mitrovica Nord, zona a maggioranza serba, le forze speciali della polizia nazionale. I serbo-kosovari hanno visto dietro a questa manovra la volontà del governo di sostituire sindaci, funzionari e poliziotti dimissionari con figure provenienti dalla capitale. La spaccatura tra la popolazione è ancora accentuata e questa operazione ha provocato forti proteste che sono sfociate in blocchi stradali ed esplosioni, oltre a portare all’arresto di un ex poliziotto di origine serba. Nell’agitazione generale è stata anche lanciata una granata stordente contro una pattuglia della missione europea Eulex.

I leader dei due Paesi Albin Kurti e Aleksandar Vučić si accusano a vicenda di aver spostato le milizie verso il confine con il solo intento di voler provocare un’escalation. Un passo ulteriore è stato fatto nei giorni scorsi dal presidente serbo Vučić (già ministro dell’Informazione del governo guidato da Milošević nel 1998) che ha chiesto alla Nato di poter inviare militari nel Nord del Kosovo a protezione della comunità serba. Una domanda quanto mai singolare visto che sono proprio le truppe a guida Nato dell’operazione Kfor (Kosovo Force) a dover garantire la sicurezza dell’area. L’istanza è stata rispedita al mittente, ma la regione resta una bomba ad orologeria.

Equilibri internazionali
La strategia recente del Kosovo, che non ha contribuito al miglioramento dei rapporti con Belgrado, arriva in risposta ad anni di intromissioni della Serbia nella politica interna kosovara. I recenti sviluppi hanno fatto crescere le preoccupazioni di Europa e Stati Uniti nei confronti di una vicenda che rischia di avere conseguenze pesanti anche fuori dalla regione balcanica.

Washington e Bruxelles continuano a fare pressioni su Pristina perché eviti di gettare benzina sul fuoco. Sul rinvio delle elezioni il pressing ha funzionato. «Questa decisione costruttiva favorisce gli sforzi per promuovere una condizione di maggiore sicurezza nel Nord che è la condizione chiave per fare avanzare il dialogo sostenuto dall’Unione europea e normalizzare le relazioni fra Kosovo e Serbia», hanno fatto sapere in una nota i Paesi del “Quint” (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti).

Normalizzare i rapporti tra i due Paesi sarà una sfida ardua ma fondamentale per Usa e Unione europea. Dopo l’invasione russa nei confronti di Kyjiv, aprire una nuova faglia nei Balcani favorirebbe la strategia di Putin, che continua a mantenere rapporti molto stretti con il premier serbo Vučić. A sostenerlo è anche il leader kosovaro Kurti, convinto che dietro alle proteste di questi giorni ci siano Belgrado e Mosca.

Effettivamente è plausibile che la Russia possa avere un interesse nel destabilizzare un’area che si sta sempre più avvicinando all’Ue e dove, soprattutto, sono ancora presenti le truppe Nato. Negli ultimi mesi l’Unione ha fatto da mediatrice tra i due Paesi e si sta ritagliando un ruolo strategico nella regione. La Nato, dopo la risposta all’invasione russa, ha ritrovato una compattezza e una credibilità che mancavano da tempo. Insomma, aumentare la tensione nei Balcani potrebbe essere solo nell’interesse del Cremlino.

Anche per questo motivo a Bruxelles e Washington è stata accolta favorevolmente la decisione di rinviare le elezioni locali previste per domenica scorsa, visto il crescente nervosismo che stava accompagnando l’appuntamento elettorale. Ora però bisognerà attendere la prossima mossa di Vučić che, spinto dalle pressioni interne, non sembra intenzionato a voler fare passi indietro. È facile immaginare che il rinvio del voto locale non sarà sufficiente a mettere la parola fine ad una vicenda che, questa volta, rischiamo di non poter derubricare a mero screzio.

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