La prima è stata l’Università di Glasgow nel 2014, mentre oggi sono più di cento le università britanniche ad avere in qualche modo tagliato i ponti con l’industria dei combustibili fossili. Una tendenza che sta prendendo piede soprattutto oltremanica e negli Stati Uniti: provengono da questi due Paesi, infatti, i quasi cinquecento professori che nel marzo 2022 hanno scritto una lettera aperta ai dirigenti universitari di tutti gli atenei britannici e americani, con una richiesta ben chiara: bisogna rifiutare i finanziamenti delle aziende che producono e/o commercializzano carbone, petrolio, gas e così via.
Accettare denaro dalle compagnie che operano nell’industria fossile «è un conflitto di interessi intrinseco» che rischia di «contaminare» la ricerca universitaria e di «compromettere la libertà accademica. L’università e la ricerca sono fondamentali per garantire una transizione rapida ed equa per abbandonare i combustibili fossili, e gli accademici non dovrebbero essere costretti a scegliere tra la ricerca di soluzioni climatiche e l’aiuto involontario al greenwashing aziendale», si legge nella lettera.
Contemporaneamente è cresciuta l’iniziativa “People & Planet” – che classifica le università britanniche in base alle prestazioni etiche e ambientali -, fondamentale per portare questo tema all’interno dei consigli studenteschi e del corpo docenti dei singoli atenei. People & Planet è riuscita a trovare il fondamentale sostegno del National Union of Students e dell’Universities and College Union. Non è poi un caso che tutto ciò stia accadendo in Regno Unito, Paese in cui movimenti ecologisti come Extinction Rebellion (Xr) e Just Stop Oil stanno facendo particolare rumore e ottenendo risultati da non sottovalutare.
Arriviamo così a fine ottobre 2022, quando – secondo il Guardian – il sessantacinque per cento degli atenei del Paese si era rifiutato di fare «alcuni investimenti» in progetti organizzati o supportati da aziende fossili. Queste organizzazioni, complessivamente, hanno incassato 17,6 miliardi di sterline in meno rispetto alle previsioni. Una somma a dir poco cospicua, dovuta principalmente alle prese di posizione di università del calibro di Edimburgo, Oxford e Cambridge. Calzante anche l’esempio della Coventry University, che ha interrotto investimenti da 43,6 milioni di sterline originariamente destinate a diverse società fossili: il merito è stato principalmente di una protesta studentesca durata circa nove mesi.
Tra le più virtuose c’è la già citata Oxford, che nell’agosto 2020 è passata alla storia come prima università a indire una sorta di elezione tra docenti per chiedere lo stop ai finanziamenti di aziende che violano i criteri climatici chiave. Il risultato è stato un piano per «disinvestire tutti gli investimenti diretti e indiretti in combustibili fossili» entro il 2030. Ciò significa che l’ateneo dovrà, tra le altre cose, vendere le azioni delle società che estraggono gas e petrolio.
Le università, dunque, cominciano a escludere le aziende che estraggono combustibili fossili dalle loro politiche di investimento, portando l’agenda di sostenibilità a un passo successivo e dando una vistosa spallata al greenwashing. Secondo Lynda Powell, direttrice delle operazioni finanziarie della Wrexham Glyndwr University, queste decisioni potranno «supportare le generazioni future ad adottare scelte di carriera più significative e sostenere lo sviluppo di una forza lavoro realmente sostenibile».
E a proposito di forza lavoro sostenibile, alcuni atenei britannici stanno sposando la causa climatica anche in un altro modo, forse ancora più incisivo e simbolico. In cosa consiste? Non permettere ai recruiter delle aziende fossili di partecipare alla fase di orientamento al lavoro dei giovani studenti, come ad esempio i “Career Days” (quando le aziende cercano nuovi lavoratori da assumere o da chiamare per uno stage).
A inizio dicembre, tre nuovi atenei – University of the Arts London, University of Bedfordshire e Wrexham Glyndwr University – hanno percorso la stessa via della Birkbeck University e dell’University of London, le prime a chiudere le porte alle risorse umane delle aziende fossili: non possono accedere agli eventi delle università, assumere e reclutare studenti.
Intanto, come anticipato all’inizio dell’articolo, qualcosa si muove anche negli Stati Uniti, anche se la strada per raggiungere i risultati del Regno Unito è ancora lunga. Alle università di Yale, Princeton, Stanford, Vanderbilt e Massachusetts Institute of Technology sono infatti nate delle campagne ben strutturate contro i finanziamenti delle aziende inquinanti. A inizio 2022, i comitati hanno presentato degli esposti ai procuratori generali degli Stati del Connecticut, Massachusetts, New Jersey, California e Tennessee, chiedendo un’attenta indagine «sui costanti investimenti nel settore fossile da parte degli amministratori scolastici».