Moda e bondage Corsetti, abiti in vinile e accessori dal sapore fetish che fanno tendenza

Attraverso le corde del piacere, si esplorano panorami estetici. A torto lo si considera un estro contemporaneo. In realtà l’alfabeto BDSM affonda le sue radici nei miti passati e compone nuove seduzioni

Foto di Stefania Zanetti e Matteo Bellomo, Styling di Marta Donadi

In quella che appare una maison de couture d’altri tempi, con la passerella di un rassicurante rosa confetto, sulle note che tradiscono un’emozione sobria – quelle dell’Adagio per archi di Samuel Barber, già colonna sonora di Platoon ed Elephant Man – sfila a Londra durante la fashion week dello scorso febbraio, Violet Chachki, drag queen salita agli onori della fama con la sua partecipazione alla settima edizione di Ru Paul Drag’s Race, il contest 3.0 nel quale si elegge l’“America’s next drag superstar”. 

 

In tuta di latex, scarrozza al guinzaglio un uomo, fornito del necessario armamentario per mostrarsi al suo fianco: latex bodysuit, ça va sans dire, ma anche maschera con corna luciferine e harness utile per un’eventuale sessione di bondage prima dell’ora del tè. Nel backstage, il designer, l’inglese Richard Quinn, spiega che l’utilizzo abbondante di vinile, per l’autunno/inverno 2022 è dovuto a una nuova visione della moda, post Covid, intesa come «armatura, un tentativo di equilibrio tra l’oscurità e la bellezza». Una visione propugnata anche per il futuro prossimo – la primavera/estate 2023 – da Thom Browne a qualche centinaio di km di distanza: lo stilista manda in scena un modello dalle movenze di un cowboy dell’Idaho impegnato nell’annuale gara di danza country western – peccato però che la sfilata sia geolocalizzata ai “cap” privilegiati di Parigi – con brachette nel cui taglio centrale, area peccaminosa che una volta il sarto dei gentleman chiamava “il fastidio” (“dove lo porta il fastidio? A destra o a sinistra?”), spicca una micro ancora metallica, a ricordare il piercing Prince Albert, la cui onomastica è legata a una leggenda sul marito della regina Vittoria tutta da verificare. 

 

E se anche al lettore disinformato su usi e costumi della moda, dopo queste due scene da passerella, pare di trovarsi sul set di Zoolander, la verità è che maison e couturier di ogni nazione e credo, flirtano da diverse stagioni con il mondo variegato del fetish, tra outfit propedeutici al bdsm (bondage e disciplina, dominanza e sottomissione), torture e supplizi di varia natura, corsetti a rischio dispnea e modificazioni del corpo cercate con gusto.

 

Corsetto trench in cotone, Dior. Foto di Stefania Zanetti e Matteo Bellomo, Styling di Marta Donadi

 

Altri esempi? Nella collezione Aria dedicata al suo centenario, Gucci ha approfittato della sua storica connessione con il mondo dell’equitazione per mandare in scena frustini, corsetti, borse con manici più simili a gatti a nove code, fino a harness da esibire sopra le camicie in seta; Ludovic de Saint Sernin – il designer di cui tutti parlano a Parigi – ha dato alle stampe una capsule collection con PornHub, mentre brand come Andreadamo e Dion Lee riprendono la costruzione vestimentaria del maestro Helmut Lang, che negli anni Novanta ha ridisegnato la mappa anatomica con vestiti cut-out

 

Proseguendo senza indugi tra i riferimenti e i rimandi – perché “quando è moda, è moda”, direbbe Gaber – la Tom of Finland Foundation, erede stilistica del disegnatore che ha messo su carta i tratti del cruising gay degli anni Settanta, si presta a numerose co-lab con altrettanti marchi di abbigliamento. 

 

La primigenia però è quella di Saint Laurent, che per l’autunno/inverno 2020-2021, aveva già proposto un’idea di femminile mutuata da quella Catherine Deneuve in Belle de jour – i cui costumi erano stati disegnati nel 1967 dal fondatore Yves – che cela sotto paramenti borghesi e cappotti da educanda, corsetti, liquid leggings e top in latex, sintomatici di pulsioni tutt’altro che condonate da una società moralista. Nel frattempo, nel mondo reale che vive al di fuori dell’universo fatato degli addetti ai lavori, il cantante Frank Ocean, nuova stella polare dell’r&b, vende un cock ring (ma in oro 18 carati); i Måneskin salgono sul palco dei vmas in pantaloni di pelle da biker che lasciano le natiche scoperte (lo aveva già fatto Christina Aguilera nel video di Dirrty nell’Anno Domini 2002, sulla scia degli adepti del bdsm, che già nei primi anni Cinquanta, amavano sfoggiare outfit che rimandassero a un immaginario da rudi motociclisti).

 

Foto di Stefania Zanetti e Matteo Bellomo, Styling di Marta Donadi


Parlando invece di piccolo e grande schermo, su Netflix è disponibile
Bonding, serie del 2019 nella quale la studentessa di psicologia Tiffany, nottetempo si trasforma in Mistress May, nel tentativo di mettere insieme il pranzo con la cena, ma anche per perseguire, nei corridoi del sex dungeon, una sua personale ricerca sui nuovi significati del feticismo, nell’era odierna del consenso. Ultima ma non in ordine di importanza, la performance di Zoë Kravitz nel ruolo di Catwoman, nell’ultimo The Batman firmato Matt Reeves – un successo di pubblico e critica a cui è stato già garantito un secondo capitolo, dove rivedremo Selina Kyle con tutina in vinile e cuissarde, parte dell’uniforme dell’anti-eroina. 

 

Per fornire un quadro storico completo, va detto che il primo a usare però la parola feticismo in senso psicologico (e non religioso) è stato Alfred Binet nel saggio Il feticismo in amore, del 1867, anche se poi il concetto di feticismo come devianza sessuale è stato coniato dallo psichiatra austriaco Richard von Krafft-Ebing, pioniere dei termini “sadismo” (in onore del Marchese de Sade) e “masochismo” (con riferimento a Leopold von Sacher-Masoch, l’autore di Venere in pelliccia, che non fu per nulla felice di vedere il suo cognome abbinato a quella che era considerata come un’anomalia nelle regolari pulsioni dei rapporti sociali). 

 

Una indomita passione, quella verso il fetish, che si è accesa per la prima volta negli anni Ottanta, propagandosi velocemente tra i corridoi degli uffici stile, raccontata poi nel 1996 nel libro seminale Fetish: Fashion, Sex and Power, da Valerie Steele, storica della moda e odierna direttrice del museo all’interno del Fashion Institute of Technology. Il manuale esaminava ogni iterazione possibile dei feticismi, la loro nascita e la prolificazione in riviste di settore, proseguendo nel raccontare come la moda abbia pescato da quell’immaginario stilistico, in un periodo storico nel quale le donne, prevaricate da una società profondamente patriarcale, volevano ribaltare le dinamiche di potere, almeno con i vestiti. 

 

Il bustier motocicletta del 1992 di Thierry Mugler, il corsetto di Madonna firmato da Jean Paul Gaultier, la sfilata primavera/estate 1992 di Dolce&Gabbana con una dirompente Cindy Crawford in bustier e reggicalze: un’ispirazione anche per Kim Kardashian, la diva interplanetaria che ha curato la sfilata primavera/estate 2023 del duo di stilisti selezionando dall’archivio i più iconici corsetti arricchiti da stecche di strass. E ancora, la collezione s&m del 1992 di Gianni Versace, così come il lavoro di Alaïa, si inseriscono in questo filone.

 

Stivaletto in vernice, Casadei. Foto di Stefania Zanetti e Matteo Bellomo, Styling di Marta Donadi

 

Nel caso di Mugler e Alaïa, questo lavoro ha contribuito a una trasmutazione potente del femminile, in quanto dotato di un magnetismo quasi ferino, i cui contorni sono presi a prestito dal mondo animale – come poi farà diversi anni dopo Alexander McQueen, nel tentativo di immaginarsi donne guerriere, passate attraverso infiniti dolori, come quelle della sua famiglia, eppure vive e per nulla remissive. Diverso è il caso di Vivienne Westwood, madre putativa del punk, controcultura che usava i paramenti del bdsm, choker e corsetti compresi, non tanto in quanto espressione di una supposta selvaggia fantasia – anche sessuale – quanto perché era animata da un più semplice desiderio di shoccare la società dell’epoca. «In quegli anni è stato centrale il tema della moda che riprogettava tutto, anche i corpi», spiega Maria Luisa Frisa, curatrice,  critica di moda e autrice del libro del libro Le forme della moda (Il Mulino). 

 

«A volte quando si parla del rapporto tra fetish e moda si cita lo Skeleton dress di Elsa Schiaparelli, del 1938, ma quello era uno studio surrealista su un elemento del corpo che diveniva elemento decorativo. Sono stati gli anni Ottanta quelli nei quali la moda ha attinto dall’underground, legato al desiderio, con pratiche proibite che si esercitavano lontano dagli sguardi, indagando anche il suo lato oscuro. Un lavoro che si è arricchito di atti solitari di pura trasgressione come quello di Leigh Bowery, designer e performer australiano che usava il corpo come territorio delle battaglie, della metamorfosi e della sofferenza. La prima volta nella quale si fa vedere nudo di fronte al pubblico, privo di tutti i suoi orpelli, è quando si fa ritrarre da Lucian Freud: si tratta per lui di una profonda trasgressione come molte delle sue performance, per le quali si faceva dei piercing sulle guance allo scopo di tener meglio le maschere. 

 

Un altro esempio è stato quello di Mr Pearl, maestro nella creazione dei corsetti, di cui era però anche avido utilizzatore, che a forza di indossarli giorno e notte, si è ridotto notevolmente il giro vita. Il libro della Steele, pubblicato in quegli anni, ha fotografato questo scenario, oggi inesistente». Il revival odierno, infatti, ha ragioni molteplici, e non sempre riconducibili a una scossa dal basso nei codici sociali: la parola d’ordine è Regencycore, religione di ogni appassionata di Bridgerton e delle evoluzioni sentimentali dell’omonima famiglia, nell’era della Reggenza Inglese, a inizio 1800.

 

Foto di Stefania Zanetti e Matteo Bellomo, Styling Marta Donadi

 

Se già nel 2021, al suo debutto, la ricerca di corsetti era salita del 306 per cento (dati Lyst), l’arrivo della seconda stagione, presentata a marzo, insieme all’altro show di hbo, The Gilded Age, e al Met Gala a tema “Gilded Glamour” hanno portato, secondo un report di Hey Discount (portale di ricerca moda) a definire “corsetto” il trend più ricercato su TikTok, con 3,7 miliardi di view

 

Nello stesso momento sono arrivate anche le copertine dei giornali patinati come quel British Vogue che si è preso l’onere di mostrare al mondo la trasformazione di Billie Eilish, a cui sono state tolte le felpe over, e messo indosso un bustier in satin di Alexander McQueen. Un capo di abbigliamento, il corsetto, che oggi è privo, nella maggior parte dei casi, delle dolorose stecche e in generale del suo valore ambivalente, associato alla ricerca della bellezza e di una silhouette ideale, ma anche sinonimo dell’oppressione femminile, croce e delizia di personaggi come Ethel Granger: la donna con la vita più stretta al mondo, secondo il Guinness dei primati del 1939 – e di certo la prima a ostentare numerosi piercing sul corpo – perseguì infatti un percorso di modificazione volumetrica iniziato su richiesta del marito e poi proseguito di sua volontà, come performance corporea fine a se stessa. 

 

Secondo Andrew Groves, professore di Fashion Design all’University of Westminster, questo rinnovato amore degli anni Dieci del secondo millennio, è una risposta umana al passato recente della pandemia, un tentativo di riprendere possesso del proprio corpo, costretto dai dettami del lockdown a rimanere coperto: un assunto che ha propugnato anche con la mostra digitale Undercover – from necessity to luxury: the Evolution of face coverings during covid-19. È una posizione che trova Frisa in disaccordo: «Certo, la pandemia ha cambiato il nostro rapporto con il corpo, ma quando Demna Gvasalia manda in scena da Balenciaga delle maschere in latex alla Borsa di New York, sostenendo che i soldi sono l’ultimo feticismo, o si presenta al Met Gala 2021 totalmente coperto con immagini che rimbalzano ovunque, capisci che siamo più nel ramo della comunicazione, che in quello della trasgressione.

 

Bustier in nappa, Fendi. Foto di Stefania Zanetti e Matteo Bellomo, Styling Marta Donadi

 

Essendo un “guastatore”, un cinico dall’incredibile forza creativa, tramuta questa filosofia in un decorativismo pop, che poi è quello che sta succedendo anche in uno scenario più ampio. Le dark room berlinesi di cui parlava Pier Vittorio Tondelli negli anni Ottanta in Camere separate, che mettevano al centro il corpo, e la sua capacità di prestarsi alle pratiche più sovversive, esistono ancora, ma sono estetizzate, instagrammabili (argomento caldo tanto da chiamare Dark room il primo numero di Dune – la rivista accademica di cui è direttrice, e parte del cluster di ricerca dello iuav di Venezia, ndr). Mentre oggi un Mario Desiati si presenta alla cerimonia del Premio Strega, che ha vinto con il romanzo Spatriati, con choker al collo, a sottendere una vita “altra” rispetto alla canonicità: il risultato però, visto attraverso la lente deformata dei social, è quello di trasformare un pezzo disubbidiente, in un elemento dal carattere patinato, diluendone il valore originale. 

 

Ciò che è davvero rimasto di eversivo nella moda, è l’atto della progettazione: ci sono certo, gli oggetti e i capi che vengono venduti in negozio, ma parallelamente c’è una riflessione sulle declinazioni dell’estetica del potere». Una riflessione portata avanti da maison come Valentino e Gucci passando per Balenciaga, ma che poco ha a che vedere con la storia di choker e frustini, ridotti ad ammennicoli da sfoggiare a favore di telecamera. Nessuno ha, in fondo, il desiderio di spirare in manicomio come De Sade, sulla cui eredità letteraria si discute ancora; nel 2022, è più rassicurante il “famolo strano” di Ivano in Viaggi di nozze, mantra utilizzato non tanto come eversivo anatema nei confronti di una società bacchettona, quanto per sfuggire alla noia di tempi nei quali tutto è permesso, ma niente è più scandaloso.

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