Quantomeno in Italia, la diffusione dei monopattini elettrici è un tema che continua a dividere. La premessa doverosa è che stiamo parlando di mezzi di trasporto ancora acerbi, scarsamente diffusi prima della pandemia e da poco regolati all’interno del codice della strada. Anche per questo, i dati sull’aumento degli incidenti hanno senso fino a un certo punto (ma sono molto facili da strumentalizzare per scopi politici).
Per rendere l’idea, stando a un’elaborazione dell’osservatorio Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, in Italia nel 2021 sono stati effettuati quasi diciotto milioni di noleggi e più di quarantuno milioni di chilometri percorsi: una crescita rispettiva del 138 e del 186 per cento rispetto al 2020.
Dobbiamo tutti “prendere le misure”, compresi gli automobilisti che da un mese all’altro si sono ritrovati a guidare di fianco a un elemento nuovo, dalle dimensioni ridotte e dall’accelerazione scattante. La strada è così: un ecosistema urbano in cui tutti dovrebbero godere degli stessi diritti, senza per forza aver bisogno di infrastrutture ad hoc. In un mondo ideale basterebbero cultura dello spazio pubblico e rispetto reciproco, ma siamo ancora lontani da un risultato del genere.
La diffidenza attorno ai monopattini elettrici – che rientrano nel settore della micromobilità elettrica – è comprensibile, ma fino a un certo punto. Anziché esaltarne le potenzialità (riduzione del traffico veicolare e delle emissioni, velocità di spostamento da un punto all’altro della città), spesso i politici italiani evidenziano solo le loro criticità e promettono una “iper-regolamentazione” che rischia di essere un’arma a doppio taglio: da una parte può rassicurare i cittadini, dall’altra può disincentivare la diffusione di un mezzo importante nell’ottica di una mobilità urbana più sostenibile (non solo in termini ambientali).
Un esempio è quello di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, che pochi giorni fa ha manifestato la sua volontà di introdurre nel nuovo codice della strada l’obbligo di casco e targa per i monopattini, al di fine di «tutelare la sicurezza di chi va sul monopattino e dei passanti, che non possono essere trattati come bastoncini e paletti per le discese da sci». Nessun Paese europeo ha finora imposto il casco obbligatorio per i maggiorenni. Solo in Germania sono obbligatorie sia l’assicurazione sia la targa, mentre in Francia serve solo la prima.
Sempre in Francia, più precisamente a Parigi, l’amministrazione starebbe pensando di vietare l’uso dei circa quindicimila monopattini elettrici in-sharing disponibili in città, mentre in Italia – per motivi non necessariamente legati alla sicurezza stradale – ci sono Comuni come Mestre o Tortona che ne hanno impedito la circolazione in alcune zone.
Una nuova ricerca della Georgia Tech’s School of Public Policy ha analizzato gli effetti del divieto dell’uso di monopattini elettrici ad Atlanta, e i risultati confermano che questi mezzi hanno davvero la possibilità di migliorare la mobilità delle nostre città. In seguito allo stop, nella città statunitense i tempi di percorrenza sulle strade sono aumentati mediamente del dieci per cento.
L’incremento maggiore è stato registrato per gli spostamenti verso le grandi location che ospitano gli eventi sportivi: circa dodici minuti in più (+37 per cento) rispetto a quando si potevano usare i monopattini elettrici. Quando questi mezzi sono vietati, la gente usa l’automobile con maggior frequenza. E il risultato è un aumento del traffico.
In totale, ogni anno i cittadini di Atlanta hanno trascorso 784mila ore in più nel traffico, solamente tra le 9 di sera e le 4 del mattino (la fascia oraria coperta dal divieto). Secondo il professor Omar Asensio, autore principale dello studio pubblicato su Nature Energy, uno stop nelle ore di punta non farebbe altro che peggiorare la situazione degli ingorghi stradali.
I monopattini e tutti gli altri mezzi di micromobilità elettrica permettono ai conducenti delle auto di trascorrere annualmente il 17,4 per cento di tempo in meno nel traffico (e di risparmiare complessivamente 536 milioni di dollari annui). Diversi automobilisti, infatti, possono convertirsi alla micromobilità elettrica (o ad altre forme di mobilità dolce), semplificando la vita anche di chi sceglie di proseguire con i mezzi motorizzati. Un circolo virtuoso.
L’analisi del team di Asensio ha preso in considerazione diverse fonti di traffico e l’incremento del numero di monopattini negli ultimi anni: per questi due motivi è considerata una delle più autorevoli sull’argomento. L’altro aspetto da considerare è che alla diminuzione del traffico corrisponde sempre un abbassamento delle emissioni. «La mobilità elettrica è la chiave per la decarbonizzazione dei trasporti, quindi dobbiamo capire bene come funzionano le interazioni tra diversi tipi di mezzi (non solo le auto elettriche, ndr)», ha detto la dottoressa Camila Apablaza, una delle autrici dello studio.
Lo scopo dello studio è mostrare che vietare i monopattini (o imporre norme restrittive che rischiano di disincentivarne l’uso) può avere un impatto negativo sulla vita quotidiana delle persone. Non sarà una cascata di obblighi e divieti ad accelerare l’introduzione (virtuosa) di un mezzo di trasporto nuovo all’interno della mobilità cittadina. Serve senza dubbio una regolamentazione che sia chiara, uniforme e non respingente. Così come serve una miglior comunicazione delle regole da parte dei governi e delle amministrazioni. Ma c’è anche bisogno di tempo, perché la resistenza al nuovo è fisiologica.
Nel 2021, in Italia, il noleggio medio dei monopattini elettrici è stato di quasi dodici minuti, per una percorrenza di 2,3 chilometri. Un buon dato che testimonia la loro competitività nei percorsi brevi per cui, ormai, prendere l’auto non conviene più (almeno nelle città più grandi). «Possiamo ipotizzare che ci siano diverse persone che utilizzino il monopattino per percorsi più lunghi, sostituendo quindi l’auto privata. Bisognerebbe arrivare a superare i tre-quattro chilometri di media per parlare di un risultato davvero soddisfacente», ha detto Simone Franzò, direttore dell’osservatorio Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, in un’intervista al Corriere della Sera.