La Georgia, una piccola repubblica ex-sovietica situata nella regione montuosa euroasiatica del Caucaso, è preda di un dilemma esistenziale. La popolazione di questa nazione è fortemente schierata su posizioni filoeuropee e filo-atlantiche, ma le ragioni della realpolitik costringono l’esecutivo di Tbilisi a fare i conti con un vicino ingombrante: la Russia di Vladimir Putin.
I rapporti bilaterali con Mosca sono stati azzerati dalla guerra lampo scoppiata nel 2008 e conclusasi con la vittoria del Cremlino. In quell’occasione, che per alcuni versi ricorda le vicende dell’Ucraina, le truppe russe invasero la Georgia e ne occuparono il venti per cento del territorio per mettere le mani su due regioni separatiste russofone, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, e per porre fine all’avvicinamento all’Occidente da parte dell’allora Presidente georgiano Mikhail Saakashvili.
La Russia, come ricordato dal Center for Strategic & International Studies, ritiene che le aperture europeiste e atlantiste di Tbilisi costituiscano una minaccia alla sicurezza nazionale e il presidente Putin considera la Georgia come una parte integrante della sua sfera di influenza. L’obiettivo del Cremlino consiste nel demolire le aspirazioni georgiane facendo in modo che Mosca sia l’unica garante della sicurezza.
La popolazione non si è, però, lasciata impressionare. Un sondaggio, realizzato nel 2021 dal National Democratic Institute, ha certificato che il supporto per l’ingresso della Georgia nella Ue e nella Nato ha raggiunto il suo massimo con, rispettivamente, l’ottanta e il settantaquattro per cento di favorevoli. Tbilisi ha inoltre portato avanti progetti di cooperazione con gli Stati Uniti consistenti nella fornitura di equipaggiamenti e partecipazione a esercitazioni militari.
Negli ultimi dieci anni qualcosa è cambiato in Georgia e questo mutamento, che dovrebbe preoccupare l’Unione europea, riguarda il quadro politico. La sconfitta del governo Saakashvili alle elezioni del 2011 ha portato al potere Sogno Georgiano, un partito guidato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili che, nel corso degli anni, ha spostato il suo orientamento politico verso Mosca.
Tbilisi ha faticato a condannare l’annessione della Crimea nel 2014, ha impedito ai volontari georgiani di prendere parte al conflitto nel Donbas, ha favorito la scarcerazione di alcuni funzionari filorussi e ha dato libero accesso, senza visto, ai cittadini russi intenzionati a visitare la Georgia. L’opposizione politica è stata oggetto di persecuzioni e le riforme interne, con grande dispiacere di Bruxelles, sono entrate in una fase di stallo problematico.
Ivanishvili è l’oligarca più potente della Georgia e il partito da lui fondato governa il Paese da dieci anni. L’oligarca, che ha abbandonato ogni incarico pubblico e istituzionale, è considerato l’eminenza grigia del potere in Georgia e, secondo gli analisti dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, sarebbe in grado di nominare e revocare premier, ministri oltre che guidare il corso della politica estera del Paese.
Il governo georgiano, per esempio, ha deciso di non imporre sanzioni alla Russia e, negli ultimi mesi, ha rilasciato dichiarazioni che lo pongono in conflitto con Kyjiv e con i partner occidentali. Lo stesso Ivanishvili avrebbe importanti interessi economici nella Federazione Russa.
L’organizzazione non governativa americana Freedom House, che monitora annualmente il rispetto dei diritti civili e politici nel mondo, ha messo in evidenza gli affari politici e i media della Georgia sono condizionati dall’influenza oligarchica e che lo stato di diritto è minato da una diffusa politicizzazione. Nel rapporto del 2022 di Freedom House la Georgia ha ricevuto un punteggio di cinquantotto su cento (dove cento equivale ad una democrazia perfetta) e le è stato assegnato lo status di «nazione parzialmente libera».
Secondo l’organizzazione le elezioni parlamentari del 2020 e quelle presidenziali del 2021 sono state contrassegnate da una serie di problematiche, mentre i partiti di opposizione e i loro membri sono soggetti a intimidazioni. I giornalisti impiegati nel pubblico possono essere licenziati se criticano il governo e subiscono, dunque, limitazioni di espressione,
Eleonora Tafuro, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperta di Asia Centrale, Caucaso e Russia, spiega a Linkiesta che «ragioni pragmatiche ed economiche spingono il governo guidato da Irakli Galibashvili, esponente di Sogno Georgiano, ad essere vicino alla Russia perché è possibile farci affari fruttuosi data la struttura oligarchica dell’economia georgiana».
Tafuro chiarisce come «i rapporti commerciali tra Georgia e Russia favoriscono una maggiore penetrazione di Mosca nella nazione caucasica» e anche che «in Georgia si sta tentando di avviare un processo di de-oligarchizzazione dell’apparato produttivo ma è un percorso complesso e tortuoso». L’analista evidenzia «che la questione dei rapporti con la Russia è una cartina tornasole che riveste un ruolo importante in tutti i programmi dei partiti politici georgiani».
Il Parlamento europeo, durante il processo di approvazione dell’Accordo di Associazione tra Bruxelles e Tbilisi conclusosi il 14 dicembre, ha adottato una risoluzione in cui raccomanda di ridurre l’influenza eccessiva esercitata da Bidzina Ivanishvili in Georgia e tra le misure appropriate indica «l’adozione di sanzioni comunitarie contro lo stesso Ivanishvili e tutte le persone ritenute responsabili del degrado della democrazia in Georgia».
L’Eurocamera ha anche chiesto alle autorità georgiane di rilasciare l’ex presidente Saakashvili, condannato in contumacia nel 2018 a sei anni di carcere per abuso di potere e arrestato nell’ottobre del 2021 al rientro nel Paese dopo otto anni in esilio. La salute di Saakashvili si è fortemente deteriorata nelle ultime settimane e secondo un rapporto, diffuso da alcuni medici che lo hanno visitato, ha perso oltre quaranta chili di peso in poco più di un anno oltre ad aver subito gravi deterioramenti della salute mentale.