C’è stato un tempo in cui la moda era la Moda. Certo detta così potrebbe sembrare semplicistico ma fino ai primi del Novecento, di fatto, le case di moda si preoccupavano di vestire la figura femminile e quella maschile secondo il gusto, le esigenze, le attenzioni di una società tumultuosamente in movimento e in evoluzione. Lo sguardo andava già ben oltre il mero confezionamento di un abito puntando alla definizione di uno stile, un modo di vivere, un modo di sentirsi. Se non tutte le grandi firme hanno saputo leggere correttamente il momento storico lasciando un segno nel loro percorso, in qualche modo però all’unisono hanno partecipato alla costruzione di un bagaglio culturale unico e inimitabile. Hanno completato un pezzetto di storia. Tra coloro che hanno saputo fare della propria ricerca e lavoro creativo uno stimolo e un combustibile per la propria comunicazione, arricchendo costantemente il proprio messaggio, c’è Gucci. Una maison che oltre ad aver creato alcune linee guida molto chiare e altamente riconoscibili sin da subito, ha saputo adattarsi con elasticità agli accadimenti cui si è trovata spettatrice, diventando immediatamente un marchio, un’icona, un modello. Le sue campagne pubblicitarie sono state spesso veicoli di trasmissione di messaggi sociali fondamentali, di diritti umani, riflessioni su tematiche popolari mettendo comunque sempre al centro il disegno e, per l’appunto, la moda.
Questo incredibile bagaglio di lavoro e produzione oggi è accuratamente raccontato all’interno di Gucci Garden in piazza della Signoria a Firenze. Un polo che ospita un museo con mostre annuali che raccontano storia ed evoluzione delle campagne passate, una boutique con una selezione esclusiva di capi e l’ormai noto ristorante Gucci Osteria by Massimo Bottura. Proprio qui, seduti ad uno degli eleganti tavoli dell’Osteria, deve finire la vostra vista, pronti per iniziare una nuova avventura, questa volta nel piatto anziché sartoriale.
Là dove ti aspetteresti il classico tortellino emiliano o un richiamo edulcorato della tradizione toscana, arriva invece una cucina più estrosa, esotica, non solo di pensiero ma generosa in gusto ed eleganza. Viene spontaneo pensare che la femminilità di Karime Lopez, alla guida di questo progetto sin dalla sua nascita, e la sua delicatezza di tocco facciano la differenza. Karime si presenta quasi timida e pacata ma si percepisce che sotto questo velo indulgente c’è un mastino da lavoro, una donna con idee molto chiare e una precisione di pensiero che si coglie si dalla prima all’ultima portata. Il percorso di Gucci Osteria merita una sosta, vale l’attesa e conferma il primo macaron della guida più famosa del mondo. Quando si dice che due anime possono completarsi in cucina – oltre che nella vita – ebbene non è una follia e tale sinergia può far scaturire risultati magnifici. Qui, dal 2022 ad assistere Lopez nel ruolo di co-executive chef c’è Takahiko Kondo per diciassette anni braccio destro di Massimo Bottura, ormai molto più di un semplice collaboratore. Ed ecco che quindi nell’ultimo periodo il percorso degustazione ha conquistato una sua maturità nuova e diversa.
Se la materia prima resta principalmente italiana e il più locale possibile – salvo referenze esotiche – l’ispirazione e l’impronta del menu guardano al mondo: dal Giappone alla Cina a tutto il Sud America, passando per la Sicilia e l’Emilia Romagna per poi tornare nella terra di Dante. Non ci sono paragoni, non ci sono realtà simili con cui potervi dare un raffronto perché se singolarmente Karime e Taka sono due bomber, insieme stanno sicuramente scrivendo una storia. Fatta di proposizioni apparentemente sbagliate, rovesciamenti di posizione, illusioni visive e gustative, contaminazioni e provocazioni. Non sapere cosa aspettarsi esattamente senza uscire dall’idea del cucinato: perché sempre di più accade di trovarsi innanzi a cucine particolarmente rarefatte e criptiche. Nel bellissimo e coloratissimo servizio Richard Ginori arrivano una dietro l’altra un chawanmushi con anguilla cozze e vongole, l’ormai iconica tostada di mais viola con la palamita dell’adriatico o l’ostrica con bacon e panettone (!).
L’umorismo è all’ordine del giorno e ogni piatto non porta un nome canonico ma fa intendere che qualcosa invertirà le nostre aspettative: come il caso del cannolo che vuole diventare un cannellone. Nella forma classica, ma realizzato con fagioli cannellini, il cannolo avvolge un ripieno morbido e salato fatto di ricotta spumosa e tenero ragù di chianina battuto al coltello. Un boccone che non si può non amare da più punti di vista. Ruffiano? Quanto basta, perché resta facilmente buono ma eccezionalmente coccola.
Il piatto che abbiamo amato di più è Charley Marley viaggia in Messico. Una piramide di cubi di melanzana fritta – fuori croccante e dentro morbidissima come recitava una famosa pubblicità – accompagnato da salsa mole e Chianina. Un mélange di culture, umami, sapori che non siamo soliti abbinare e di ingredienti che non siamo abituati ad avere nelle nostre dispense. Un piatto più maschile da un certo punto di vista ma non per questo meno incisivo. Al secondo posto in ordine di gradimento, l’Anguilla in Carozza. Un boccone di anguilla lavorata come vuole la tradizione giapponese, e quindi servita grigliata e laccata con salsa soia e mirin che si accompagna di un raviolo di pasta spessa ripieno di zucca e una precisa punta di rafano nel finale. Un incontro magicamente riuscito.
Una cucina che prova a raccontare più parti del mondo senza sbavature, cercando di viaggiare tra tradizioni e culture diverse portando realmente l’ospite a braccetto in un viaggio di grande intrattenimento e stupore. Il tutto, circondati dai colori sobri ed eleganti dell’Osteria e osservando divertiti coloro che – curiosamente – si affacciano al vetro del ristorante per vedere “dal vivo” se qualche star della moda o del cinema vi è seduta in quell’istante.