Coloro che tra voi hanno messo piede in Giappone almeno una volta nella vita converranno che ogni qual volta si sente dell’apertura di un nuovo ristorante di questa cultura si spera sempre si tratti di un esempio che possa riportarci per una sera soltanto in questa terra magnifica. Solo chi non cede alle mode, alle esigenze di una clientela viziata e non sempre informata, chi guarda con coerenza e sincerità alla propria figura professionale e alle proprie intenzioni, può aspirare a ricreare un luogo di cucina e ospitalità autentici. Satoshi Hazama non è solo il nome di un ristorante ma è anche il nome del suo chef e patron. Satoshi non è un nome nuovo nella ristorazione italiana. Il suo percorso lo ha visto presenziare in alcuni dei ristoranti più blasonati, premiati e sfidanti di sempre quali Osteria del Profumo di Treiso (il suo primo incontro con la nostra tradizione), Enoteca Pinchiorri, Antica Corte Pallavicina. Anche Milano ha avuto la fortuna di averlo, non solo in alcuni giapponesi di qualità quali Yoshinobu ma anche a casa di Maida Mercuri, nel suo unico e storico Pont de Ferr. Dopo un’apertura un po’ frammentata nel 2020 per via del lockdown, è finalmente più che operativo nel suo bellissimo ristorante in Via Savona. Un ingresso con un piccolo salottino dove poter sfogliare una rivista o aspettare un collega per pranzo in ritardo – come è successo a noi – e pochi intimi tavoli avvolti da un’atmosfera particolarmente minimalista, lineare e dai toni scuri.
Ti aspetteresti quasi un tavolo in stile ryokan nella seconda stanza, che invece ospita tavoli più conviviali per prenotazioni superiori alla coppia. Anche chi non è pratico, varcando la sola porta di ingresso, deduce che qui non ci sarà il menu giapponese da europeo – occidentale bensì, qualcosa per la quale bisogna essere pronti a provare, aspettare, stupirsi. Hazama è infatti espressione della cucina “kaiseki” ovvero un pasto declinato in tante piccole portate che si susseguono andando a creare un percorso particolarmente variegato, fatto non solo di carne o pesce ma anche di tanto vegetale. L’emblema di questa tradizione sta nel goho ovvero nella rappresentazione all’interno di un pasto kaiseki di tutte le cinque tecniche basilari di cottura: crudo, lessato (quindi cotto a fuoco lento), alla griglia, al vapore e fritto. Il crudo, nama, viene in genere rappresentato da del sashimi e legato a questo una particolare attenzione e tecnica nel taglio dell’ingrediente, in special modo del pesce.
Lessato, niru, prevede sempre del brodo, un ingrediente principale, ed eventuali spezie e aromi. Yaku, grigliato, si articola in due modalità: cottura diretta su carbone o su una griglia a gas, oppure indiretta attraverso un più tradizionale uso di padelle o casseruole.
Fritto, agru, prevede che ogni elemento impanato sia particolarmente leggero, croccante e servito con salse apposite. Vapore, musu, utilizzata in maniera estensiva in moltissime ricette. Questo tipo di servizio è previsto solo in orario serale, per la cena, e su prenotazione. La portata del riso e del pescato del giorno prevede fasi due fasi e un po’ di tempo. Prima viene servito il riso cotto al vapore insieme al pesce e successivamente, dopo aver lasciato che il contenitore con il calore cuocia il riso sulla parte a contatto, verrà servito il riso con la sua crosticina.
Se avete tempo di recarvi da Satoshi solo per un pranzo, allora troverete alcune opzioni particolarmente bene eseguite e molto tradizionali. Dei classici soba, ovvero gli spaghetti alla chitarra con farina di grano saraceno e serviti con gamberi in tempura, salsa dashi e daikon marinato.
Imperdibile, l’anguilla, scottata alla brace, finita al vapore e laccata con una riduzione dei suoi succhi e salsa di soia e mirin. In genere è servita su un letto di riso e accompagnata da zuppa di miso. Infinte, waguy scottato e servito con riso, insalata, zenzero, daikon e zuppa di miso anche in questo caso.
Vi abbiamo fatto venire un po’ di curiosità oltre che di fame? Speriamo proprio di si!