Le notizie che arrivano da Israele sui propositi del governo Netanyahu gettano nello sconforto quanti hanno sempre difeso l’eccezione democratica, che l’ideale sionista dello stato ebraico concretamente incarna da tre quarti di secolo, circondato da regimi che ne rifiutano l’esistenza e ne predicano la distruzione per le stesse ragioni per cui condannano i rispettivi popoli alla schiavitù politica e all’abiezione morale dell’antisemitismo obbligato.
È terribile leggere di un governo israeliano composto da partiti e ministri che non nascondono, ma rivendicano un’identità fascista e omofoba e professano un nazionalismo che è la profanazione dell’ideale nazionale ebraico del sionismo e si ricongiunge invece a quello che fece esplodere l’Europa del ‘900, fino all’abominio della Shoah.
Nello stesso tempo è impossibile, per chi ne ama la storia, disperare nella capacità di Israele di resistere a questa deriva da “democrazia illiberale”, di tornare a essere un monumento vivente di libertà e tolleranza, di stato di diritto e di laicità e di guarire dalla malattia sovranista, che minaccia su entrambe le sponde dell’Atlantico tutte le democrazie occidentali.
Questa speranza non dipende solo dalla reazione, che vasti settori della società israeliana stanno opponendo all’involuzione orbaniana della democrazia israeliana e dalla solidità delle istituzioni dello stato ebraico, a partire da quella Corte Suprema, che il governo Netanyahu vorrebbe subordinare agli ordini delle maggioranze parlamentari pro tempore, sovvertendo il principio della separazione dei poteri del costituzionalismo liberale.
Questa speranza dipende anche dalla fiducia nella forza tenace dell’ispirazione e dell’esempio, di quel che Israele e Gerusalemme sono per noi e per tutti: la consapevolezza di una colpa inespiabile, di cui non furono i soli nazisti a macchiarsi, e l’immagine e la metafora di tutti i possibili conflitti che attraversano non solo la vita politica, ma, radicalmente, la vita umana.
Israele non è solo uno Stato. Gerusalemme non è solo un luogo. Sono uno spazio sospeso nel tempo, dove convivono la disperazione e la speranza, dove le differenze coesistono in un equilibrio precario, che vacilla a ogni refolo o folata di vento.
Gerusalemme è un muro verso cui uomini animati da un credo atavico oscillano come flebili fiammelle e sembrano sbattervi la testa, come a mostrare la convinta ostinazione di affermare la propria identità.
Gerusalemme è un labirinto di simboli e credenze, saldamente radicate alla terra come ulivi millenari, i cui nodi rappresentano il segno delle grandi questioni irrisolte che affliggono l’umanità, e raccontano i dissidi, le paure e le frustrazioni che da secoli attraversano la storia, senza trovare soluzione né pacificazione.
Gerusalemme è però anche il luogo dove continuamente si cerca il riconoscimento reciproco, la sintesi di una convivenza possibile e insieme la dimensione dove ritrovare il punto di contatto con un Dio che ha tanti nomi, ma che per tutti rappresenta l’anima del mondo, quella che salverà gli uomini da se stessi e da un destino disgraziato a cui continuamente si condannano, nell’incapacità di riconoscere l’altro e di comprendere che la salvezza si trova proprio oltre quel muro.
Gerusalemme non è solo un luogo geografico, ma l’emblema di uno stato dell’essere che si manifesta in ogni luogo e in ogni tempo, in ogni persona e in ogni azione, e in cui la rivendicazione di un’idea o la professione di una fede si esaspera e degenera nella volontà cieca di affermazione sull’altro, nel rifiuto di riconoscergli la dignità di interlocutore o perfino di persona, per paura di perdere se stessi, in un silenzio sordo che chiude qualunque spiraglio di possibilità, diversità o evoluzione.
Gerusalemme è nelle famiglie dove l’amore e la comprensione hanno abdicato al rancore, nei luoghi di lavoro dove la cooperazione e la solidarietà hanno ceduto al primato degli interessi particolari e della sopraffazione, negli stadi dove l’antagonismo trascende, divenendo pretesto allo sfogo di pulsioni aggressive, che si fomentano e giustificano l’un l’altra.
Gerusalemme è un non luogo ed è in ogni luogo, è in ogni uomo e ogni donna che autorizza il proprio egoismo ad andare oltre ogni ragionevole compromesso di accettazione degli altri. Gerusalemme è il crogiuolo biblico dell’afflizione umana. Da questo punto di vista Gerusalemme è un luogo sacro in un senso ancora più ampio e universale di quello che le riconoscono le tre religioni monoteiste.
E lo stato ebraico di Israele rappresenta qualcosa di molto più importante e decisivo per il mondo del focolare nazionale dei sopravvissuti alla soluzione finale e dei loro figli, nipoti e pronipoti. Rappresenta la possibilità di costruire, proprio nel punto in cui le identità trascendono nell’odio, un modello – sempre incerto, sempre a rischio, ma sempre necessario – di vita nella tolleranza e nella libertà, che è la forma in cui l’amore si fa politica.