Fine dello stato di dirittoNetanyahu ha tradito il suo passato e la democrazia israeliana alleandosi con l’estrema destra

Il nuovo governo dipende numericamente e politicamente da partiti dichiaratamente fascisti, xenofobi e razzisti. Il prossimo obiettivo di questa alleanza è sottomettere la Corte Suprema alla volontà dell’esecutivo e della Knesset

Benjamin Netanyahu (Ap/LaPresse)

Par capire come sia cambiata Israele oggi sono sufficienti quattro parole di un ministro determinante nel nuovo esecutivo di Bibi Netanyahu: «Sono un fascista omofobo», così si è dichiarato Bezael Smotrich, ministro israeliano delle Finanze.

Su questa piattaforma il suo partito Sionismo Religioso ha raccolto alle elezioni di novembre ben 516.470 voti, pari al 10,84 per cento, e quattordici seggi su centoventi. Al suo fianco, Itamar Ben Gvir, condannato per incitazione all’odio e sostegno di una organizzazione terroristica, seguace del rabbino fascista Meir Kahane, che ha appena vietato da ministro della Sicurezza l’esposizione della bandiera Palestinese, che considera «un simbolo terrorista», porta a Bibi Netanyhau ventuno voti sui sessantaquattro della maggioranza su cui si basa il nuovo governo israeliano.

Un governo che, come abbiamo previsto, sta tradendo le basi stesse della democrazia israeliana e del sionismo. Il tutto per il cinico calcolo dello stesso Netanyhau, che ha tradito il proprio più che ventennale profilo di solido centro liberale e laico e, pur di acciuffare a qualsiasi costo la maggioranza nella Knesset, ha costruito una alleanza con i partiti religiosi e, appunto, con l’estrema destra dichiaratamente fascista, xenofoba e razzista.

Fortissima, ma assolutamente tardiva, la reazione della parte progressista di Israele che ha manifestato per tre sabati consecutivi a Tel Aviv – centomila manifestanti –, Gerusalemme e Bersheeba contro gli intenti liberticidi del governo. Manifestazioni corali e partecipate che non rimediano però ai gravissimi errori commessi dalla sinistra, dai liberal e anche dai partiti arabi che si sono presentati alle elezioni di novembre divisi e frammentati per meschini calcoli tattici e hanno perso preziosi seggi che potevano annullare la spregiudicata manovra di Bibi Netanyahu.

Ora, forte di sessantaquattro seggi su centoventi, il primo passo del nuovo esecutivo mostra chiaramente la esplicita volontà eversiva di questa alleanza che ha come primo obiettivo sottomettere la Corte Suprema alla volontà dell’esecutivo e del parlamento, la Knesset, questo infatti prevede uno dei primi provvedimenti legislativi presentati dal governo.

Il tutto a fronte del complesso quadro istituzionale israeliano. Per varie ragioni infatti, non è stato mai mantenuto l’impegno di David Ben Gurion all’atto della proclamazione dello Stato di Israele nel 1948 di varare una Costituzione. Tra queste ragioni frenanti, ha avuto un peso la netta opposizione dei partiti religiosi, spesso indispensabili per formare maggioranze parlamentari anche per i governi laburisti, che erano e sono contrari a una Carta Fondamentale che insidierebbe il primato della Torah.

Ma ha anche fortemente influito un sistema istituzionale e giudiziario ereditato dalla Gran Bretagna, potenza mandataria dal 1918 a 1948, monocamerale, basato sulla Common Law e senza il riferimento a una Costituzione (al mondo solo la Gran Bretagna, Israele e Nuova Zelanda non hanno una Costituzione).

Così il Paese si è via via dotato di tredici Leggi Fondamentali, approvate da una maggioranza semplice nella Knesset, il cui rispetto è giudicato da una Corte Suprema che ha anche un ruolo giudicante da Corte di Cassazione. Corte che ovviamente ha sempre avuto un potere sovraordinato e regolatorio rispetto al Parlamento, con sentenze anche clamorose come quelle che hanno imposto a modificare il tracciato del Muro di Protezione per non violare diritti di proprietà dei palestinesi di Cisgiordania.

Ultima, per clamore, la sentenza della Corte Suprema che in questi giorni ha imposto a Bibi Netanyahu di rimuovere dal fondamentale ministero dell’Interno e da quello della Sanità il suo fondamentale alleato Arye Dery, leader del partito religioso ultraortodosso Shas a causa di una sua condanna, con patteggiamento, per evasione fiscale.

Lo stesso Bibi Netanyahu, sottoposto oggi a un processo per corruzione, rischia, se condannato, rischia di dover dimettersi da premier per un verdetto della Corte Suprema. Da qui, dal rischio di una caduta del governo per via giudiziaria, la decisione del governo israeliano di stravolgere il Balance of Power tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario, base dello Stato democratico, e di varare una legge che stabilisce appunto che le leggi approvate dalla Knesset sono superiori alle sentenze della Corte Suprema e sono vincolanti per la Corte stessa. Di fatto, la fine dello Stato di Diritto.