Fenomeni temporaleschiLe precipitazioni nebulose del gergo meteorologico in televisione

Il meteoburocratese è una diabolica forma di comunicazione che implacabilmente trasforma il concreto in astratto, smaterializza, complica, ingarbuglia, confonde, affumica, allontana invece di avvicinare

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Sarà colpa del riscaldamento globale, come dicono, di sicuro non ci sono più le belle nevicate di una volta. Montagne spelacchiate, impianti di risalita fermi, addio sport invernali. Se almeno potessimo dire addio anche alle “precipitazioni nevose”! Che potrebbero essere pure “fenomeni nevosi” o nelle forme più leggere “fenomeni a prevalente carattere nevoso”.

È il linguaggio paludato delle previsioni meteorologiche, che come tutti i linguaggi paludati si industria a camuffare la “cosa stessa” (visto che si tirano in ballo i “fenomeni”, viene in mente un concetto ricorrente della filosofia fenomenologica) dietro una profusione di aggettivi, come il “Braghettone” Daniele da Volterra, in ottemperanza ai dettami tridentini, ricopriva di veli e foglie di fico le nudità michelangiolesche della Cappella Sistina.

Gli esempi sono molteplici (e talvolta esilaranti): le piogge non sono mai soltanto piogge ma “precipitazioni piovose” (per gli amici, anche solo “precipitazioni”) e, se brevi e intense, “a carattere (o prevalente carattere) di rovescio”, i temporali sono inevitabilmente “fenomeni temporaleschi” o in alternativa “manifestazioni temporalesche”, le Alpi diventano senza fallo “l’arco alpino”, l’inverno “la stagione invernale” (che va a fare compagnia alla “stagione primaverile”, alla “stagione estiva” e alla “stagione autunnale”). E naturalmente le previsioni non sono mai relative a oggi, ma alla “giornata odierna” – qui non ci soccorre più un ricordo filosofico, ma ci sembra di vedere il grande Totò, in piedi con i pollici nel giromanica del gilet, quando fa la parodia del burocratese: “In data odierna…” (in data odierna, vedi caso, sono appena passate al telegiornale le immagini di un funzionario di polizia che parlava di un delitto come di un “evento delittuoso”).

Ogni linguaggio settoriale ha i suoi tecnicismi, il suo gergo che lo rende immediatamente riconoscibile. Spesso anche difficilmente comprensibile – pensiamo a certe “spiegazioni” dei medici o degli avvocati. Il meteoburocratese ci è diventato comprensibile e addirittura famigliare in forza della sua ripetizione, sempre uguale, ogni giorno, più volte al giorno.

Un addetto ai lavori, Mario Giuliacci, già direttore del Centro Epson Meteo che quotidianamente continua a pubblicare le sue previsioni sul sito meteogiuliacci.it, ha messo insieme per divertimento un piccolo “stupidario meteorologico”: vi si trovano rotonde espressioni formulari ormai diventate tormentoni, come “nuvolosità alta e stratificata”, “alternanza di schiarite e annuvolamenti”, “nuvolosità irregolare”, “nuvolosità a tratti intensa”, “nubi a prevalente sviluppo cumuliforme”, “addensamenti nuvolosi pomeridiani (o mattutini) associati a locale attività temporalesca”, “al tramonto e nottetempo foschia nelle valli e lungo i litorali”, “temperatura senza notevoli variazioni”, “non si escludono occasionali precipitazioni”.

Un ordito di echi e automatismi che si attivano da soli, come se non fosse il meteorologo di turno a usare certe formule, ma le formule stesse a usare il meteorologo per riprodursi attraverso le sue corde vocali. Il risultato è un ennesimo saggio di quella piaga linguistica che è l’antitaliano, su cui già tanti anni fa aveva messo il suo dito purtroppo impotente Italo Calvino, e alla quale altre volte è capitato di richiamare in questa rubrica. Una diabolica forma di comunicazione che implacabilmente trasforma il concreto in astratto, smaterializza, complica, ingarbuglia, confonde, affumica, allontana invece di avvicinare, esclude invece di includere, in definitiva non comunica. La versione verbale del braghettonismo, che nasconde ciò che è (sarebbe) manifesto sotto i veli manieristici del pleonasmo. Ma la Chiesa, cinque secoli dopo, ha fatto ammenda e nella Sistina una buona parte dei veli è caduta. L’italiano di tutti i giorni, invece, continua a alzare muri.

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