«Nel suono di ogni violino c’è il respiro del suo albero». Così scriveva Antonio Stradivari che, si racconta, armato di diapason e in religioso silenzio, a inizio inverno si aggirava per la millenaria foresta di Paneveggio, in Trentino, alla ricerca dell’albero più idoneo alla costruzione dei suoi violini. Il più adatto, cioè, tra le centinaia di abeti rossi plurisecolari, il cui legno, grazie alla sua particolare capacità di risonanza, era (ed è) la materia prima ideale – la più preziosa al mondo – per costruire le casse armoniche di violini, viole ma anche chitarre e pianoforti.
Nel Seicento però raggiungere la Foresta dei violini, a 1.600 metri d’altezza nel cuore della Val di Fiemme, non era cosa facile: più probabilmente i maestri liutai, Stradivari in testa, si contendevano sì il legno di questi alberi dalle proprietà straordinarie, ma nei porti fluviali di Verona o di Mantova, dove i tronchi arrivavano via acqua, attraverso l’Avisio e poi l’Adige.
Il canto dei boschi
«Gli strumenti realizzati con questi abeti suonano la musica dei boschi della Val di Fiemme: la natura fa crescere gli alberi che la custodiscono nei tronchi, ancora dormiente. Poi, dopo duecento anni, la musica viene svegliata dal lavoro del liutaio e, infine, liberata dal musicista perché tutti possano goderne», la racconta così Marcello Mazzucchi, dottore forestale oggi in pensione, esperto di questi luoghi (dove accompagna liutai ma anche geologi e studiosi di tutto il mondo) e soprannominato “Poeta del bosco”.
«L’abete rosso non cresce solo qui, è diffuso in molti altri posti come la Siberia o la Scandinavia, ma soltanto qui esiste quello “di risonanza”. L’origine del nome deriva dal rumore che i tronchi facevano durante il tragitto lungo i canali: urtando le sponde emettevano vibrazioni tali che i boscaioli potevano distinguere il legno che “cantava” da quelli che emettevano un suono secco e sordo».
Niente rami, nodi o imperfezioni
Trovare il legno giusto, però, è un’impresa. E richiede molta pazienza. «Dei sessanta milioni di alberi della val di Fiemme, solo uno su mille è diventato uno strumento musicale. Innanzitutto, questi abeti vivono in alto, da 1500 a 1800 metri d’altezza, e hanno una crescita lentissima, tutta concentrata in cinquanta giorni l’anno tra luglio e agosto. Poi, per difendersi dal freddo, la pianta entra in un lungo sonno. Ecco, il legno giusto deve provenire da piante vecchie almeno 200 anni e, soprattutto, cresciute regolarmente, senza sbalzi», continua Marcello Mazzucchi.
Ma come avviene la scelta? I liutai fanno una prima valutazione sul posto: la pianta ideale non deve avere rami, nodi o altri difetti su tutta la parte bassa. Un primo test consiste nel prendere un pezzo di corteccia: va bene se si stacca a piccoli pezzettini tondi, grandi come monetine. Poi si passa all’ascolto, battendo sul tronco. «Se tutto va bene, l’albero viene tagliato, e la cosa va fatta a inizio inverno e con luna calante, così il tronco ha perso acqua, è più asciutto e pronto per essere stagionato». È in quel momento che si ha la conferma della bontà della scelta: più i cerchi concentrici sono stretti e regolari, migliore sarà la capacità di risonanza del legno. Un legno tenero, elastico, resistente, poco sensibile alle variazioni di umidità.
Pianoforti, chitarre e arpe
Oggi a Tesero (TN) c’è un’azienda storica, fondata nel 1950, che produce tavole armoniche per clienti prestigiosi come Fazioli pianoforti e la celebre Salvi che -in Italia e negli Stati Uniti- produce arpe da concerto. Si chiama Ciresa e vanta un Laboratorio dotato di una camera semi-anecoica per realizzare test e misurazioni acustiche sulle tavole. L’abete rosso, insomma, è anche un’importante risorsa economica del territorio assieme all’industria dei mobili in legno di Cirmolo, allo sci (a gennaio si terrà la 50ma edizione della storica Marcialonga e, nel 2026, la Val di Fiemme sarà teatro delle gare olimpiche di salto, sci di fondo e combinata nordica) e al turismo.
Ma c’è un ultimo elemento di fascino della Foresta dei violini: questo bosco è formata da alberi spontanei, figli di un’evoluzione durata per millenni, nessuno li ha mai piantati. «Per questo è un luogo magico entro cui è meraviglioso passeggiare, cosa che consiglio a tutti coloro che capitano da queste parti» conclude Mazzucchi. «Perché è come entrare una cattedrale silenziosa e maestosa, fatta di tante colonne altissime, con il sole che penetra e, con i suoi giochi di luce e di ombre, crea un’atmosfera fiabesca. Andare nel bosco è una grande emozione per tutti, come vedo dallo stupore sui volti di chi accompagno».
Dove dormire
A Cavalese La Roccia Wellness Hotel è un quattro stelle dalle camere in legno di Cirmolo (profumato e rilassante) con un ottimo ristorante e dotato di palestra, piscina e una Spa affacciata sulle Dolomiti e sulla catena del Lagorai dove sperimentare gli effetti benefici dei lettini a gravità zero. Ideale dopo una giornata sugli sci.
Dove cenare
Alessandro Gilmozzi – una stella Michelin e stella verde – è considerato uno dei più grandi chef italiani, esperto di cucina di montagna e del suo territorio. Il suo El Molin, a Cavalese, è dunque una tappa d’obbligo per gli amanti della cucina creativa, raffinata ma legata al luogo e alle stagioni.