Ci sono fenomeni che non sembrano immediatamente collegati, la cui congiunzione non risulta immediatamente afferrabile. Eppure basta fermarsi, riflettere sullo stato delle cose per comprendere che quando si parla di ambiente, per esempio, non c’è nulla che funzioni alla rinfusa, che ogni dimensione conta e che tutto è collegato in maniera apparentemente inspiegabile.
I tedeschi lo chiamano “Teufelskreis”, una spirale demoniaca, letteralmente un circolo vizioso senza alcuna tendenza all’equilibrio, in cui ogni interazione tra i diversi fattori ha un impatto sui risultati successivi rafforzando i precedenti, positivi o negativi che siano. Il cambiamento climatico in questo senso, e gli eventi attraverso i quali si manifesta, ha lo stesso funzionamento di un loop senza fine di cui possiamo analizzare i fattori che lo alimentano.
Fattori che, da cittadini, siamo poco abituati a riconoscere, a cui non attribuiamo la giusta importanza. Da qui concetti come quello di smog e qualità dell’aria ci ronzano nella testa senza mai prendere forma, mere astrazioni che ci colpiscono solo di sbieco. Ma poi arrivano i numeri, i dati e le statistiche a concretizzare ciò che vediamo con i nostri occhi, che respiriamo a pieni polmoni ogni giorno di cui non siamo totalmente consci.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), per esempio, dal 1987 pubblica delle linee guida sulla qualità dell’aria, sollecitando i governi del mondo a intervenire per diminuire l’esposizione dei cittadini all’inquinamento atmosferico. Alla base c’è una preoccupazione legata all’aria che respiriamo, alterata e sistematicamente contaminata da agenti chimici, fisici e biologici che rappresentano un pericolo per la salute umana, tra i più dannosi il particolato (PM2,5 e PM10), l’ozono (O₃), biossido di azoto (NO₂), l’anidride solforosa (SO₂) e il monossido di carbonio (CO).
La massiccia concentrazione nell’aria di queste e altre sostanze ha una rilevanza a livello igienico-sanitario: secondo l’Istat, in Italia nel 2019 sono morte prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico circa sessantamila persone (sette milioni nel mondo secondo l’Oms). Gli effetti a lungo termine sulla salute non lasciano quindi ben sperare, le raccomandazioni stilate periodicamente sono un invito concreto a prestare attenzione alla questione.
Il rapporto quinquennale “Thirteenth general programme of work 2019-2023” dell’Oms parla chiaro: uno degli obiettivi principali dell’agenda Onu è ridurre entro il 2030 l’impatto ambientale negativo pro capite delle città. I centri urbani, infatti, sono i luoghi in cui si respira peggio e si rischia di più. Sono circa seimila le città (in centodiciassette paesi) di cui l’Oms ha analizzato i dati, giungendo alla conclusione che nel 2021 il novantanove per cento degli abitanti respira aria inquinata, sottolineando anche un peggioramento nei Paesi a basso e medio reddito a causa di un’urbanizzazione forsennata e di uno sviluppo economico poco sostenibile, che si appoggia in gran parte ai combustibili fossili.
La situazione in Europa, intanto, non è rassicurante. Il progetto del 2021 dell’Unione europea “Verso l’inquinamento zero per l’aria, l’acqua e il suolo” pone degli obiettivi sicuramente ambiziosi, di cui però sarà difficile l’attuazione: l’azzeramento dell’inquinamento entro il 2050 e la riduzione, entro il 2030, dei decessi prematuri correlati all’inquinamento atmosferico. Target principale dell’azione europea è il particolato fine PM2,5 e PM10, prodotti secondari delle combustioni, dei trasporti, delle industrie e dei riscaldamenti residenziali, particolarmente insidiosi perché in grado di provocare gravi malattie cardiocircolatorie e respiratorie.
Classificato come cancerogeno di tipo 1 dall’Agenzia internazionale per la ricerca su cancro (Iarc), il particolato sottile è anche nel mirino dell’Oms, che registra dei valori soglia: 15 microgrammi per metro cubo (µg/m³) annui per il PM10, 5 µg/m³ annui per il PM2,5. Ecco che si registra, a livello europeo, la prima discrepanza. Nel 2008, finalmente, l’Unione europea adotta la direttiva 2008/50/EC, recepita in Italia nel 2010, che fissa dei limiti di quantità particolato nell’aria.
Una buona notizia di per sé, se non fosse che i valori del nostro continente si discostano molto da quelli indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità: 40 µg/m³ per il PM10, 25 µg/m³ per il PM2,5, da non superare per più di tre volte l’anno. Dati apparentemente irrilevanti, se non fosse che – secondo il ministero della Sanità – dieci microgrammi per metro cubo di PM2,5 in più si traducono in un incremento del quattordici per cento della mortalità per tumore ai polmoni.
Valori opinabili che, probabilmente, sono espressione di una transizione soft, il tentativo di raggiungere un compromesso tra le direttive dell’Oms e l’impossibilità di dichiarare che l’intero sistema europeo – dalla mobilità all’agricoltura, passando per l’edilizia – è obsoleto. I valori soglia, già estremamente generosi, vengono raramente rispettati.
Nel 2020 quello del PM10, da non superare più di tre volte l’anno, secondo il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) in Italia è stato superato per ben centocinquantacinque volte. È evidente quindi che alcune regioni dell’Unione si contraddistinguono rispetto alle altre. Lo dimostrano gli aggiornamenti dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), che attraverso l’European city air quality viewer permette di controllare quasi in tempo reale la qualità dell’aria delle varie città europee.
Dando un’occhiata alla mappa costellata di puntini di diversi colori, in cui le diverse gradazioni sono indicative di quanto sia inquinata l’aria respirata in quei luoghi, una pletora di pallini rossi (che testimoniano una scarsa qualità dell’aria) si staglia nella parte sudorientale della cartina, tra Italia, Grecia e Paesi dell’Est Europa. È proprio volendo unire i puntini che ci si imbatte in uno studio del 2021 pubblicato da The Lancet Planetary Health, secondo il quale il bacino padano è da considerare la zona a maggiore rischio sanitario insieme ad alcune parti della Polonia e della Repubblica Ceca.
Un’area di quattrocento chilometri, che ospita il trenta per cento della popolazione in Italia dalle caratteristiche morfologiche, climatiche e geografiche tanto omogenee quanto peculiari. Una regione in cui non solo le sostanze inquinanti prosperano trovando terreno fertile (l’alta densità abitativa e l’elevata concentrazione industriale sono determinanti), ma vengono letteralmente cullate da un clima e un territorio che, per conformazione, fanno sì che queste sostanze si accumulino espandendosi uniformemente.
Dell’insalubrità della Pianura Padana si è discusso molto e, tra minimizzazioni e allarmismi più o meno giustificati, nel corso degli anni si è fatta chiara l’inadeguatezza dei mezzi finora messi in campo. Spicca, a livello europeo, l’incapacità di mettere in pratica le direttive: infatti l’Italia è la Nazione che ha collezionato il maggior numero di infrazioni in ambito ambientale, con quattordici procedure solo a carico della Lombardia.
Eppure, secondo il Pirellone, stiamo considerando la questione dalla prospettiva sbagliata. Una tendenza positiva se si analizzano per esempio le emissioni di ossido di azoto, strettamente collegate al trasporto e alla mobilità. Prospettive rosee secondo l’assessorato all’Ambiente e Clima, sebbene la situazione sia in peggioramento nella bergamasca e stabile a Milano.
«Regione Lombardia negli ultimi due anni ha realizzato misure di incentivazione che complessivamente ammontano a quasi ottocento milioni di euro. E interessano tutti i settori che impattano sulla qualità dell’aria. A dimostrazione che si sta investendo in questo ambito. E che le politiche adottate da Regione Lombardia, che agiscono su più fronti (dal trasporto, al riscaldamento, alle emissioni in agricoltura) sono efficaci», dice l’assessore Raffaele Cattaneo. Eppure la contrazione in atto non è sufficiente: per esempio, sono tredici le città inquinate che superano i livelli di biossido di azoto (NO2) secondo il Rapporto Mal’Aria 2022. Milano è in testa.
La crisi climatica ci costringe, il più delle volte, a navigare a vista aspettando qualche cenno dalle istituzioni. E se di qualità dell’aria a livello pubblico si parla ancora poco e male, l’ambiente è evidentemente un argomento che non attrae, escluso com’è dal discorso elettorale per le prossime elezioni regionali (anche in Lombardia). Si tratta di un argomento strettamente correlato alla sanità, ma la politica preferisce percorrere altre strade.
Dopo la notizia delle quattordici procedure d’infrazione a carico della Lombardia, il 23 gennaio c’è stato un sussulto da parte di Pierfrancesco Majorino («In Lombardia non si respira, la qualità dell’aria è pessima. Solo ora Fontana promette sostenibilità. Dov’era quando l’Ue bocciava la Regione per le acque reflue, per il biossido di azoto e per l’attuazione della direttiva balneare?», ha scritto su Twitter), ma la sostanza non cambia.
Tra indecisioni e negazionismo puro, la politica attua spesso azioni insufficienti, palliativi per l’opinione pubblica, fumo negli occhi per chi non è informato. In questo senso usare la percezione comune come termometro della condizione ambientale di una regione può servire non solo a diffondere conoscenza, ma anche a produrre approcci mirati, adatti alle circostanze. Il progetto Valutaria di LIFE PrepAIR si muove in questa direzione, testando la percezione che gli abitanti della Pianura Padana hanno dell’aria che respirano, istruendo le persone su quali siano i comportamenti da attuare per migliorare la situazione.
E come nel film “The butterfly effect” di Eric Bress, dove il movimento di una farfalla riesce a provocare un uragano dall’altra parte del pianeta, così nella lotta al cambiamento climatico i singoli fattori si rincorrono, il micro e il macro si confondono e danno vita a qualcosa di nuovo. Con la speranza che sia migliore.