Indipendenza politicaIl partito dei riformisti e la necessaria equidistanza dal bipopulismo

La Renew italiana non dovrà essere una stampella del Partito democratico, ma deve puntare diventare la prima forza politica della Terza Repubblica

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Se ne discute da mesi, se ne è parlato spesso su queste pagine e persino sabato a Milano all’iniziativa di Costituente Libdem è stato uno degli argomenti principali di discussione, tanto sul palco quanto nei corridoi dell’Auditorium San Fedele: il rapporto tra il Terzo Polo e il Partito democratico. Ognuno ha la sua legittima opinione e, chi scrive queste righe, tutto vorrebbe tranne che farvi cambiare idea. Ho letto con piacere le parole di Mario Lavia della settimana scorsa, che su questo quotidiano ha provato a dare la sua chiave di lettura di ampio respiro. Ne approfitto per inserirmi in questo dibattito e per dirvi i motivi per cui, secondo me, il Terzo Polo ha solo da guadagnare nel rimanere davvero terzo, equidistante, estraneo al bipolarismo tra destra e sinistra, ormai secondo me superato dalla storia e dagli accadimenti recenti.

Il fatto che molti dirigenti di Azione e di Italia Viva provengano dal Partito democratico non vuol dire che il Terzo Polo debba fare da stampella a un partito ormai lacerato dalle lotte intestine né che debba per forza di cose trovare una naturale condivisione con le forze democratiche e progressiste. Nelle realtà locali, ci sono ancora rapporti in essere molto fitti tra Pd e Terzo Polo. Basti pensare che molti amministratori Pd hanno tempestivamente sistemato i propri amici d’infanzia o addirittura i propri parenti a governare i processi tanto in Azione quanto in Italia Viva. Questo perché un Terzo Polo davvero libero, dalle dinamiche locali fino a quelle nazionali, avrebbe creato fin da subito molti problemi al Partito democratico e, di conseguenza, rimesso in discussione molti equilibri. Credo siano dinamiche inevitabili da affrontare in questa fase per un progetto appena nato come quello del Terzo Polo ma credo anche che, nei prossimi mesi, si risolveranno da sole con un ricambio naturale nella classe dirigente.

La Renew italiana sta prendendo forma in uno scenario che ha una scadenza elettorale ben precisa e che, per forza di cose, influenzerà tutti i processi: le elezioni Europee. Dove non ci sono sinistra e destra come intendiamo in Italia, ma schieramenti transnazionali molto ampi e caratterizzati da più componenti: dal Partito Popolare europeo (dove ci sta dentro di tutto) alla S&D (dove ci sta dentro molto), da Renew (dove ci sta dentro un bel po’) ai Verdi, e così via. Questo alimenta, a mio avviso in maniera del tutto positiva e naturale, la tendenza per il Terzo Polo a caratterizzarsi per una sua indipendenza politica rispetto a tutto ciò che gli sta attorno. Nel 2024 i cittadini europei saranno chiamati a votare il prossimo Europarlamento, non a decidere se stare o meno col PD. La sfida delle forze liberal democratiche italiane sarà quella di dare maggior forza alle battaglie che da anni vengono portate avanti dal gruppo di Renew. E stavolta, per farlo, serve un progetto unitario e autonomo. Con, mi permetto di dirlo, una chiarezza netta nei confronti della guerra russo-ucraina, ad esempio. (Doveroso ricordare di come molti, anche tra gli attuali eurodeputati del PD, siano più che scettici sull’utilità dell’invio di armi a Kyjiv).

Se poi volessimo spostare l’orizzonte temporale ancora un po’ più in avanti, magari alla fine della scadenza naturale di questa legislatura, quindi nel 2027, l’obiettivo ambizioso della Renew italiana  dovrà essere quello di provare a recuperare quel 50 per cento di italiani che ormai ha smesso di andare a votare e che non crede più nella politica. E quell’elettorato lo si raggiunge soltanto provando a rompere gli schemi attuali, non inseguendo uno scenario che ormai appartiene al passato. Non me ne vorranno gli amici democratici e progressisti rimasti nel Pd, ma considero questo partito, nato in un determinato periodo della Seconda Repubblica dalla necessità di far confluire sensibilità diverse in un contenitore a vocazione maggioritaria, ormai prossimo alla fine. O, almeno, è già finito quel Pd in grado di prendere il 42 per cento, come successo alle Europee del 2014.

La politica italiana vive un periodo di forte cambiamento. Il Terzo Polo ha tutto per poter provare a ridisegnare totalmente i confini. Ma, per farlo, ha bisogno di rompere gli schemi. Un po’ quello che è stato fatto dieci anni fa dal Movimento 5 stelle, per il quale non esisteva apparentemente alcuno spazio politico ma che se lo è saputo costruire da solo. Un po’ come per le grandi aziende di successo, che non sono quelle che offrono i prodotti migliori al mercato ma quelle che il mercato per i propri prodotti se lo creano dal nulla. Penso ai tanti giovani in cerca di una visione di società compatibile con le loro aspettative, di una prospettiva che sia diversa dall’essere costretti a scappare all’estero per poter inseguire un futuro migliore.

Il Terzo Polo avrà un futuro se riuscirà a convincere questi due diversi mondi. E per farlo non dovrà inseguire il Pd o i vecchi schemi ma, fin da subito, dovrà mettersi in testa di provare a diventare la prima forza politica della Terza Repubblica con un progetto a medio lungo termine. Come la politica italiana ci ha abituato a fare. Qualcosa che guardi almeno al prossimo decennio e alle prossime generazioni. Basta Pd, vi prego.