Il coraggio di uno statistaL’Ue ha fatto sua la fermezza di Sassoli: mai scendere a compromessi sui diritti

L’ex presidente dell’Europarlamento, scomparso un anno fa, non ha dovuto aspettare le bombe russe per capire che Putin rappresentasse una minaccia. Con visione e acume, ha reso «la casa della democrazia» comunitaria, che sapeva migliorabile, centrale nelle decisioni più importanti

L'ex presidente del Parlamento europeo David Sassoli durante una conferenza stampa
Foto: Daina Le Lardic/EP

«Voglio ricordare Sassoli soprattutto come uomo a servizio dell’Europa, delle sue istituzioni, dei suoi cittadini. Da Presidente del Parlamento Europeo, la sua rara capacità di combinare idealismo e mediazione lo ha reso protagonista di uno dei periodi più difficili della storia recente». Con queste parole Mario Draghi ha ricordato David Sassoli nei giorni successivi alla sua scomparsa, l’11 gennaio di un anno fa. Un «Presidente buono», come lo ha definito di recente Von der Leyen a Roma in occasione della presentazione del libro “La saggezza e l’audacia. Discorsi per l’Italia e per l’Europa di David Sassoli” che raccoglie i cinquantasei discorsi dell’ex presidente dell’Europarlamento. Una figura politica rispettata da tutti, anche e soprattutto dagli avversari.

David Sassoli arriva da una formazione cattolica e democratica, allievo di La Pira e Don Milani. Dopo una lunga carriera da giornalista, nel 2009 viene eletto al Parlamento europeo e ci resterà fino alla fine. I principi che lo guidano si delineano chiaramente già durante i primi due mandati tra Bruxelles e Strasburgo: convinto europeista, difensore dei valori fondanti e delle libertà garantite dall’Unione. Ma anche fortemente convinto che qualcosa, nel funzionamento della macchina europea, potesse essere migliorato.

«Dobbiamo avere la forza di rilanciare il nostro processo di integrazione, cambiando la nostra Unione per renderla capace di rispondere in modo più forte alle esigenze dei nostri cittadini e per dare risposte vere alle loro preoccupazioni, al loro sempre più diffuso senso di smarrimento. La difesa e la promozione dei nostri valori fondanti di libertà, dignità e solidarietà deve essere perseguita ogni giorno dentro e fuori l’Ue» dirà nel discorso d’insediamento.

L’elezione a Presidente del Parlamento europeo arriva un po’ a sorpresa nel luglio 2019 quando l’asse italo-spagnolo del gruppo dei Socialisti e Democratici si accorda su Sassoli alla guida del Parlamento e Josep Borrell Alto rappresentante per gli Affari esteri. All’inizio del suo mandato diventa insieme a Sergio Mattarella uno dei punti di riferimento italiani a livello internazionale. Un compito delicato, in una fase in cui il Governo giallo-verde si sta avviando verso la prematura conclusione tra posizioni euroscettiche, mojito e gilet gialli.

Il leader romano interpreta il suo ruolo con un approccio gentile e garbato, ma anche con grande fermezza. Come nell’estate del 2021, quando su mandato del Parlamento europeo avvia il percorso per citare in giudizio la Commissione per la mancata applicazione del principio di condizionalità sullo Stato di diritto (il principio che prevede che l’erogazione dei fondi sia legata al rispetto dei valori e del diritto dell’Unione europea).

Nel mirino del Parlamento guidato da Sassoli erano finiti i governi di Ungheria e Polonia. Un gesto non banale, resosi necessario visto il persistente temporeggiare della Commissione europea sulle situazioni dei due Paesi. Dopo la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue contro Varsavia e Budapest è iniziato un lungo percorso di trattative e per l’Ungheria l’ok allo sblocco dei fondi comunitari è arrivato solo in queste ultime settimane, dopo che il premier magiaro Viktor Orbán si è impegnato a mettere in campo le riforme chieste da Bruxelles.

Il rispetto dello stato di diritto era uno di quei principi sui quali Sassoli non era disposto a scendere compromessi. Così come non sarebbe sceso a compromessi sulla libertà di stampa, di pensiero e di espressione. Nel 2021 consegna il premio Sacharov ad Aleksej Navalny, tra i principali oppositori al regime di Putin. Nello stesso anno gli viene vietato l’ingresso in Russia come risposta alle sanzioni decise dall’Europa nei confronti dei funzionari russi legati all’arresto dello stesso Navalny.

Ma l’influenza dell’ex Presidente dell’Aula di Strasburgo si faceva sentire anche e soprattutto nelle questioni interne: era convinto che «la casa della democrazia europea» – come amava definire il Parlamento – dovesse avere maggiore centralità anche nelle decisioni economiche più importanti. Sassoli, forte della proposta dell’Eurocamera sui recovery bond, sarà in prima linea nel negoziato sul bilancio europeo che aprirà la strada al Next generation EU.

L’invasione russa in Ucraina, le persistenti posizioni contraddittorie di Orbán e i risultati del Next Generation EU, confermano oggi l’acume politico di «un uomo la cui visione era larga quanto un continente» per dirlo con le parole del Presidente francese Macron. Un leader che – a differenza dei nazionalisti del nostro Paese – non ha dovuto aspettare le bombe russe su Kharkiv per capire che Putin potesse rappresentare una minaccia per l’Europa o che l’Ungheria avesse un problema con la democrazia.

Recentemente Enrico Letta ha rivelato di aver chiesto a Sassoli di guidare la coalizione del centrosinistra alle elezioni del 2022. David ci avrebbe pensato, consapevole delle difficoltà di un partito frammentato praticamente su tutto e che persino uno come lui, abituato ad unire più che a dividere, avrebbe probabilmente fatto fatica a ricompattare. Ma forse, oltre alle competenze e alle abilità politiche, erano proprio le capacità dell’ex Presidente di creare “ponti” ad aver convinto il segretario Dem.

O più semplicemente, Letta ha visto in Sassoli quello che hanno visto in tanti: una brava persona, un politico di spessore. Merce rara.

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