Giornalista di cronaca, inviato televisivo, conduttore dal sorriso rassicurante. Poi uomo delle istituzioni attento alle sofferenze dei più deboli, presidente del Parlamento europeo al tempo della Brexit e della pandemia, due dei momenti più difficili nella storia dell’Unione europea. E sempre, ancor di più, uno di noi, come amava definirsi David Maria Sassoli, morto a 65 anni l’11 gennaio 2022.
Chi lo ha conosciuto da vicino lo racconta esattamente così: era impossibile scindere l’uomo politico dal privato cittadino. «Un essere umano speciale, perché ricopriva il suo ruolo con lo stesso identico approccio che adottava nella vita di tutti i giorni. Questa qualità non l’ho trovata in nessun altro politico», dice a Linkiesta Alfredo Marini, che ha partecipato alla campagna elettorale del 2019 e qualche anno più tardi ha lavorato nel team del presidente all’Eurocamera. «Dopo una giornata sfiancante si fermava con noi a parlare dei grandi temi europei e lo faceva con la stessa passione che esprimeva negli interventi pubblici».
La vicinanza sincera alle persone gli è stata restituita nell’abbraccio corale del minuto di silenzio e di applausi davanti alla sede di Bruxelles del Parlamento, dove si sono riuniti europarlamentari e cittadini comuni.
Garbo, gentilezza ed empatia hanno sempre contraddistinto parole e azioni di David Sassoli, confermano i suoi colleghi giornalisti e deputati. Caratteristiche da non confondere con la remissività: il sedicesimo presidente dell’Eurocamera conduceva fino in fondo le sue battaglie e non derogava ai suoi principi.
Se i modi erano pacati e le parole misurate, le idee sono sempre rimaste molto chiare. Era un politico mite ma capace di scaldare i cuori, grazie a quella «capacità di combinare idealismo e mediazione» che gli ha riconosciuto il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi.
«È stato un Presidente sempre dalla parte dei più fragili e degli ultimi, capace di battersi per i diritti e i valori fondanti dell’Europa», spiega a Linkiesta Alessandra Moretti, europarlamentare del Partito democratico. I fronti aperti erano tanti, in questi due anni e mezzo di presidenza, anticipati in un memorabile discorso di insediamento.
Figlio di partigiano, aveva parlato del padre – costretto a combattere contro altri europei – e della madre, sfollata per fuggire dalla guerra. Aveva celebrato l’eredità della storia europea «scritta sul dolore», e poi denunciato strumenti insufficienti per fronteggiare le attuali spine nel fianco dell’Unione.
A partire da quella, ricorrente, delle migrazioni. L’Europa non si difende con i muri, ripeteva spesso nei suoi interventi – tutti, o quasi, in italiano – convinto che l’umanità fosse uno dei tratti distintivi dell’Unione europea e che la solidarietà fra gli Stati fosse la chiave per affrontare la questione.
La condivisione dei problemi a livello comunitario era il punto di partenza su cui costruire risposte comuni: solo quando i cittadini italiani saranno preoccupati per il confine tra Russia e Finlandia o quelli dei Paesi nordici per le morti nel Mediterraneo, spiegava all’inizio del 2020, l’Unione europea avrà trovato il suo compimento.
Attento ai problemi ambientali, preoccupato per le diseguaglianze, sostenitore della necessità di allargare i confini europei autorizzando l’ingresso di Albania e Macedonia del Nord: così lo ricordano, commossi, i suoi collaboratori al Parlamento. Ma anche strenuo difensore dei diritti umani (tanto da ricevere un divieto d’ingresso in Russia per l’impegno dell’Eurocamera in questo senso) e della libertà di stampa, principio inderogabile che ha inteso valorizzare con il lancio del premio per il giornalismo investigativo dedicato a Daphne Caruana Galizia. Dopo essersi trovato da entrambi i lati della barricata, era convinto che proprio il giornalismo libero e indipendente fosse uno di quei «meccanismi che ci permettono di controllare chi sta al potere».
La tenacia con cui Sassoli perseguiva le proprie convinzioni è sottolineata pure dal suo portavoce Roberto Cuillo, che a Linkiesta rimarca l’impegno nell’avvicinare le istituzioni europee ai cittadini. «Ha fatto della gentilezza quasi un contenuto politico ed è stato un innovatore importante nella storia del Parlamento». Probabilmente la persona giusta al momento giusto quando l’Europa è stata colpita dalla pandemia di Covid-19, che ha condizionato pesantemente la vita comunitaria ma non ha mai comportato la chiusura dell’Eurocamera.
Fermo sostenitore dell’importanza, anche simbolica, di lasciare aperta la casa della democrazia europea, Sassoli ha infatti lavorato per mantenere in funzione l’emiciclo comunitario, pur a scartamento ridotto e senza le abituali trasferte nella sede di Strasburgo. «Nel pieno della pandemia ha anche destinato un edificio del Parlamento al ricovero delle donne senzatetto, fornendo loro alloggio, protezione e pasti caldi dalla mensa parlamentare», ricorda il portavoce.
Proprio nella crisi sanitaria è emersa forte la sua postura federalista: Sassoli ha guidato il fronte della politica europea favorevole alla condivisione del debito accumulato dagli Stati, prima sostenendo la necessità di titoli comuni (i cosiddetti coronabond), poi contribuendo in maniera significativa alla nascita e all’approvazione del Next Generation Eu.
Ma non è l’unico lascito significativo della sua presidenza: una pressione costante del Parlamento ha permesso l’adozione del meccanismo che vincola l’esborso dei fondi europei al rispetto dello Stato di diritto, arma più incisiva contro le derive illiberali di Polonia e Ungheria rispetto alle procedure di infrazione della Commissione europea.
Da «appassionato amante della Politica con la P maiuscola», come lo definisce il vice-presidente del Parlamento Fabio Massimo Castaldo, ed «europeista sincero», come lo ricorda il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, Sassoli si è speso a lungo anche per la Conferenza sul Futuro dell’Europa, l’evento di democrazia partecipativa che coinvolge 800 cittadini europei estratti a sorte e di cui non potrà apprezzare l’esito, la prossima primavera.
L’avanzamento dell’integrazione europea è sempre stato per lui l’unico orizzonte a cui guardare, a costo di modificare i trattati comunitari. Un obiettivo da perseguire con fermezza, ma senza perdere il sorriso. Come quando, in una conferenza stampa del novembre 2019, spiegò il suo punto di vista sul diritto di veto concesso in molti campi agli Stati dalle regole attuali: «Neanche un condominio funziona con un sistema che richiede l’unanimità».
Parole semplici e alla portata di tutti, ma che svelano una volontà ferrea: quella di lasciare l’Europa un po’ meglio di come la si è trovata, piuttosto che recitare da comparsa all’interno delle istituzioni. Ai più giovani diceva che il lavoro della sua generazione era quello di porre le basi perché questo continente acquisisse una statura politica autonoma, in grado di rispondere alle sfide globali. Ora che il solco è tracciato, toccherà a loro chiudere il percorso.