Sentiamo tutti forte i pericoli a cui andiamo incontro e l’ansia di non essere all’altezza di sfide così impegnative. Vediamo anche molto chiaramente che alcune tendenze vorrebbero farci rinunciare ai valori sui quali è costruita la nostra convivenza. Sono le prove a cui è sottoposta la nostra generazione oggi, in questo momento, con domande inedite da parte di un mondo che si è trasformato sotto i nostri occhi e che spesso non siamo stati in grado di capire e di regolare
Quando da ragazzo chiesi al professor Giorgio La Pira cosa intendesse per “escatologia del profondo”, mi rispose che la storia è come un oceano in cui sei in grado di cogliere le correnti quando affiorano ma in profondità altre si preparano, si gonfiano, e scoprirne la forza prima che si manifestino è opera della politica. Della grande politica.
I segni dei tempi ci dicono che le nostre società sono pervase da forti ondate di disgusto, immense delusioni, istituzioni che non vengono riconosciute come la casa comune in cui garantire le nostre libertà. Sono sentimenti che attraversano l’Europa, che ritroviamo in tutti i Paesi dell’Unione e che nascono dal disagio, dall’esclusione, dalle ingiustizie, ma che sono anche strumentalizzati da coloro che oggi hanno paura che l’Europa possa essere un competitor esigente perché legato a regole, valori, umanità.
Non è un caso che oggi in troppi scommettano sulla nostra debolezza e sulla nostra divisione. Se guardiamo al mondo fuori dallo spazio europeo vediamo quanto le dinamiche di potenza debbano essere temperate, regolate. E quante ingiustizie chiedano di noi. Per essere capaci di dare risposte dobbiamo caricarci sulle spalle l’ansia di cambiamento che contengono le domande che ci ha rivolto papa Francesco, quando invita a lavorare per umanizzare i processi di globalizzazione. È la domanda cruciale del nostro tempo.
Ed è l’unica che può consentirci di riscoprire quella vocazione che in questi settant’anni ci ha portato a costruire uno spazio di democrazia, in cui il diritto è il termine di riferimento con cui noi regoliamo i rapporti fra i nostri Stati membri, fra i nostri cittadini e domani con quegli Stati che aspirano a vivere con noi. “Solo se l’Europa rimane e diventa sempre di più spazio di libertà,” come ha di recente ricordato don Julián Carrón, “potremo condividere la ricchezza che l’uno o l’altro avrà trovato nella vita e potremo offrirla come risposta alle esigenze e alle sfide che abbiamo davanti.”
L’Europa, non dimentichiamolo, è il suo diritto. E anche quando le nostre istituzioni si mostrano inadeguate o da riformare non dobbiamo dimenticare che, se anche imperfette, garantiscono comunque la convivenza possibile e custodiscono le nostre libertà. Non è un caso che le forze che vogliono dividerci ci raccontino di un sistema europeo le cui regole devono essere scardinate.
Non chiedono riforme, ma ritorni indietro per impedire all’Unione di giocare il suo ruolo sulla scena mondiale, di essere capace di regolare l’uso della forza che non è solo militare, e per impedire ai nostri Paesi di affrontare i loro problemi e di superare tante ingiustizie. In questo momento assistiamo a un’insopportabile ingerenza nello spazio europeo da parte di forze esterne che ci fa dire che i nostri Paesi, dopo aver lottato per la propria indipendenza, oggi si trovano ad affrontare una fase nuova in difesa dell’indipendenza dell’Unione. La nostra autonomia è garanzia per le libertà di cui godiamo e che ci fanno diversi da altri, non migliori, e a cui gli altri tuttavia spesso aspirano.
Quante volte, andando fuori dallo spazio europeo, siamo visti con occhi pieni di ammirazione per quello che abbiamo costruito e per i nostri modelli di vita? Dico questo non solo per la risposta da dare a quanti cercano di insinuarsi e strumentalizzare le posizioni nazionaliste, ma anche per l’evidente interesse a non consentire agli europei di giocare un ruolo in un mondo globale che non ha regole, ma deve trovare regole. Fuori dallo spazio europeo torneremmo sudditi perché non saremmo in grado di affrontare nessuna priorità.
Pensateci… pensiamo ai problemi che abbiamo, ai problemi che ha l’Italia… la sfida ambientale, la sicurezza, le questioni finanziarie, gli investimenti, la lotta alla povertà, l’immigrazione, il commercio internazionale, la politica agricola, industriale, la sfida tecnologica.
Quali di queste grandi questioni possono essere affrontate dai nostri Paesi da soli? Nessuna.
E per molte sfide lo spazio europeo è già troppo piccolo. Se dovessimo ritornare indietro, come molti vorrebbero, non avremmo possibilità di superare tante difficoltà, ma metteremmo in gioco il bene più prezioso costruito dal Secondo conflitto mondiale: la pace fra le nazioni europee. È un rischio molto concreto, perché quando gli Stati non sono in grado di affrontare i problemi che hanno di fronte è naturale che li scarichino sugli altri, alimentando tensioni e addirittura conflitti. È la storia dell’Europa moderna, è la storia delle generazioni precedenti alle nostre. È la storia che ci riporta esattamente a ottant’anni fa, ieri, quando il 23 agosto 1939 viene firmato il Patto Molotov-Ribbentrop, un patto di non aggressione fra la Germania nazista e l’Unione Sovietica.
Sei giorni dopo, inizierà la guerra. Pio XII capì subito che era il semaforo verde all’invasione della Polonia e mandò un radiomessaggio famoso perché conteneva una formula che noi dobbiamo continuare a proteggere: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”. Un messaggio che non impedì, di lì a sei giorni, lo scoppio della Seconda guerra europea e dunque mondiale, con il suo peso di lutti e, al suo interno, l’incancellabile vergogna europea della Shoah.
Dobbiamo ricordare questa data. E dobbiamo farlo senza più quasi la voce dei testimoni che l’hanno vissuta: il volgere delle generazioni ci obbliga a guardare a quegli eventi con la forza della ragione e senza più l’ausilio così prezioso di chi ha vissuto la devastazione, la strage, la ferocia, l’odio razziale, la forza seducente del demonio nazionalista. Ma dobbiamo anche ricordare che coloro che hanno vissuto quell’orrore ci hanno dato in custodia istituzioni democratiche ed europee.
Tutti noi europei viviamo la responsabilità di quella custodia: la custodia della democrazia e dell’Europa.