Bilanci Come sopravvivere alla fame emotiva

Finire un pacchetto di patatine, divorare una confezione di caramelle gommose. Mangiare un’intera vaschetta di gelato. E alla fine chiedersi com’è stato possibile. È una reazione psicologica, e spesso non c’entra con il cibo

È uno dei problemi che ci ha lasciato il lockdown, e con il quale dobbiamo fare i conti sempre più spesso. È quella cosa che succede quando svuoti il ​​frigorifero senza freni, quando fai compulsivamente spuntini durante la giornata o quando guardi quello che hai nel piatto e mangi troppo rispetto a quanto dovresti. Quando divori un pacchetto intero di patatine e poi ti chiedi come hai fatto. È fame emotiva, barometro del nostro umore che ci manipola dalla mattina alla sera. Come resistere?

Non è quell’appagamento che avverti dopo aver mangiato bene, magari anche in quantità, ma con soddisfazione, condividendo il pasto e facendolo diventare un’occasione di socialità. È quando all’abbuffo segue un vibrante senso di colpa, perché sai di aver mangiato senza avere fame, per stress o per noia, o per distrazione. Sono le trappole del nutrimento emotivo, che si può controllare per sentirsi un po’ meglio.

Non dimenticare i pasti. Spesso è più facile buttarsi su un pezzo di formaggio divorato al volo, o su un dolce ipercalorico, che prepararsi carne e verdure. Ma proviamo a fare il contrario. Vogliamo quel formaggio? Prima mangiamo per bene, seduti a tavola, una proteina e delle verdure, un frutto. Poi, se ne avremo ancora bisogno, perché a quel punto non sarà più fame, potremo divertirci con qualche altro alimento. Dissociare i due momenti, quello del nutrimento e quello del divertimento con il cibo, aiuta a capire di quale abbiamo realmente necessità.

Porsi le giuste domande. Contro l’impulso di buttarsi regolarmente sul cibo dopo un problema o una discussione, domandare a sé stessi perché ne sentiamo il bisogno ci può aiutare. Quell’impulso a risolvere con il cibo qualcosa d’altro deve essere quantomeno capito, e controllato. Questi conflitti rimandano a un problema di fiducia in noi stessi, e niente hanno a che fare con il cibo, di solito.

Diffidare dell’ortoressia. Avere l’ossessione della magrezza, la fissazione del controllo, ma anche una visione troppo focalizzata sul mangiare sano ci porta a sgarrare quando non ce la facciamo più a seguire le regole troppo rigide che ci siamo dati. E lo sgarro smodato è peggio di un piccolo sgarro quotidiano controllato. Se riduciamo la quantità di cibo utile per il nostro corpo, perdiamo massa magra, massa muscolare e aumenteremo la massa grassa, finendo in una situazione peggiore.

Provare a stare bene. Porsi la domanda “come stai” aiuta a delineare il problema. Perché dietro la fame emotiva c’è l’informazione. La risposta si può scrivere, perché la scrittura è una possibile terapia. Permette di mettere spazio tra sé stessi e l’emozione, per rendere oggettivo ciò che sta accadendo.

Lavorare sulla fiducia.  L’amore per sé, la stima che nutriamo verso noi stessi, e il valore che ci diamo sono tasselli fondamentali per il cambiamento. La fiducia in sé stessi è il legame con la nostra esperienza, a cui segue l’autoaffermazione. È il rapporto con sé stessi, il rapporto con l’altro. Riallineando questo flusso, i problemi di fame emotiva possono diminuire.

Applicare la politica dei piccoli passi.  Non avere fretta, per una volta prendersela comoda. Partendo da una piccola, prima esperienza di successo, possiamo vedere come siamo in grado di fare un certo numero di cose. Con i giusti tempi per sbagliare e riprovarci.

Fare la spesa dopo aver mangiato.  È una regola che vale sempre, ma più che mai in casi come questi. Fare acquisti quando si è pieni ci evita di comprare qualsiasi cosa vediamo. Fare delle visite mirate, con una lista della spesa definita, ed evitare di passare dalle corsie più accattivanti e “emotivamente” pericolose aiuta ad evitare acquisti d’impulso.

Mettersi al centro.  Sembra una frase fatta, ma avere fame di sé stessi, e non esitare a mettersi al centro, è uno dei primi passi per guarire.

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