Nutrire la mente non è (solo) questione di location né la scelta di un cibo è (solo) questione di intelligenza.
Uscendo dall’ambiguità vogliamo piuttosto partire dall’interrogativo: cosa mangiano oggi gli studenti universitari? Dove? E perchè? Per rispondere abbiamo indagato alcuni dei food trend più recenti che stanno prendendo piede tra i frequentatori degli atenei milanesi, ma anche i locali (vecchi e nuovi) che più sembrano incoraggiare o assecondare le loro preferenze in fatto di cibo… ma anche di convivialità, di atmosfera e (last but not the least) di budget.
Take away, street food e “schiscetta”
Veloce, economico e, spesso, poco sano: fino a qualche anno fa erano queste le caratteristiche che tristemente fotografavano il pasto tipico dello studente (soprattutto fuorisede); riflesso in nuce di cattive abitudini alimentari determinate da fattori molteplici, tra cui il poco tempo dedicato ai pasti, la pigrizia nella gestione del frigorifero e l’attenzione ai prezzi.
Privilegiati, in questo panorama di desolazione culinaria, apparivano soprattutto gli immatricolati provenienti da un indefinibile “Sud”, destinatari dell’intramontabile dell’invio del “pacco da giù”: la versione più tradizionale, casalinga e “dop” di qualsiasi servizio di food delivery, garanzia di una fornitura costante e cospicua di leccornie regionali, amorevolmente cucinate, conservate, imballate e recapitate da stuoli di madri-massaie preoccupate per lo “sciupìo” dei loro pargoli trapiantati al Nord.
Il risultato è la contaminazione, nel menu, tra il meglio della cucina regionale “di casa” (opportunamente resa prêt- à-porter grazie all’adozione della schiscia) e il peggio della cucina fast e junk.
Salutismo, curiosità, attenzione al cibo locale, green ed etico
Lo stereotipo dello studente universitario milanese con l’eco nel frigorifero e costretto a mangiare solo cibo in scatola o precotto, pizza da asporto e kebab è progressivamente tramontata e ormai è del tutto superata, sostituita dall’immagine di un giovane modaiolo che, nonostante la dispensa desertica e le scarse abilità ai fornelli, riesce comunque a prendersi cura della propria alimentazione, scegliendo esattamente quello che vuole; dal cibo etnico a quello salutare, da quello che garantisce un momento di condivisione tra amici a quello che promette di aderire a un progetto etico e sostenibile.
D’altronde era inevitabile che, nella città incoronata capitale gastronomica da Expo 2015, mangiare diventasse non solo un fatto di moda, ma anche una parte fondamentale del lifestyle caratteristico della cosiddetta “Generazione Z”, sempre più consapevole e attenta alle questioni sociali e ambientali e incline a compiere scelte coerenti con questa crescente sensibilità.
Esotismi fusion: Erasmus gastronomici in città
Il panorama gastronomico milanese è sempre più multietnico, dinamico, mutevole e anticonformista. E poiché avere a disposizione pressoché tutte le cucine del mondo in pochi km rende inevitabilmente cosmopoliti e curiosi, va da sé che sia proprio il pubblico giovanile il principale destinatario dell’offerta illimitata di opzioni gastronomiche del capoluogo lombardo, e in particolare di quelle realtà che puntano sulle contaminazioni culturali e propongono fusioni gustative insolite ma accattivanti.
Tra gli esempi più recenti ci sono Kaiseki, un sushi restaurant che omaggia il capoluogo lombardo inserendo nel menu tipicamente nipponico sette piatti iconici della gastronomia meneghina in versione “da bacchetta”. Nasce così la serie “Gran Milan”, in cui il riso allo zafferano e la cassœula si fondono in una crocchetta fritta accompagnata da mostarda, l’anguilla flambata e avvolta in foglia di barbabietola diventa un chirashi con lenticchie, la cotoletta di vitello diviene il ripieno di un involtino primavera e l’ossobuco si trasforma in un uramaki in foglia di cavolo cinese, accompagnato (ovviamente) da gremolada e quartirolo sbriciolato e caramellato.
Accattivante anche l’idea alla base di Ghe Sem, un ristorante specializzato in ravioli cinesi (dim sum) che tuttavia, attraverso i sapori racchiusi in questi fagottini di pasta cotti al vapore, propone un vero viaggio attorno al mondo: dall’India alla Scozia, dal Messico all’Italia, protagonista di ripieni a base di Amatriciana, parmigiana di melanzane con ricotta salata, baccalà, fassona e cipolla caramellata, ossobuco e zafferano, lingua salmistrata e salsa verde, ‘nduja e mascarpone, e così via (disponibili anche in degustazione al prezzo di 18 euro per 11 pezzi).
Ancora più coraggiosa (perché meno campanilista) è a proposta di Bomaki “Rapido” (bom, “buono” in brasiliano e maki, il goloso roll della cucina giapponese), il nuovo concept di cucina nippo-brasiliana, a base di burrito in diverse versioni (gamberi e salsa rosa, pollo teriyaki, hot tuna, picanha, veggie e tante altre) e uramaki in 10 differenti combinazioni che seguono la stagionalità delle materie prime. L’idea è quella di offrire una pausa gastronomica veloce, gustosa e conveniente, grazie alla formula Combo (burrito, uramaki e un side a scelta a 12-13-15 euro) e alle Sharing Box per 4 persone (disponibili in diverse combinazioni a 42-45 euro).
Né carne né pesce? E invece sì…
Una delle ultime tendenze per gustare carne e pesce di prima scelta, a basso costo e senza dover cucinare, è mangiare direttamente nelle macellerie e pescherie con cucina. Tra gli indirizzi più appetibili (e abbordabili anche per gli studenti) c’è la Macelleria Popolare, aperta da Giuseppe Zen all’interno del mercato coperto della Darsena (Zona Ticinese, vicino ai Navigli). Serve solo carne grass-fed, allevata secondo criteri biologici e frollata in modo professionale, proveniente dall’Oltrepò pavese, dal Trentino Alto Adige, dalla Sardegna, dalla Sicilia ma anche dall’Inghilterra e dal nord della Germania. Le proposte del menu vanno dai 5 ai 9 euro (con l’eccezione di alcuno tagli come la tagliata di pecora, la fiorentina, la costata e il filetto, che vanno dai 35 ai 55 euro al chilo).
Spostandosi verso Corso Lodi si trova Osso – Macelleria e fornelli che, all’ora di pranzo, offre la possibilità di gustare primi e/o secondi a base di carne di prima scelta restando entro i 15 euro. Dall’altra parte della città, in zona porta Venezia, la Macelleria Pellegrini che da martedì a sabato offre un servizio pranzo nell’antistante via pedonale (rigorosamente in piedi) a base di preparazioni sia cotte (come la tradizionale cotoletta) che crude (come la classica tartare), accompagnate da un buon bicchiere di vino. Lo stesso format si trova a Il Mannarino, che porta a Milano la gastronomia pugliese (a base di bombette, arrosticini, bracioline, ecc) e, per il mezzogiorno, offre un menu composto da un piatto principale (a 13-15 euro) + un contorno offerto, oppure due contorni (a 13 euro).
Per gli amanti del pesce, invece, ci sono le pescherie con cucina, come Il Pescetto, inaugurato nel 2013 in Porta Volta, che propone un servizio dal banco al piatto e consente di scegliere il pesce esposto sul banco e di decidere il tipo di cottura. Il pesce si paga a peso e la cucina è semplice e poco elaborata, per lasciare emergere il più possibile i sapori di mare. Pescatorum, invece, propone tutti i giorni piatti di mare (dai 7 ai 16 euro) a base di pescato fresco, con una speciale formula per il mezzogiorno in cui il contorno è offerto, il coperto non si paga, e pane e acqua sono inclusi. Più innovativo il format di Pescaria, un’insegna pugliese che si presenta dichiaratamente come “primo fast food di mare”: offre panini abbondanti (da 8 a 13,5 euro) con materie prime di qualità che variano ogni giorno, ma anche menu stagionali a base di piatti crudi (dai 5 ai 35 euro), cotti (dagli 11 ai 36 euro) e insalate di mare (12,50-13,50 euro). Ovviamente non bisogna esitare a chiedere il pescato del giorno!
Inaspettate alternative: gustare per credere
In linea con la crescente attenzione all’ambiente, al clima e alla salute che spinge le persone ad un consumo più critico della carne animale, si stanno moltiplicando in Italia le proposte di prodotti plant-based, capaci di sostituire le proteine animali, senza farne rimpiangere il gusto. Tra i locali impegnati ad assecondare questa tendenza c’è 3B – Burger Beer Bitter, che serve in una veste insolita i prodotti del marchio Future Farm e rappresenta la prima hamburgeria milanese che ribalta completamente il paradigma “carnivoro vs veg”: il menu è esclusivamente plant-based, ed è proprio la “vera” carne a rappresentare l’eccezione. Per mangiare si spendono in media 9 euro per i sandwiches, 12 per i burgers, 13 per le “future salads”, più eventuali contorni (3-4 euro) o
aggiunte a scelta (1-2 euro).
Flower Burger invece rende cool l’approccio “veg” al classico panino americano puntando sull’estetica oltre che sul gusto: ogni burger (di olive, lenticchie, avena e fagioli, seitan) è accolto in un bun colorato (arancione a base di paprika e curcuma; verde con alga spirulina blu; viola con estratto di carota nera e rosa a base di succo di barbabietola chiarificato e concentrato ed estratto di ciliegia) e arricchito con Straccetti Planted, Flower cheddar (formaggio vegetale che ricorda il gusto tipico del cheddar inglese), germogli, verdure e salse aromatiche artigianali: la Mykonos (versione veg della classica salsa tzatziki greca), la Wild (che combina l’aroma smoky della salsa Bbq con la leggerezza della maionese vegetale), la Magik (un mix di maionese vegetale, mostarda di frutta italiana e cipolla rossa), la Rocktail (ketchup, senape e maionese vegana, alga nori e brandy). Il prezzo medio è di 8 euro per burger, 12 per il menu composto da panino e contorno.
Tradizionale… ma non troppo
Per i giovani che non vogliono discostarsi troppo dalla cucina mediterranea e per gli studenti fuori sede che vogliono sentirsi a casa ritrovando i sapori della loro terra, ci sono diverse alternative che propongono le ricette della tradizione regionale in chiave più smart e accattivante.
La recente apertura di Mediterranea, nel cuore del CityLife district, inaugura un nuovo modo di declinare la dieta simbolo del “mangiar bene”, combinando proposte healthy e ispirazione fine dining. Così gli ingredienti tipici della cucina mediterranea vengono rivisitati in chiave innovativa e “casual”, trasformandosi per esempio in Energy bowl e burrito e burger con Legumeat (“fake meat” a base di legumi ma in grado di riprodurre la consistenza e il gusto della vera carne), in un menu ampio e sostenibile, che accoglie ispirazioni esotiche (soprattutto mediorientali), ma in cui non mancano tipicità nostrane come il risotto, la colatura di alici, la bottarga di muggine, il crumble di tarallo pugliese e il cannolo siciliano. Le proposte del menu bistrot non superano i 13 euro.
Quando invece il desiderio di comfort food e ricette della nonna prevale sulla ricerca di salutismo gourmet, Trapizzino promette di non deludere le aspettative, proponendo le ricette iconiche della cucina romana (polpette al sugo, trippa alla romana, coda alla vaccinara, ecc) e altri sapori regionali italiani (lingua in salsa verde, parmigiana di melanzane, seppie e piselli, ecc), all’interno di un angolo di pizza bianca farcito. In alternativa ci sono anche i supplì, ma visto che i prezzi lo consentono (4,50 euro per ogni tasca farcita), vale la pena provarli entrambi.
Accademico ma divertente: il bar universitario 2.0
Punto d’incontro per gli studenti ma anche per gli esterni, i bar interni brandizzati all’interno degli atenei sono un trend internazionale ormai arrivato anche in Italia.
Il precursore è stato GuD Bocconi, che da due anni ha creato all’interno dell’omonima università un locale concepito come punto d’aggregazione in cui mangiare, bere, ma anche socializzare, studiare e divertirsi. Il menu asseconda le tendenze più attuali in tema di food & beverage, con un orientamento sempre più plant-based e un menu né vegetariano né vegano, bensì attento alla salubrità e sostenibilità degli ingredienti, alla loro stagionalità e alla varietà delle proposte.
Tra le proposte più innovative ci sono due nuovi burger vegetali (uno di barbabietola, con cavolo rosso marinato e salsa allo yogurt; e uno con cavolo riccio e quinoa, salsa habanero, pomodori e insalata), un Green bao, cioè un panino orientale al vapore ripieno di cavolo nero, funghi Shitake e salsa verde (alternativa veg alle varianti con gamberi e salsa rosa o con pulled pork cotto a bassa temperatura, cipolla caramellata e salsa Bbq piccante).
Le novità dell’autunno comprendono anche la Autunm Green, una bowl di riso rosso integrale, cotto all’orientale, condito con dolce crema di zucca, funghi shitake marinati a caldo con soia, olio e aceto di riso, cavolo nero scottato in padella, castagne tostate e rafano fresco grattugiato. Infine la Pinsa artigianale (un’esclusiva di GuD Bocconi), realizzata con un blend di farine di grano, soia e riso, lasciata lievitare e a lungo e stesa a mano per ottenere una consistenza unica (croccante fuori e morbida all’interno) e un’elevata digeribilità. Farcita con ingredienti tipicamente italiani (con Crudo di Parma e stracciatella Dop; con salsiccia, patata e rosmarino, con Mortadella, fior di latte, pistacchi), è l’ideale da condividere durante l’aperitivo, che comunque non rinuncia alla contaminazione multiculturale (un omaggio alla multinternazionalità degli studenti) adottando ingredienti di tutto il mondo, a partire dalle spezie cajun e dal guacamole fitto. I prezzi in menu vanno dai 5 euro per ogni bao, ai 12 euro per le poké bowls, passando per i 6,5-8,5 euro delle pinse, fino ai 9-11 euro delle focacce e ai 10-12 euro delle insalate.
Oltre a servire cibo etico e buono, GuD Bocconi incoraggia il relax e la socializzazione (grazie a spazi e arredi pensati per la conversazione e la condivisione di idee, tavoli da ping pong, ombrelloni e sedie sdraio) e punta all’intrattenimento di studenti e avventori: ogni martedì, dalle 19.30 alle 21 ospita la serata karaoke, mentre il giovedì mattina dalle 8.00 alle 10.00 si gioca al Cervellone, un quiz per sfidare gli amici. In più il locale ospita spesso talk e attività creative, all’interno di un palinsesto chiamato GuD on Stage. L’obiettivo? Diventare parte integrante della vita studentesca e un punto di incontro quotidiano tra l’università e il resto della città.
Il caffè… è solo una scusa!
All’indomani del Covid, con la crescente affermazione dello smart working ma anche dell’abitudine a svolgere determinate attività da “remoto”, hanno prese sempre più piede i locali dedicati al cosiddetto “coworking”: luoghi in cui svolgere le proprie attività autonomamente ma senza sentirsi soli.
Insieme a freelance, liberi professionisti e dipendenti “smart”, gli studenti universitari sono tra i più assidui frequentatori di questi luoghi, che rappresentano l’alternativa ideale allo studio in una stanza in condivisione o in una triste biblioteca, con in più il vantaggio di poter bere un buon caffè, fare uno spuntino di qualità e incontrare sempre facce nuove.
Tra i locali milanesi più gettonati per lo “studio flessibile” ci sono La Santeria e Upcycle (in zona Città Studi), il Café Gorille, di fronte alla Biblioteca degli Alberi (in Porta Nuova), la Red Feltrinelli (in Piazza Gae Aulenti), Ofelé (in Sant’Agostino), Coffice Milano (in Via Olona), Base Milano (in Via Torona), Colibrì (in Centro), Open (in Viale Monte Nero), Tenoha (sui Navigli), Long Song Books & Café (in Porta Venezia) e Hug Milano (a NoLo). In molti casi si tratta di semplici bistrot dove, con una consumazione obbligatoria (ma spesso deliziosa), è possibile usufruire di wifi gratuito e di un’atmosfera confortevole in cui trascorrere qualche ora di concentrazione rilassata. Alcuni locali prevedono invece un servizio di permanenza in abbonamento giornaliero, mensile o a ore, che comprende connessione internet, accesso a stampante con scanner, frigorifero, forno a microonde e buffet gratuito, nonché aree relax dove concludere la giornata con un aperitivo in compagnia.
Insomma, che si abbia davvero fame o solo bisogno di stare in compagnia, che si voglia provare qualcosa di nuovo o ritrovare sapori familiari, che si cerchi divertimento o relax, il panorama della ristorazione milanese offre infinite possibilità adeguate alle esigenze di chiunque. Primi fra tutti gli studenti universitari: pubblico giovane disponibile (per necessità e virtù) a sperimentare e a lasciarsi guidare alla scoperta di una Milano non più solo “da bere” ma anche da gustare e da vivere.