Ogni guerra fredda ha la propria versione di Caccia a Ottobre Rosso, e una versione aggiornata ne sta andando in scena fra le onde del Mediterraneo. Con l’entrata dallo stretto di Gibilterra della fregata Admiral Gorshkov, i russi stanno infatti conducendo una operazione dimostrativa a beneficio dell’opinione pubblica europea. La nave russa navigherà in prossimità delle acque territoriali alleate, incluse quelle italiane, in uno show of force che metta in guardia le capitali occidentali. Se negli anni ‘80 la principale minaccia navale all’Alleanza atlantica erano infatti i sottomarini sovietici, gli anni ‘20 di questo secolo vedranno contrapporre alle flotte NATO anche una flotta di navi di superficie russe altamente avanzate, equipaggiate con un’arma letale contro la quale ancora non sono state sviluppate contromisure: il missile ipersonico Zircon.
Questa, almeno, é la narrazione propagata dal Cremlino, la cui ambizione è poter tornare a una situazione di essenziale parità strategica con Washington e Bruxelles. Al di là della propaganda, la verità è un po’ diversa. La flotta russa (Voennoy morskoy flot, o Vmf) è per lo più inferiore alle sue controparti occidentali in termini di capacità operative e livello tecnologico. Quasi un decennio di sanzioni ha avuto effetti devastanti sulla cantieristica navale russa, che languiva già in un certo stato di abbandono rispetto alle forze terrestri, aeree e missilistiche. Pur dotata di sottomarini nucleari e nonostante sia la terza marina al mondo in termini di tonnellaggio, molte navi in dotazione alla Vmf sono obsolete in termini tecnologici e costruttivi.
Una nuova generazione di fregate
Nei piani dell’ammiragliato russo, la Admiral Gorshkov dovrebbe rappresentare l’esempio più virtuoso di una nuova rotta. La fregata, varata nel 2010 e capostipite di una nuova classe (Progetto 22350), è stata infatti equipaggiati con missili ipersonici 3M22 Zircon, una famiglia di effettori che da qualche tempo a questa parte desta una certa preoccupazione nei comandi navali europei e americani. Anche se è dibattuto quanto i missili ipersonici siano una rivoluzione tecnologica, non vi è dubbio che il passaggio di una nave equipaggiata con questi sistemi così vicino alle coste italiane, spagnole e greche rappresenta un elemento di allarme per la Nato.
La novità di questa tecnologia non è tanto la velocità, superiore alla barriera del suono: tali capacità sono già raggiungibili da missili balistici, i quali seguono tuttavia una traiettoria parabolica abbastanza prevedibile. Sulla carta, la Zircon ha invece la capacità di raggiungere Mach 9 (ovvero unidicimila chilometri all’ora) pur essendo un missile “da crociera”: ciò lo rende quindi manovrabile, gli permette di rimanere all’interno dell’atmosfera terrestre e di viaggiare anche a pelo d’acqua, rendendo molto difficile intercettarlo. In più, la pressione dell’aria generata sulla punta crea una nuvola di plasma mobile che assorbe le onde radio e lo rende invisibile ai radar attivi. Anche se le fonti ufficiali russe sostengono che lo Zircon può volare fino a mille chilometri, i testi effettuati a oggi hanno dimostrato solo un raggio d’azione effettivo in eccesso di 500 chilometri (circa un terzo della portata di un Tomahawk americano, o la distanza fra Roma e il canale di Sicilia).
La letalità dello Zircon è particolarmente pronunciata contro obiettivi nevralgici alla base dell’approccio navale occidentale, aggravato dal fatto che non esistono attualmente sistemi sviluppati ad hoc per intercettare e abbattere questo tipo di effettore. Il missile ipersonico è stato studiato per eliminare assetti di alto valore come portaerei e infrastrutture critiche di comando e controllo a terra. L’entrata nel Mediterraneo della Gorshkov completa il ventaglio di missioni che la Vmf svolge sul fianco Sud europeo: esercitare una funzione di deterrenza strategica a minaccia di obbiettivi alleati in Europa, poter cogliere l’opportunità di condurre azioni clandestine contro infrastrutture critiche come gasdotti e cavi internet, e infine poter ingaggiare le flotte in acque lontane dal territorio russo, tenendo così a distanza anche le loro capacità missilistiche di attacco a terra.
Detto questo, la Gorshkov è anche il simbolo dei limiti del potere navale russo. A oggi esistono solo tre navi derivanti dal Progetto 22350, di cui una è attualmente in fase di collaudo. La tabella di marcia per le altre cinque fregate ha già subito dei rallentamenti. Ironicamente, la principale fornitrice di turbine per navi dell’Urss prima e della Russia poi è sempre stata l’Ucraina, che dal 2014 ha chiaramente cessato di essere un partner commerciale per l’industria militare russa.
Il disastro della Moskva nell’estate del 2022, poi, è stato esemplare: la nave di progettazione sovietica non era stata modernizzata come inizialmente previsto, rimanendo estremamente vulnerabile a nuove tattiche quali l’utilizzo di droni e la proliferazione di missili antinave. Per sopperire all’incapacità di varare un numero adeguato di nuove navi, Mosca ha adottato una strategia mirata all’ammodernamento della propria marina, caricando scafi esistenti con nuovi sistemi missilistici di precisione come il Kalibr e lo Zircon. Questo serve ad aumentare il raggio di ingaggio delle navi e renderebbe anche modeste corvette un assetto operativo importante, grazie alla loro capacità di proiettare forza su distanze maggiori e più sicure. Se ciò basterà a controbilanciare l’obsolescenza degli scafi, che spesso non permettono un adattamento flessibile a nuove missioni, è tutto da dimostrare.
Ma almeno per quel che riguarda il Mediterraneo, è abbastanza scontato che nell’ipotesi di un conflitto fra Russia e Nato le navi russe nella regione (oltre alla Gorshkov di passaggio, attualmente dovrebbero esserci la sua gemella Admiral Kasatanov, la fregata Admiral Grigorovich, tre corvette e un sottomarino classe Kilo) sarebbero fortemente vulnerabili. Il bacino del Mediterraneo è estremamente trafficato e pattugliato dalle task force multinazionali dell’Alleanza atlantica. L’operazione Sea Guardian della Nato e Mediterraneo sicuro della Marina italiana garantiscono una schiacciante superiorità numerica in termini di navi schierate, e le forze statunitensi ed europee dominano lo spazio aereo nella regione. La vera incognita rimane il fattore sottomarini, che nonostante tutto sono ancora oggi il vero punto di forza delle forze navali russe. Benché le capacità antisommergibili occidentali siano di gran lunga migliorate, non da ultimo grazie all’introduzione delle fregate Fremm italofrancesi in configurazione antisom, l’ambiente subacqueo rimane l’unico nel quale i russi potrebbero prendere in contropiede le difese Nato nel Mediterraneo.