La guerra nel Mar Nero non sta andando particolarmente bene per i russi, come d’altra parte l’interezza di questa rocambolesca e sanguinosa avventura di Mosca ai danni della pace europea e del popolo ucraino.
Vedere la propria ammiraglia, la Moskva, colare a picco a metà 2022 deve essere stato un duro colpo per i marinai e gli ufficiali dalla Flotta del Mar Nero (Chernomorskij flot, o ChF). Tuttavia, i danni che sta subendo la marina russa in questa regione vanno ben oltre la perdita di uno scafo che era comunque avviato verso lo smantellamento.
Fra ottobre e novembre gli ucraini hanno lanciato una serie di attacchi contro Sebastopoli, la tradizionale base della ChF nella Crimea occupata, ma anche contro Novorossisk, principale terminal energetico per i flussi di petrolio dell’azienda di stato Transneft e nuova base dei sottomarini da combattimento di classe Kilo, evacuati da Sebastopoli proprio a causa delle ripetute incursioni ucraine.
I barchini-drone ucraini
Ciò che rende interessante questo teatro della guerra ucraina è tuttavia la natura totalmente asimmetrica dello scontro. I russi hanno schierato il meglio che i propri cantieri navali potessero offrire, puntando su navi di superficie e sottomarini in corso di modernizzazione e in perfetta continuità con le tradizioni della Guerra Fredda.
Gli ucraini hanno invece registrato diverse vittorie grazie a una piccola flottiglia di motoscafi-drone di modeste dimensioni. Le imbarcazioni sono controllate a distanza, operano spesso tramite attacchi suicidi schiantandosi contro i loro obiettivi, sono lunghe cinque metri e mezzo e pesano mille chili, hanno un’autonomia di ottocento chilometri e costano qualcosa come duecentocinquantamila dollari a pezzo.
In termini di specificazioni tecniche e prezzo, i motoscafi-drone ucraini si trovano quindi a un livello di sofisticazione infinitamente inferiore a quello dei progetti navali più moderni della marina russa. Tuttavia, il media di opposizione russo Proekt stima che la Flotta del Mar Nero abbia perso circa il quindici per cento della propria forza dall’inizio della guerra, ovvero dodici navi da combattimento.
Questa è una stima puramente quantitativa, che cela tuttavia un cambiamento più profondo che sta avvenendo nell’ambito del combattimento navale un po’ in tutto il globo. Basti pensare che circa un quinto dei missili lanciati dal 24 febbraio contro obiettivi in Ucraina proveniva proprio dalle navi della ChF, e che negli ultimi anni l’ammiragliato russo ha optato per una strategia che prevede uno stop all’espansione della flotta in termini di tonnellaggio a favore di un upgrade degli scafi a disposizione, equipaggiandoli con missili da crociera Kalibr capaci di colpire obiettivi anche nell’entroterra profondo. La ChF è infatti un corpo da combattimento dall’illustre storia, ma che da qualche anno a questa parte accusa i colpi inferti da un settore industriale strangolato dalle sanzioni e una negligenza generale da parte del Cremlino per tutto ciò che galleggia.
Meno navi, più letalità
Sapendo di non poter espandere la propria flotta in tempi brevi, Mosca ha cercato di allontanarsi dallo scontro diretto, rendere le navi esistenti più multi-missione e ingaggiare l’avversario a distanza, preservando così le proprie forze e aumentando la letalità delle singole imbarcazioni.
Allo stesso tempo, gli ucraini hanno optato per un approccio per certi versi opposto: dopo aver perso l’ottanta per cento della propria flotta nel 2014 con la caduta della Crimea, Kyjiv si è vista costretta a compensare la propria perdita di tonnellaggio cercando altri modi per aumentare la letalità della propria flotta.
La soluzione è stata quella di una forza leggera, automatizzata e sostenibile, perfetta per raggiungere ogni angolo del Mar Nero. Il grande vantaggio di Kyjiv è che, a differenza dei russi, la flotta ucraina non ha necessità di essere “equilibrata”, cioè adatta a operare in diverse regioni del globo. A cosa serve una flotta oceanica quando la distanza da Odessa a Novorossisk sono appena 675 chilometri? Per vincere una guerra serve essere semplicemente migliori del proprio nemico, non perfetti in ogni contesto operativo.
Guardare l’esempio ucraino può quindi essere fuorviante. Già nel 1918 la austro-ungarica SMS Szent Istvan, fiore all’occhiello della marina austro-ungarica varata per grandi battaglie fra corazzate, ha trovato la propria fine dopo una “banale” incursione di piccoli motoscafi siluranti della Regia marina italiana. Pur con dei ripensamenti dottrinali, questa vittoria di Davide su Golia non ha impedito che i decenni successivi vedessero numerosi scontri fra grandi imbarcazioni e enormi battaglie aeronavali, e questo nonostante il declino della corazzata e la proliferazione di imbarcazioni simili ai Mas italiani.
Ciò che funziona nel Mar Nero (o nell’Adriatico) non è necessariamente perfetto in altri teatri di guerra, e non tutti i Paesi hanno gli stessi livelli di ambizione in termini di proiezione di potere sui mari.
Le vittorie ucraine, insomma, non segnano l’inizio della fine per le navi da combattimento, soprattutto se si considera che molte delle marine del pianeta si stanno muovendo, come quella russa, verso l’adozione di navi multi-ruolo e grosso modo un mantenimento dell’attuale numero di scafi nelle proprie marine.
Il Mar Nero è solo l’inizio
Tuttavia, è innegabile che l’esperienza ucraina abbia fatto emergere con prepotenza alcune tendenze già identificate dalle marine militari del mondo. Come scrivono i miei colleghi dell’Istituto Affari Internazionali Elio Calcagno e Alessandro Marrone, in vista di una conferenza che si terrà oggi sul futuro del dominio navale, l’incalzare delle nuove tecnologie hanno reso le navi più vulnerabili, più interconnesse con altri domini (come il cyber, lo spazio o il combattimento aereo) ma anche più flessibili e potenti.
L’automazione e il propagarsi di sistemi come i droni aumenta le distanze dalle quali le navi possono proiettare potere e pone maggiormente l’enfasi sulla letalità del sistema-nave. Tuttavia, le tecnologie complesse richiedono anche un forte investimento in formazione per il personale, un adeguamento di tattiche e procedure manutenzione e un utilizzo sensato a seconda del teatro di guerra.
I motoscafi-droni dell’Ucraina si sono finora rivelati un’arma vincente contro la marina russa. Ma l’avvento di nuove tecnologie come i missili da crociera ipersonici russi, le navi automatizzate della marina dell’Esercito di liberazione nazionale cinese e l’introduzione di droni da combattimento sottomarini promette di rendere ancora più complicato per qualsiasi Paese o alleanza dominare le onde del ventunesimo secolo.