Carlo Calenda e Matteo Renzi daranno un nome e un simbolo alla Federazione tra Azione e Italia Viva, probabilmente nel mese di maggio nel corso di una manifestazione nazionale con gli esponenti under trenta dei due partiti.
Non è ancora il nuovo partito, ma Azione e Italia Viva si muovono già come se fossero un partito unitario, in Parlamento, nel Paese e in Europa dove stanno già insieme in Renew Europe con Emmanuel Macron e altri capi di governo di area liberal democratica.
Calenda e Renzi sanno che non bisogna correre, ma sono anche consapevoli che dotarsi finalmente di un nome e di un simbolo comune, in modo da superare la denominazione “Terzo Polo”, farà capire che l’alternativa a questa destra pasticciona e a questa sinistra populista è un progetto politico serio e di lungo termine, non più la sommatoria di due piccoli partiti leaderistici costretti dalle circostanze a stare elettoralmente insieme.
La campagna comune per le regionali in Lombardia e nel Lazio, e poi in Friuli intorno alla candidatura di Alessandro Maran, sta già contribuendo a superare le difficoltà locali e a sanare alcune diffidenze, ormai quasi del tutto sparite a livello nazionale.
Ma quel che conta è che la Federazione lavori già come un unico partito e che Calenda e Renzi abbiano deciso insieme il percorso di avvicinamento alle elezioni europee del 2024, rinviando la fondazione del nuovo soggetto politico a quando le contraddizioni del governo Meloni, la fine inesorabile di Forza Italia e il cedimento strutturale del Pd apriranno uno scenario italiano ed europeo del tutto differente rispetto a quello attuale.
L’obiettivo di Calenda e di Renzi è quello di diventare politicamente decisivi in Europa e in Italia a partire dalle elezioni europee del 2024, per sventare il progetto reazionario dei conservatori e dei popolari a Bruxelles e per farsi trovare pronti a Roma nel momento in cui il governo Meloni avrà definitivamente fallito.
In un primo momento, Calenda avrebbe voluto accelerare il processo di gestazione del nuovo partito unitario, come aveva detto alla convention dei liberali di qualche settimana fa a Milano, ovvero avrebbe voluto presentare un manifesto del nuovo soggetto politico entro la primavera e poi convocare l’assemblea costituente del nuovo partito tra giugno e settembre.
Il ragionamento di Renzi, accolto da Calenda, è che sia invece necessario un percorso più lungo ed elaborato, in modo da coinvolgere altre forze oltre ad Azione e Italia Viva, e per questo è fondamentale non chiudere anzitempo i confini del nuovo soggetto politico, pur sapendo – come ha detto ieri Renzi al Teatro Parenti di fianco a Calenda e a Letizia Moratti – che questo comunque è «il destino e la destinazione di Italia Viva».
Sul palco del Parenti, si è visto come Calenda e Renzi siano tornati ad essere una squadra come ai tempi del governo più riformatore della storia recente, quando insieme incentivarono gli investimenti industriali, realizzarono il Tap e contribuirono al trattato di libero scambio con il Canada. Calenda e Renzi si completano a vicenda e, visti insieme sul palco, offrono un’alternativa credibile all’elettorato pronto o quasi pronto a uscire dal pantano del bipopulismo perfetto italiano.
Entrambi sanno che c’è da seguire con attenzione l’evoluzione del Partito democratico e il suo inesorabile avvicinamento al populismo antioccidentale di Giuseppe Conte che potrebbe convincere le forze riformiste e popolari del Pd a cercare rifugio altrove.
Ma, appunto, servirà tempo, anche se Calenda ieri ha aperto un corridoio umanitario a Giorgio Gori e a Irene Tinagli, i dirigenti del Pd idealmente più vicini ad Azione e Italia Viva, invitandoli addirittura «a fare i leader qui da noi» purché se ne vadano presto da un partito che nel 2023 da una parte invoca «la scintilla della rivoluzione d’ottobre» e dall’altra non si indigna se Giuseppe Conte si autoproclama erede di Berlinguer.
Lo stesso smottamento è possibile a destra, con il declino di Forza Italia, con le fratture tra l’ala pragmatica della Lega (ammesso che esista) e quella carnevalesca di Salvini e con la palese inadeguatezza di governo dei Meloni boys.
Poi ci sono da considerare i movimenti nel centro antipopulista, con i liberali che provano a organizzarsi politicamente, con i socialisti e i radicali sempre in cerca di casa e con PiùEuropa al momento smarrita tra la sua vocazione liberale e l’essersi consegnata al ruolo di vassallo del Pd a trazione populista.
PiùEuropa è pronta a fare una lista comune alle europee 2024 con la federazione Azione-Italia Viva, riconoscendo l’errore commesso alle scorse politiche, ripetuto alle regionali lombarde ma almeno non in Friuli, però non è ancora disposta ad entrare in un partito unitario.
Ci arriverà, anche perché non ha altri sbocchi, ma, di nuovo, servirà tempo. Calenda gli ha comunque offerto di entrare subito nella Federazione aperta tra Azione e Italia Viva che «nelle prossime settimane», ha confermato Renzi al Parenti, avrà un nome e un simbolo.
Azione e Italia Viva continueranno ad agire politicamente come se il partito unitario ci fosse già, pur non essendoci ancora. Con il nome e con il simbolo della Federazione sarà più agevole costruire l’alternativa adulta al bipopulismo, sempre che nel frattempo i neo, ex, post fascisti al governo e i demagoghi all’opposizione non avranno compromesso in modo irreversibile la situazione.