In un indimenticabile video dell’epoca del governo Renzi si vede a Montecitorio Paola Taverna dare bellamente dei «mafiosi» ai deputati del Partito democratico, che appunto era il principale partito di governo: pochi giorni fa sempre alla Camera dei Deputati ha fatto la stessa cosa Giovanni Donzelli, ancora contro i deputati del Partito democratico, ora all’opposizione.
C’è in effetti del grillismo nel giovane rampante di Fratelli d’Italia. Ma il punto non è lui, perché gli stessi insulti, pur conditi da un retorico punto interrogativo, sono stati ripetuti da altri «bravi ragazzi» di Fratelli d’Italia: il tema è evidentemente di politica generale.
Come ha notato Claudio Martelli, una delle persone che in Italia capisce di più di politica, «non si era ancora visto dalla nascita della Repubblica un governo che attacca l’opposizione in questo modo, sarebbe naturale il contrario».
È una novità non da poco. Forse non voluta da Giorgia Meloni, che sulla carta non dovrebbe trarre nessun beneficio da un surriscaldamento del clima, certamente non da Forza Italia e centristi – vedi le critiche di Maurizio Lupi e Giorgio Mulè, infatti fatto fuori dai Fratelli dal giurì d’onore – e nemmeno dalla Lega, partiti politicamente più marginali che soffrono nello scontro diretto FdI-Pd.
Non sapremmo dire se vi sia una destra più a destra di Meloni – una «destra della prima ora» per usare questa espressione – che già s’agita di fronte al ministerialismo della premier e di ministri come Guido Crosetto e che magari si muove in sintonia con pezzi di una vecchia destra annidata in vari punti dello Stato allo scopo di dare un colpo definitivo ai “comunisti”. Lo si vedrà eventualmente più avanti.
Quello che è certo è che lo sfondamento di Donzelli, Andrea Delmastro, Tommaso Foti, Alberto Balboni mal si accompagna all’operazione “egemonica” dei Sangiuliano e Valditara, al tono di un Crosetto, persino al professionismo politico di un Fabio Rampelli.
E l’altra cosa certa è che la campagna dei «bravi ragazzi» di Fratelli d’Italia ha sortito l’imprevedibile risveglio del Partito democratico dal letargo congressuale restituendogli uno smalto politico e parlamentare dimenticato da tempo, addirittura in grado di oscurare i persistenti difetti di linea e di comunicazione su un tema cruciale come la giustizia.
Nella parte di vittima, per così dire oggettiva, il Partito democratico dà il meglio di sé: come sa ogni squadra in difficoltà, un buon catenaccio può sopperire all’inconcludenza del gioco. Quando poi l’avversario non sa far altro che commettere fallo, prima o poi un golletto se lo becca, che è quello che sta avvenendo col caso Donzelli-Delmastro.
Ma c’è dell’altro. C’è che sta magicamente prendendo corpo, anche se in difesa, il famoso “campo largo” di cui il Partito democratico lettiano strologò per mesi senza cavare un ragno dal buco. Sulla legge di Bilancio, sull’affaire Donzelli-Delmastro, ora sul progetto dell’autonomia differenziata, Partito democratico, Terzo Polo e Movimento 5 stelle hanno detto e dicono più o meno le stesse cose: ripetiamo, è un blocco tutto difensivo e limitato all’arena parlamentare (mentre certo restano le macroscopiche differenze sull’Ucraina e mille altre cose).
Vedere i contiani prendere le parti dei dem è uno spettacolo inedito, e lo stesso dicasi dell’assenza di strali tra contiani e terzopolisti. La polemica di questi giorni pone anzi una domanda a chi, nel Terzo Polo, s’illudeva di una “civilizzazione” dei rapporti dei meloniani, con l’opposizione o addirittura a un ipotetico appeasement: non è possibile giocare con quel partito.
Da tutto questo emerge che probabilmente non siamo davanti a una novità strutturale. Ma il fatto nuovo c’è: l’opposizione non litiga più. Grazie ai bravi ragazzi della presidente del Consiglio.