Competizione galatticaCome l’ingresso di investitori privati ha rivoluzionato la corsa allo spazio del XXI secolo

In “Capitalismo stellare” (Rubbettino) Marcello Spagnulo racconta il ruolo determinante di Musk, Bezos, Branson nel dare agli Stati Uniti un vantaggio competitivo enorme in un’industria sempre più centrale nell’economia globale

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Nel XX secolo il modello economico dell’industria dello Spazio era sostanzialmente univoco: i governi finanziavano i programmi sia per avere un peso geopolitico sulla Terra sia per supportare una propria politica industriale in grado di sostenere una ricerca scientifica fertilizzante di scoperte e di ricadute tecnologiche. La corsa spaziale che nasceva nel dopoguerra come punta di lancia di un conflitto militare sempre sul punto di deflagrare, ha via via permesso, verso la fine del secolo scorso, anche lo sviluppo di un’industria di servizi che così ha chiuso una compiuta catena del valore. In sintesi, le agenzie spaziali governative finanziavano la ricerca, poi un comparto industriale a forte carattere autarchico e poco internazionalizzato – a parte quello peculiare europeo – realizzava razzi e satelliti che vendeva, anche attraverso intermediari creati ad-hoc, a società terze, talora anch’esse collegate da un azionariato in comune; infine quest’ultime, al termine della catena, vendevano i segnali satellitari e i servizi associati, con cui remuneravano il capitale investito. Lungo questa catena del valore si trovavano dunque diversi attori, ognuno con un suo ruolo definito.

All’inizio del XXI secolo, negli Stati Uniti si è assistito però a un cambiamento rivoluzionario con una sempre più rapida compressione del numero di attori lungo la tradizionale catena del valore. Un fenomeno che al momento non trova uguali nel resto del mondo. In Europa, infatti, il settore industriale è sempre rimasto dipendente dai budget dei governi e delle istituzioni sovranazionali, come le agenzie spaziali e la Commissione Europea, che si muovono in una perenne ricerca di un equilibrio compromissorio tra le differenti istanze dei diversi Paesi. Di contro in Asia, nel sistema cinese a capitalismo politico via via affermatosi sotto la guida di Xi Jinping, il governo ha sempre mantenuto il proprio ruolo direttivo d’indirizzo strategico e di politica industriale lungo tutta la catena del valore.

Negli Stati Uniti invece è cambiato tutto il paradigma, e il modello più rappresentativo di quest’evoluzione capitalistica è la società californiana SpaceX fondata nel 2002 da Elon Musk. L’azienda è nata per progettare e costruire in casa i propri lanciatori, satelliti e astronavi, per effettuare autonomamente le operazioni di lancio, anche su siti di proprietà, per operare gli assetti spaziali in orbita e infine per vendere direttamente al mercato i servizi a essi collegati. La costruzione di razzi e satelliti, in quasi totale assenza di forniture esterne se non quelle delle materie prime, non è quindi un business in sé, un obiettivo commerciale come avveniva nel modello industriale precedente, ma uno strumento per la creazione di nuovi mercati. Certo, le agenzie governative come la NASA o il Pentagono possono costituire una base di clientela iniziale ma non sono il mercato finale. Quello è costituito dai consumatori di tutto il pianeta.

Per evolvere al nuovo modello sussistono delle condizioni di base, in primis l’innovazione tecnologica, la cosiddetta “disruptive technology” di cui la SpaceX è campione indiscusso grazie ai suoi razzi riutilizzabili, poi il monopolio e infine il brand. Basta seguire le leggi di Thiel. E come si realizza tutto questo? Facendo sì che la vendita dei servizi satellitari sia da un lato garantita da un monopolio di fatto delle orbite e dall’altro venga assicurata preventivamente da un’ampia platea di utenti finali che sono in qualche modo già legati all’ecosistema industriale e finanziario cui afferisce l’originaria azienda spaziale. Per esempio dagli acquirenti delle automobili Tesla Motors, anch’essa di proprietà di Elon Musk.

Già oggi chi compra una Tesla può opzionare la predisposizione di fabbrica per la connessione satellitare Starlink della SpaceX. Il servizio di connessione satellitare è offerto a 9,90 dollari al mese, e così l’acquirente potrà garantirsi la trasmissione dei dati per la guida autonoma, l’archivio delle percorrenze, dei guasti, delle manutenzioni programmate e perfino della fruizione di infotainment ed entertainment dedicati, magari da un radio digitale che lo stesso Elon Musk potrebbe decidere di creare ex-novo. Così chiuderebbe nella catena del valore per la sua clientela planetaria anche l’offerta di servizi di infotainment.

A luglio 2022, la SpaceX aveva già messo in orbita 2900 satelliti, di cui più di 2500 risultavano attivi, tutti lanciati in quattro anni da una quarantina di razzi Falcon 9 riutilizzati più volte dopo ogni lancio. Nei soli primi sette mesi del 2022, la SpaceX ha messo in orbita quasi 1000 satelliti con trentatré lanci del suo razzo Falcon 9, più di uno a settimana, battendo il suo record di trentuno lanci dell’anno precedente. Il piano di occupazione dell’orbita terrestre da parte dell’azienda californiana prevede di lanciare 4400 satelliti entro il 2024 per poi arrivare a 42.000 prima della fine del decennio. E visti i ritmi con cui si muove la SpaceX, non c’è da dubitare che i tempi saranno rispettati. In pratica, un ecosistema di aziende facenti capo a una singola persona, il fondatore visionario, occupa l’intera catena del valore e in questo modo riesce a ottimizzare i costi aziendali dell’intera holding mettendo anche in sinergia prodotti e tecnologie, per esempio le batterie elettriche usate per le automobili e per i satelliti, oppure il software di riconoscimento degli oggetti in movimento.

Inoltre, amplia il bacino di utenza massimizzando i ricavi e compensando eventuali squilibri finanziari in altri nodi della catena del valore. Senza contare che attraverso un costante marketing induce una pervasività di «brand-placement» tale da creare un vero monopolio globale a livello planetario.

I due modelli economici di catena del valore sopra descritti, quello tradizionale e quello della SpaceX, possono essere considerati due limiti entro cui si possono configurare altri modelli più o meno ibridi e diversi.

Ma il punto è che stiamo assistendo a un cambio di paradigma dell’industria spaziale con ricadute enormi sul mercato terrestre e in quasi totale assenza di normative regolamentari. Tutto ciò è portato avanti a ritmi incessanti dai nuovi capitalisti stellari. La realtà che si prospetta quindi è tale da dover essere letta e analizzata in un’ampia ottica che non si limiti a considerare le missioni spaziali come afferenti a una dimensione lontana dalla nostra quotidianità o riservata a pochi selezionati astronauti.

La sempre più pervasiva dipendenza dai satelliti nell’infosfera economica digitale – si pensi per esempio alle tecnologie satellitari per le auto a guida autonoma o per la mobilità urbana aerotrasportata – rende i futuri progetti spaziali commercialmente strategici. In quest’ottica, la nuova imprenditoria capitalistica, al momento solo statunitense, che si è già affermata nell’industria digitale e in quella della logistica, sta sviluppando nuovissime entità industriali manifatturiere anche nel settore spaziale. Tutte queste realtà sono funzionali a creare nuovi bisogni per gli utenti, cioè in ultima istanza per creare nuovi mercati in grado di generare profitti economici planetari. Se finanche la Amazon crea una sua divisione spaziale – Jeff Bezos ci investe ogni anno un miliardo di dollari del suo patrimonio personale – per progettare astronavi e razzi riutilizzabili, come il New Glenn, ciò sta a significare che la logistica della distribuzione e dei trasporti delle merci e delle persone sta per integrare anche la dimensione spaziale.

Nel 2021, Richard Branson e lo stesso Jeff Bezos hanno effettuato a distanza di poche settimane due voli suborbitali sui veicoli progettati dalle aziende spaziali da loro fondate, la Virgin Galactic e la Blue Origin. Entrambi reclamizzano il business del turismo spaziale come l’obiettivo dei loro sforzi ma la realtà potrebbe essere anche un’altra. I due sono imprenditori che operano in business intimamente legati alla logistica e al trasporto delle merci e delle persone, e quindi guardano alle possibilità di estendere il loro raggio di azione grazie alle rotte suborbitali e orbitali. Nonostante la popolarità di questi capitalisti stellari, c’è sempre un mix di ammirazione e di diffidenza presso gran parte dell’opinione pubblica, però il governo americano e molte associazioni di appassionati ne sostengono le iniziative affermando che il loro ruolo sarà positivo per ridurre i costi delle missioni spaziali, per risparmiare denaro dei contribuenti e per democratizzare la possibilità d’accesso allo Spazio nel lungo termine.

Ovviamente il non detto è che essi assicureranno a Washington una superiorità tecnologica e commerciale a livello globale. Il sostegno del governo a questi capitalisti stellari si presenta sotto forme diverse, dai contratti appaltati dalla NASA o dal Pentagono fino a garanzie sui prestiti e crediti d’imposta. Queste imprese possono anche ricevere esenzioni fiscali attraverso la costruzione di strutture, come basi di lancio o spazioporti, prestiti scontati e crediti ambientali approvati da singoli Stati federali. Si stima che tutte le iniziative di Musk, non limitate alla SpaceX, abbiano ricevuto circa 5 miliardi di dollari di sostegno governativo attraverso agevolazioni fiscali, prestiti scontati e crediti ambientali.

Poiché negli Stati Uniti è comunque costante la presenza di apparati pubblici per la sicurezza nazionale che sorvegliano l’utilizzo per fini politici della tecnologia delle grandi imprese private che si muovono su scala globale, questi nuovi capitalisti stellari sono e saranno sempre supportati a livello politico – magari con alti e bassi a seconda dell’orientamento contingente della Casa Bianca – e resteranno funzionali alla Grand Strategy geopolitica statunitense. Le conseguenze di tutto ciò si stanno persino palesando in Ucraina a seguito dell’invasione russa. Il conflitto vede un livello di scontro, poco dibattuto nelle 27 analisi dei media, che si svolge nell’orbita terrestre e che ci dovrebbe far riflettere. In gioco ci potrebbe essere il prossimo ordine mondiale che capitalisti stellari e capi di hedge-funds stanno plasmando sotto un’atmosfera di emergenza quasi perenne, prima sanitaria e adesso politico-militare.

A sostegno dell’Ucraina non c’è solo la Nato che fornisce armi, ma ci sono anche organizzazioni umanitarie e non governative, finanziate da facoltosi privati, che inviano materiali di sussistenza alla popolazione. Tutto ciò non stupisce. Il supporto di influenti e ricchi cittadini alla politica dei governi financo in tempi di guerra non è certo una novità, e il conflitto russo-ucraino ne è solo l’ultimo degli esempi. Il 12 marzo 2022, poco dopo l’invasione russa in Ucraina, il quotidiano «Il Sole 24 Ore» ha pubblicato un articolo a firma di George Soros – oggi presidente dell’Open Society Foundation ma sin dagli anni Sessanta instancabile creatore di hedge-funds sempre più potenti – sulle conseguenze mondiali di un accordo stabile tra Russia e Cina. Soros scrive testualmente «all’inizio degli anni ’80 mi sono imbarcato in ciò che mi piace chiamare la mia filantropia politica e ho creato una fondazione in Ungheria, dove sono nato, e ho partecipato attivamente alla disintegrazione dell’impero sovietico».

In che modo egli possa aver contribuito a far crollare l’Unione Sovietica possiamo immaginarlo pensando all’uso diversificato delle sue società finanziarie globali. E non c’è da dubitare che egli stesso stia anche ora “partecipando attivamente”, per usare la sua terminologia, a contrastare l’invasione russa in Ucraina. Ma se nel secolo scorso Soros agiva in modalità, diciamo così, poco evidente all’opinione pubblica, oggi i nuovi capitalisti stellari escono allo scoperto e fanno delle loro iniziative un “brand placement”. Tutti possono leggere in tempo reale i tweet di Elon Musk che sfida il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, a un duello di arti marziali per risolvere il conflitto in Ucraina. In realtà, lo scontro tra i due si gioca a più livelli, anche nello Spazio extra-terrestre. Ma le conseguenze sono tutte terrestri e in grado di influenzare il prossimo ordine mondiale.

Da “Capitalismo stellare. Come la nuova corsa allo spazio cambia la Terra” (Rubbettino), di Marcello Spagnulo, p. 146, 13,30€

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