La solita propaganda, il revisionismo storico, i dati truccati a uso e consumo domestico. Quasi due ore di discorso alla nazione, di fronte all’Assemblea federale, poi un fuoco d’artificio finale. Vladimir Putin accusa la Nato di averlo messo davanti a un «ultimatum», accusa i leader di Francia e Regno Unito di armarsi contro la Russia. «Dicono di volerci infliggere una sconfitta strategica». Il presidente annuncia quindi di voler sospendere la partecipazione di Mosca all’ultimo trattato contro la proliferazione delle testate nucleari, il New Start sottoscritto nel 2010 con gli Stati Uniti. «Ovviamente non colpiremo per primi – conclude –, ma nessuno deve avere l’illusione che la parità strategica globale possa essere distrutta».
Oltre a fissare un limite – ridotto – agli arsenali atomici, l’accordo stabiliva un tetto anche al numero di missili balistici intercontinentali, sottomarini nucleari e bombardieri pesanti. Poco prima, Putin ha irriso le «ispezioni alle nostre strutture militari» previste dal New Start. «Sappiamo che l’Occidente è direttamente legato agli attacchi di Kyjiv alle nostre basi dell’aviazione e vogliono ispezionare le nostre capacità. È un controsenso».
Il copione, per il resto, è il solito. La passione per il revisionismo storico stavolta si allunga fino allo smembramento dell’Impero austroungarico. Il presidente, di fatto, incolpa il mondo libero di tutto ciò di cui è responsabile lui. Uno dei picchi propagandistici è proprio: «Loro hanno cominciato la guerra: noi abbiamo usato la forza per fermarla». La chiama «guerra», altrove si ricorda del vecchio frasario sull’«operazione militare speciale» che non ritiene debba concludersi presto se garantisce periodi di licenza di quattordici giorni ai soldati e promette fondi speciali per vedove e famiglie.
L’Europa, a suo dire, ha «aperto la traiettoria alla Germania nazista negli anni Quaranta e in questo secolo l’ha fatto per l’Ucraina». L’ossessione per un nazismo inesistente lo porta all’allucinazione dei simboli della Wehrmacht sui carri armati, quando la cosa più vicina a una svastica è la zeta dipinta sui suoi. L’ideologia dell’Occidente? La russofobia. Tira in ballo il diavolo tra gli alleati ideali della coalizione nemica. «Hanno trasformato la gente in carne da cannone», ma è esattamente la condotta bellica del Cremlino, che manda al massacro le minoranze etniche russofone.
La platea alterna sbadigli agli applausi. Il silenzio per i caduti dura meno di un minuto. Il pubblico si scalda sulle tirate conclusive, standing ovation. Ride a comando quando Putin cita «il dibattito della chiesa anglicana su Dio gender neutral». Il capo non ha niente contro i matrimoni gay, assicura, ma «dobbiamo dir loro di guardare ai testi sacri di ogni religione del mondo: la famiglia è l’unione di un uomo e una donna».
«È impossibile sconfiggere la Russia sul campo di battaglia», si mescola ai vaneggiamenti sulla pace da riportare. Gli basterebbe ritirarsi dai territori occupati illegalmente, come gli ricorda il segretario di Stato americano Antony Blinken da Atene, e la guerra si concluderebbe. Invece Putin parla di «difesa della madrepatria» – come può essere autodifesa un’offensiva oltreconfine? – e di mobilitare una produzione di massa di armi grazie alle «nostra capacità scientifiche e industriali», sotto la remunerazione dei contratti di Stato. Propone di aiutare i lavoratori del settore pagando un pezzo del loro affitto.
Persino la chiosa pirotecnica non è una sorpresa in assoluto. Il dipartimento di Stato americano, scrive il New York Times, aveva già messo in conto che Mosca non avrebbe rispettato gli impegni del New Start. Era stato rinnovato nel 2021, ma a fine gennaio al Congresso era già stato comunicato il rifiuto russo di consentire le visite degli ispettori previste dal patto. Tra poche ore, da Varsavia, il presidente americano Joe Biden si concentrerà «sui valori», dicono dal suo entourage. Un appello al mondo libero, non una replica al delirante discorso di Mosca.