ScioglievolezzaLa fonduta è il risultato della lobby svizzera del formaggio

La Swiss Cheese Union, onnipotente gruppo di produttori elvetici, ha reso questo piatto immancabile sulle tavole e nei ristoranti e ha di fatto salvato la propria industria. A discapito delle diversità

Foto di angela pham su Unsplash

Dominik Flammer è un giornalista, scrittore, esperto della storia dei prodotti tipici svizzeri e autore dell’appassionante «Fromages Suisses» (Glénat) e della trilogia dedicata al «Patrimoine culinaire des Alpes» (AT-Verlag). Con la sua penna offre la sua visione dell’evoluzione del nostro rapporto con il cibo ed è uno dei promotori dell’attuale presa di coscienza rispetto ai prodotti tradizionali svizzeri.

Nessuno meglio di lui può quindi raccontarci come la storia della Swiss Cheese Union sia una storia di abuso di potere e di fonduta: e scommettiamo che non avete mai immaginato di vedere queste due parole insieme. Tutto inizia dopo la prima guerra mondiale, come ci spiega l’autore ed esperto in un podcast della BBC. L’Europa è stata distrutta, mentre la Svizzera era più o meno salva: aveva ancora le mucche, produceva ancora formaggio. In effetti, il formaggio era anche troppo, e si stava accumulando. È stato in quel momento che i produttori di formaggio decisero di formare un cartello, un accordo tra concorrenti per non competere tra loro. Una sorta di Opec, ma per il formaggio.

Per decenni hanno fissato il prezzo del latte, limitato la produzione, e in sintesi limitato il tipo di formaggi che si potevano produrre in Svizzera. E di comune accordo hanno puntato tutto sull’Emmental, il formaggio con i buchi più famoso dei Cantoni.

La fonduta divenne quindi “il” piatto iconico di questo angolo non belligerante d’Europa, e nient’altro fu più possibile al di là di questo piatto. La Swiss Cheese Union lo ha promosso a caro prezzo negli anni ’70, investendo in massicce campagne pubblicitarie di svizzeri di bell’aspetto in maglioni da sci che festeggiano davanti a pentole colme di formaggio fuso. «Se hai una pentola per fonduta rossa polverosa da qualche parte nella tua cucina, è una testimonianza di questa epoca in cui questa crema di formaggio calda era un must» dice Flammer.

Chi si ribellava non aveva vita facile, anzi. Flammer nel podcast ha intervistato un ribelle del formaggio, che in quel periodo viveva sulle colline a sud di Zurigo e ricorda che per chi non ci stava, non c’era modo né spazio di produrre altro. Sep Barmettler è dovuto diventare un ribelle del formaggio perché voleva produrre lo Sprinz, che prima dell’avvento del cartello poteva fare serenamente. Ma ad un certo punto la Swiss Cheese Union ha iniziato ad impedirglielo, e lui non è riuscito a reagire. A quel punto decise di vendere i suoi formaggi in sordina, sottobanco. Ma il cartello del formaggio crebbe, diventando via via più ambizioso, e negli anni ’50 e ’60 decise che non era sufficiente controllare l’offerta. Quelli dell’Unione volevano anche aumentare la domanda, in qualche modo convincere la gente a mangiare il formaggio svizzero in eccedenza. Iniziarono a pensare al piatto che si mangiava a volte sulle Alpi, e nacque l’ossessione della fonduta.

Poiché in Svizzera è iniziato a sembrare folle che il governo spendesse così tanti soldi per sovvenzionare formaggio e fonduta, ci sono state accuse di corruzione. Un funzionario del formaggio svizzero è finito in prigione. E alla fine degli anni ’90, finalmente, l’Unione svizzera dei formaggi è crollata. I “ribelli” del formaggio finalmente potevano ricominciare a produrre e vendere qualsiasi formaggio volessero. Ovviamente, anche senza il cartello, in molti hanno comunque continuato a sostenere la fonduta, visto che questo piatto confortante e cremoso, goloso e pratico era comunque una fantastica idea per mantenere florido il business del formaggio. E ancora oggi in Svizzera insistono molto affinché i turisti provino questo piatto, che fa parte ormai dell’immaginario collettivo esattamente quanto le mucche pezzate e il cioccolato: guarda caso, un’altra “specialità” elvetica che non c’entra con il territorio ma ne è divenuto comunque un simbolo. A discapito delle diversità, e delle reali identità territoriali, che per fortuna qualche ribelle continua a portare avanti.